Morya Longo, Il Sole 24 Ore 1/11/2014, 1 novembre 2014
IL CIRCOLO VIZIOSO DI CONSUMI E RISPARMI
Nel 2009 il Governo giapponese guidato da Taro Aso prese una decisione che, a prima vista, potrebbe sembrare da Paese del Bengodi: regalare soldi alla popolazione, prendendoli dal bilancio pubblico, per consentire alla gente comune di fare shopping. Bastava essere residente in Giappone e fare la fila al proprio Comune: davano l’equivalente di 150 euro in contanti o tramite voucher. Se a qualcuno in Italia fischiano le orecchie, non è un caso: in fondo i famosi 80 euro o l’idea di mettere il Tfr in busta paga hanno una logica simile. L’obiettivo è di far ripartire i consumi. Di indurre gli italiani a risparmiare meno e a fare più shopping.
Perché oggi l’Italia ha un problema sempre più simile a quello che il Giappone ha vissuto per decenni: le famiglie riducono i consumi, per aumentare quando possibile i risparmi. Il rapporto Ipsos-Acri, confermando i recenti dati Istat, lo dice chiaramente: se nella prima parte della crisi (dal 2008) gli italiani tendevano a mantenere alto il tenore di vita riducendo i risparmi pur di consumare, da un paio di anni la tendenza si è bruscamente invertita. La propensione al risparmio è così passata dall’11,5% del 2007 al 7,7% del secondo trimestre 2012 (minimo da decenni), per poi risalire al 10,2% di fine 2013 (dato Istat).
Il motivo è ovvio: le famiglie non riescono più a vedere la luce in fondo al tunnel. Ed è lo stesso sondaggio Ipsos a dimostrarlo: la fine della crisi è vista dagli italiani solo nel lontano 2020. Forse hanno torto (speriamo), ma il problema non cambia: questa funesta aspettativa li induce a cambiare i comportamenti, a consumare meno e a risparmiare (quando possono) di più. E non è un caso che tutto sia cambiato proprio nel 2012, dopo la crisi dello spread: «Gli eventi di fine 2011 sono stati uno shock forte per gli italiani – osserva il professor Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison –. Non solo hanno messo in dubbio la stabilità dello Stato, ma hanno anche inaugurato la politica fiscale dell’austerità». Questo, unito alla crescente disoccupazione, ha cambiato i comportamenti.
Insomma: l’aumento del tasso di risparmio è in parte dettato dalla paura sul futuro. Dunque non porta nulla di buono. «Il ruolo delle aspettative in economia è fondamentale – ricorda Gregorio De Felice, capoeconomista di Intesa Sanpaolo –: le imprese investono meno e le famiglie riducono i consumi. Si tratta di un avvitamento preoccupante». Non siamo ancora sui livelli patologici sperimentati dai giapponesi, che dopo anni di deflazione hanno ormai nel Dna l’abitudine di rinviare i consumi in attesa di prezzi più bassi, ma l’Italia ha imboccato un pericoloso circolo vizioso.
Come uscirne? De Felice invoca una «politica di stabilità». Fortis osserva gli ultimi dati sull’occupazione (ieri l’Istat ha comunicato che gli occupati sono aumentati di 130mila unità nell’ultimo anno) per guardare con maggiore ottimismo al futuro. Ma c’è anche chi, come l’amministratore delegato di Arca sgr Ugo Loser, preferisce prendere il problema da un punto di vista diverso: se gli italiani risparmiano di più, allora sarebbe auspicabile utilizzare una parte di questo crescente "tesoretto" per finanziare gli investimenti infrastrutturali o energetici. «Andrebbe canalizzato il risparmio su chi investe nel lungo periodo – osserva Loser – e andrebbero favoriti un po’ di più, per questi soggetti, gli investimenti illiquidi». Cioè quelli in infrastrutture.
Una cosa è certa: bisogna muoversi. In fretta. Con uno shock positivo. L’alternativa è di fare come il Giappone: galleggiare nella deflazione per decenni, distribuire voucher ogni tanto e, alla fine, essere costretti a varare una politica monetaria così aggressiva (come fatto ieri dalla Bank of Japan) da rischiare pesanti effetti collaterali. Tra l’altro l’Italia quest’ultima strada non potrebbe neppure percorrerla perché non ha una banca centrale...
Morya Longo, Il Sole 24 Ore 1/11/2014