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 2014  novembre 01 Sabato calendario

CORSIVO

Per l’accusa Stefano Cucchi è morto in carcere di botte e di stenti. Per il primo giudice «soltanto» di fame e di sete. Per la corte d’assise neanche di quello. Ne dovremmo dedurre che sia ancora vivo. O che si sia ammazzato da solo. E infatti è questa la versione che ci vogliono apparecchiare: Cucchi si sarebbe lasciato morire di inedia. Se medici e infermieri hanno una colpa, è di non avere insistito con la forza per nutrirlo. Una «responsabilità morale» ammette persino Giovanardi. E le fratture? E gli occhi pesti? E il corpo preso in consegna vivo dallo Stato e restituito cadavere alla famiglia? Una famiglia che ha sempre rispettato e aiutato le istituzioni, al punto di fornire prove a carico del figlio sul possesso di droga. Toccherà alla Cassazione mettere il timbro su questa storia allucinante, dove il latinorum dei giudici è contraddetto dalla potenza persuasiva delle foto. Purtroppo abbiamo fin d’ora una certezza: che quando una delle due sentenze risulterà sbagliata, nessun magistrato pagherà per il suo errore.
P.S. Solidarietà ai poliziotti e agli agenti penitenziari che accettano di farsi odiare dal prossimo per 1.200 euro al mese. Ma il portavoce di un loro sindacato che – di fronte alla morte impunita di un uomo – dichiara: «Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute e conduce una vita dissoluta, ne paghi le conseguenze», dovrebbe fare soltanto una cosa. Vergognarsi.