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 2014  novembre 03 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 3 NOVEMBRE 2014

Il sindacato in Italia è a un bivio: cambiare o scomparire. Enrico Marro: «C’è bisogno di una rifondazione. Non perché lo dice Matteo Renzi. Ma perché, soprattutto ai vertici, il sindacato è ancorato da troppo tempo a una visione miope: la difesa dei pensionati e dei lavoratori dipendenti col posto fisso, a scapito dei giovani. E a un assetto organizzativo e di selezione della classe dirigente fondato sulla cooptazione» [1].

«Malati, vecchi e imbolsiti, vibrano unisoni e irritati solo quando gli si contesta l’idea di “responsabilità”, sostantivo che – se li si vuol blandire – va sempre apposto alla sigla Cgil, Cisl e Uil. Talmente responsabili da aver abdicato ad affrontare negli ultimi anni la madre di tutte le battaglie: il proliferarsi del precariato. Talmente responsabili da accorgersene: “È vero – ha detto Susanna Camusso – il sindacato non è stato capace di costruire una strategia di inclusione del precariato. L’effetto è stato un crescente utilizzo delle forme non tipiche di lavoro, accompagnato da una contemporanea marginalizzazione sociale di questi lavoratori”» (Giovanni Manca) [2].

Qualche flash sui sindacati oggi. Raffaele Bonanni ha lasciato in fretta e furia la guida della Cisl, ufficialmente per accelerare il rinnovamento, in realtà è forte il sospetto che lo abbia fatto per evitare i riflettori sulla sua pensione d’oro (5.122 euro netti al mese) e sui suoi mega-stipendi da segretario generale, finalizzati proprio a costruire la superpensione [1].

Salvatore Cannavò: «Un segretario generale del secondo sindacato italiano che guadagna 336 mila euro l’anno costituisce una curiosità. Soprattutto se non è chiaro come ha guadagnato quella cifra. Se quel segretario si chiama Raffaele Bonanni, poi, la curiosità si dilata al quadrato. La cifra è superiore al tetto per i grandi manager di Stato (240 mila), pericolosamente vicina a quei grandi dirigenti contro cui Bonanni ha spesso puntato il dito. E spiega più chiaramente il motivo delle sue dimissioni anticipate dalla segreteria della Cisl» [3].

Passiamo alla Uil. Marro: «Anche il sindacato che si picca di essere il più riformista sta per cambiare segretario. Dopo 14 anni, al posto di Luigi Angeletti arriverà Carmelo Barbagallo, 67 anni. Può essere lui il motore del rinnovamento in un’organizzazione dove nella segreteria nazionale e in quelle periferiche ci sono persone che stanno lì da 20-25 anni e dove le donne e i giovani sono una rarità?» [1].

Non sta meglio l’Ugl, sindacato vicino alla destra, che sotto Renata Polverini sosteneva di avere più di due milioni di iscritti, e il cui ex segretario generale, Giovanni Centrella è stato travolto da un’inchiesta per appropriazione indebita aggravata (centinaia di migliaia di euro sottratti al sindacato) e i cui dirigenti, riuniti la settimana scorsa per eleggere il nuovo leader, non ci sono riusciti perché hanno fatto a botte [1].
Abbiamo lasciato per ultima la Cgil. Ancora Marro: «Prima e meglio degli altri si è data limiti alla durata degli incarichi e regole di pubblicazione dei bilanci. E più degli altri fa presa tra giovani e donne. Ma è rimasta, anche quando la cinghia di trasmissione con il Pci è finita, prigioniera di un primato del conflitto e di una cultura incline a considerare l’impresa più un avversario da piegare che il motore dell’economia» [1].

Ma quanti sono gli iscritti ai sindacati? «Negli anni Ottanta – spiega Giuliano Cazzola, oggi economista e politico ma all’epoca pezzo grosso Cgil – dovevamo comunicare alla Federazione internazionale il numero dei chimici legati alla Cgil. E visto che dovevamo pagare una quota, salata, in franchi svizzeri io e Cofferati, il mio vice, decidemmo di ridimensionare il nostro esercito per risparmiare un po’». Vent’anni dopo, lo stesso meccanismo è stato descritto dal giornalista dell’Espresso Stefano Livadiotti nel libro L’altra casta [4].

