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 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

E IO SONO LA ZANZARA DELLA ZANZARA


[Andro Merkù ]

È l’imitatore più temuto dai politici italiani, al punto che alcuni di loro non rispondono quando ricevono chiamate con il numero oscurato. Sospettano sia lui, Andrò Merkù, 51 anni, triestino doc, che coi suoi scherzi telefonici dai microfoni de La Zanzara su Radio 24 ha fatto tremare i Palazzi e messo in bilico parecchie poltrone. Indimenticabile la sua telefonata al costituzionalista Valerio Onida spacciandosi per Margherita Hack, ma anche quelle al senatore Luigi Zanda con la voce di Annamaria Cancellieri e al matematico Piergiorgio Odifreddi «camuffato» da Papa Francesco. In lista d’attesa Matteo Renzi. Pochi s’immaginerebbero che dietro quella faccia e i riccioli da cherubino c’è una zanzara che punge in perfetta sintonia con Giuseppe Cruciani, il conduttore della trasmissione più ascoltata e amata stando ai risultati trionfali delle Cuffie d’Oro, il Gran Premio della comunicazione radiofonica nazionale. Abbiamo camminato per Trieste con Andro, che abita in centro, poco distante dalla libreria di Umberto Saba, in un appartamento con i gerani alle finestre. «Vivo con mia moglie Viviana – racconta – e mio figlio Nikolas, 20 anni, studente dell’istituto nautico e un grande orecchio musicale. Tutto suo papa». Sorride orgoglioso e ci racconta come ha conosciuto la sua consorte: «A una cena con amici in un ristorante cinese. L’ho conquistata imitando Beppe Grillo...». Per strada lo salutano in tanti: il vicino di casa, la dottoressa, il ragazzino... È un triestino in mezzo ai triestini. E iniziano i racconti: «Ho avuto genitori fantastici che mi hanno sempre incoraggiato e supportato. Mia mamma Marta non c’è più, era professoressa d’inglese. Mio papà Paolo ha fatto il programmista regista alla Rai, ma sostanzialmente è un musicista, musicologo, compositore. Papa è un pozzo di cultura dal quale ho sempre cercato di attingere e d’imparare. Sono cresciuto felice con mia sorella Jasna, che in sloveno significa Serena, e ha 4 anni più di me».
Ma Andrò che nome è?
«In realtà sono Andrea. Ma nessuno mi ha mai chiamato così, neppure i miei genitori. Se per strada sento “Andrea”, io non mi volto. È come se non mi riguardasse, non mi riconosco. Mi sento Andrò». Tu sei di madrelingua slovena... «A dir la verità io sono un bastardissimo nel senso migliore del termine. Nelle mie vene scorre sangue triestino, sloveno e anche friulano. Sono un gran miscuglio ed è il mio orgoglio».
Che bimbo sei stato?
«Un discolaccio. Avevo già La Zanzara nel sangue. Facevo ammattire le maestre prima e le professoresse dopo. Ero molto vivace. Mia mamma veniva sempre convocata a scuola. Le dicevano che ero indisciplinato ed era impossibile contenermi. Il mio esordio in prima elementare è stato nascosto sotto la cattedra ad aspettare la maestra per spaventarla. Quando è arrivata le ho urlato un Bauuuuuu da stramazzo. Mi ha sbattuto fuori».
Quando hai iniziato a fare imitazioni?
«A scuola, naturalmente. E venivo regolarmente cacciato dall’aula. Ho fatto un calcolo: in terza liceo il 50% delle ore io non le ho finite. Ero sempre in bagno e non certo per motivi intestinali. Ma perché i professori mi buttavano fuori. Imitavo, imitavo, imitavo. E colpivo indifferentemente. Non ragionavo per simpatie o antipatie. Se c’era qualcosa che mi colpiva nella voce o negli atteggiamenti era una tentazione irresistibile: dovevo “clonarlo”. Era un istinto. Pochi accettavano di essere nel mio mirino. La preside ancora meno. Sempre 8 in condotta, al limite della bocciatura. Però studiavo, aiutato da una grande memoria. E questo tra i banchi mi ha sempre salvato».
Da studente copiavi o facevi copiare?
«Raramente copiavo. Tormentavo una compagna di classe in matematica, era il mio punto debole nonostante avessi scelto il liceo scientifico. In prima liceo ho rischiato di essere rimandato, facevo il minimo indispensabile per arrivare al 6. Dalla terza liceo in poi sono cresciuto e il caso ha voluto che il mio miglior compito di matematica lo abbia, messo a segno alla maturità».
Ti sei laureato al Dams a Bologna con 110...
«Sì, ed ero pure incazzato perché volevo la lode e non me l’hanno data. Ho fatto una tesi sulla regia lirica nel dopoguerra perché così riuscivo a conciliare le mie grandi passioni: spettacolo, teatro e la musica. Ho seguito Giorgio Presburger, uno dei più grandi registi italiani, standogli dietro in tutti i più grandi teatri: alla Fenice a Venezia, alla Scala a Milano, all’Opera a Roma, al Verdi a Trieste dove nel 1976 è stata rappresentata la bellissima opera di mio padre, La Libellula».
Hai frequentato per 6 anni il conservatorio sloveno.
«Ho iniziato suonando il violino. Ma non mi dava soddisfazione, c’era troppo da studiare ed esercitarsi. Andava contro i miei soliti principi di libertà e così ho iniziato a smanettare da solo sul piano di papà a casa. Poi proseguendo al conservatorio e da autodidatta mentre frequentavo l’università. Quel pianoforte è un segnale di amore forte della nostra famiglia. Papa lo regalò a me e ora io a mio figlio. Ci ho sempre strimpellato canzonette, musica leggera, motivetti che oggi mi tornano comodi nei miei spettacoli. Amo ogni genere, dal jazz al funky, dalla lirica ai cantautori».
Se ti nomino Alighiero Noschese cosa ti viene in mente?
«Mi ha affascinato tantissimo, lo guardavo sempre da bimbo. Poi per la qualità vocale delle sue imitazioni ho adorato Alfredo Papa, il migliore in assoluto. In seguito ho conosciuto Gigi Sabani, siamo stati sul palco insieme. Aveva scelto me e il mio gruppo come supportar ai suoi spettacoli. Avevamo già organizzato tutto, locandine pronte. È morto poco prima dell’esordio a Cento».
È vero che il tuo primo passaggio in radio o stato a 10 anni e facevi voci di folletti e personaggi fiabeschi?
«Ero anche più piccolo. Facevo caratterizzazioni, fiabe per bambini alla “Ribalta radiofonica” presso la sezione slovena della Rai di Trieste. Gnomi, folletti, addirittura vecchietti. Mi divertivo molto... ».
Da bimbo cosa volevi fare da grande?
«All’inizio rispondevo il direttore d’orchestra, poi l’etologo».
Etologo? Come Konrad Lorenz...
«Ho letto tutti i suoi libri. Sono stato conquistato dall’Anello di re Salomone e dall’imprinting dell’ochetta Martina. Al momento d’iscrivermi all’università ho valutato tra l’etologia e lo spettacolo, ho scelto la seconda via ma la prima resta un grande hobby. Quando posso trascorro ore ad osservare gli animali e il mio cane Balù ne sa qualcosa...».
Tutti ti conoscono come imitatore, ma pochi sanno che sei un giornalista pubblicista e pure consigliere nazionale dell’Ordine e membro della commissione Cultura. Ma, dimmi, tu i famigerati corsi di aggiornamento professionali li stai facendo?
«Ho fatto il corso di deontologia professionale online... Ci ho messo un casino... Quattro giorni... ma sono stato bravo. Lento ma inesorabile. L’uno per cento d’errore».
Il tuo rapporto con Trieste. In questa città si respira un’atmosfera particolare, confluenza di tante etnie. Ma in questa città tu hai conosciuto anche l’ingratitudine.
«Io ho un rapporto di grande amore. Non può essere altrimenti, Trieste è bellissima. Talvolta mi chiedo se sono stato io a fare poco per farmi amare. La verità è che per il mio mestiere non è la città giusta. Ci sono poche opportunità. Siamo tagliati fuori da tanti discorsi culturali. Per fare quello che volevo fare io, dovevo andare altrove. Il mio colpo di fortuna è stato ricevere la telefonata di Giuseppe Cruciani, su consiglio del giornalista Fausto Biloslavo, mio concittadino. L’ho conquistato imitando Margherita Hack. Dopo cinque minuti ero già in diretta. La verità è che a Trieste ho sempre faticato, non mi sono mai adattato. È un ambiente molto chiuso e io ho bisogno di confronto, di dialettica, di apertura. Infatti a Bologna sono stato benissimo. Ai tempi dell’università facevo spettacoli con gli Skiantos, ho conosciuto e frequentato Alessandro Bergonzoni. Per me era l’America rispetto a Trieste».