Stefano Zurlo: «Quando si siedono intorno al tavolo per una trattativa i dirigenti della Triplice scandiscono dei numeri che cambiano di colpo quando le tre organizzazioni vengono chiamate a versare i loro contributi alla Confèderation Europeenne des Syndicats. Il divario è clamoroso. La Cgil passa da 5 milioni 650.942 tesserati in Italia a 4 milioni e 100 mila militanti dichiarati in Europa. Stesso trend ondivago per la Cisl, con una discesa a precipizio da 4 milioni e 346 952 iscritti a 2 milioni e 640.929. La Uil infine mostra la stessa tendenza al ribasso, da 1 milione e 733.375 a 1 milione e mille iscritti» [4].

Il sociologo veneto Paolo Feltrin: «È mai possibile che quando un leader sindacale lascia diventi subito presidente del centro studi? È così per Bonanni, lo sarà per Angeletti come era stato per Epifani. Il rinnovamento dovrebbe iniziare anche da queste scelte» [5].

Per Dario Di Vico uno dei problemi principali dei sindacati è la distanza dai più giovani: «I rituali di Cgil-Cisl-Uil inevitabilmente riportano al secolo passato e sono incomprensibili agli occhi di ragazzi che stanno maturando una visione diversa del rapporto tra tutele e merito, tra lavoro dipendente e autonomo. I veri luoghi di aggregazione si chiamano talent garden o coworking e presentano caratteri di modernità che il sindacato non avrà mai. Come fa il sindacato dei congressi che durano 5 mesi, e si concludono con documenti chilometrici “elaborati dai compagni della commissione politica”, a dialogare con loro?» [5].

«L’idea è circolata, in questi giorni, nei giri del Pd di area Leopolda: dare vita a una nuova creatura veloce, snella, capace di arrivare a discutere di lavoro azienda per azienda, con modalità e ritmi impensabili ai tempi dei burosauri sindacali non ancora estinti. “Sindacato dei giovani e degli outsider”, la suggestione c’è. Anche se, a livello emerso, gli esperti del settore la prendono alla lontana. C’è chi parla di “associazione”, chi di “nuova legislazione”, chi di “rifondazione”» (Marianna Rizzini) [6].

Il senatore e giuslavorista Pietro Ichino suggerisce a quelli che ci stanno pensando «di usare un lessico corrispondente a un’idea sostanzialmente diversa: quella di una associazione dei lavoratori di nuova generazione che si proponga di promuovere una legislazione del lavoro non sbilanciata a sostegno quasi esclusivo degli insider (come è la nostra attuale), un mercato del lavoro fluido e innervato da servizi efficienti svolti dalle agenzie specializzate, e soprattutto un regime di vera contendibilità di tutte le funzioni, in ogni struttura pubblica e privata, nel quadro di un sistema dedicato a rendere effettiva la parità delle opportunità» [6].

Giuseppe De Rita invece lega strettamente il futuro dei confederali alla sfida con Renzi. «La Cgil potrebbe fare la mossa del cavallo. Invitare i suoi a iscriversi al Pd e partecipare a tutte le primarie. In molti casi le vincerebbe così a brigante risponderebbe brigante e mezzo» [5].

Se invece il sindacato non volesse invadere la politica e preferisse posizionarsi totalmente nella società civile dovrebbe diventare «il soggetto che lotta contro le disuguaglianze» dice ancora De Rita. Niente battaglie di retroguardia sull’articolo 18 o per salvare le fabbriche decotte ma intestarsi una nuova committenza: i cinquantenni estromessi, il Sud, gli esodati, i nuovi poveri. «Dimostrerebbe a Renzi che l’Italia non è fatta di Cucinelli e di Farinetti. L’avevo già suggerito a Bonanni, ma non mi ha dato retta» [5].

Note: [1] Enrico Marro, Corriere della Sera 31/10; [2] Giovanni Manca, l’Espresso 25/11/2013; [3] Salvatore Cannavò, il Fatto Quotidiano 29/10; [4] Stefano Zurlo, il Giornale 30/10; [5] Dario Di Vico, Corriere della Sera 1/11; [6] Marianna Rizzini, Il Foglio 30/10;