La tua gavetta non ha avuto sconti né aiuti. Ma oggi ci sta qualche grazie?
«Innanzitutto a mio papà e a mia mamma che mi hanno sempre lasciato libero nelle mie scelte. Non mi hanno mai imposto nulla, ma sono stati sempre al mio fianco. La stessa cosa che hanno fatto mia moglie e mio figlio quando si è trattato di decidere se compiere il grande passo su Milano. Mi hanno assecondato e spronato».
Tu hai sempre messo la libertà e la creatività davanti a tutto. Anche ai soldi. «Non sopporto i padroni», hai sempre dichiarato con convinzione. Già, ma ora sei a Radio24, l’emittente di Confindustria e del Sole 24 Ore. Come la mettiamo?
«Ti dico la verità. Con i padroni ho sempre avuto un rapporto finito male perché non sopporto di essere ingabbiato. Ma con Radio24 è un’altra cosa. La Zanzara è una di quelle poche trasmissioni libere, come possono essere Striscia la Notizia o le Iene. È una trasmissione anarchica. Giuseppe Cruciani è un anarchico e fino a quando reggeranno quegli ascolti da primato, nessuno potrà dirgli o imporgli nulla. Giuseppe ha capito molto bene la mia indole e il mio bisogno di libertà. Certo, è uno molto pignolo ed esigente in maniera terrificante, ma fa bene. Lui vuole da me creatività e la creatività impone libertà. Certo, poi non tutto quello che si elabora diventa automaticamente parte della trasmissione. A volte bisogna aspettare che i tempi siano maturi per alcuni scherzi. Sono nei cassetti che aspettano. Sì, lo ammetto. Sono depositario di scherzi che possono provocare danni».
A vedervi tu e Cruciani sembrate agli antipodi. Come avete fatto a sincronizzarvi così bene?
«Siamo due caratteracci, ognuno a proprio modo. Lui è più istintivo e i toni che usa in trasmissione talvolta coloriscono anche i nostri confronti. Ma avere piena coscienza di quanto l’uno può dare all’altro per far crescere la trasmissione è il punto d’incontro. Stima, fiducia e rispetto, sempre. Anche nei confronti più accesi. Bisogna venirsi incontro caratterialmente. Non è perfetto lui, ma non lo sono nemmeno io. Quindi va bene così».
L’imitazione a cui sei più legato?
«Margherita Hack. Tra noi c’era una grande amicizia, donna di intelligenza immensa ma con un senso dell’ironia straordinario. Sarà perché l’ammiravo e la frequentavo, ma quell’imitazione mi veniva benissimo. Mi resterà nel cuore per sempre».
Quella che non rifaresti più?
«Le rifarei tutte. E vorrei riuscire a fare tutte le imitazioni che mi metto in testa. Non è semplice. Non è solo una questione di voce e di testi, ma anche di gestualità e di trucco. E in questo devo ringraziare Dorina Forti che sa “trasformarmi” talmente bene che talvolta mi devo pizzicare per dirmi che io sono Andrò. Poi guardo le foto delle mie trasformazioni, che da anni mi scatta Roberta Radini, che rido da solo...».
Qualcuno ti ha sgamato subito al telefono?
«Certo, non tutti gli scherzi riescono. Ma ho un’ottima percentuale di quelli messi a segno. Quello che mi ha beccato immediatamente è stato il senatore Antonio Razzi che è molto più furbo di quanto ci fa credere. Gli ho telefonato fingendomi il Papa e lui mi ha detto subito: “Non sarete mica quelli della Zanzara?”».
Non ti senti un ladro d’identità?
«Mi rendo conto che ci sono cose sulla border line però ti rispondo con una frase di Picasso: “L’arte è la menzogna che fa emergere la verità”. Non a caso programmi come il nostro a volte portano a galla notizie che il giornalismo tradizionale ignora. Perché il giornalista tradizionale di solito è ingabbiato dalla linea editoriale. Non è il caso della Zanzara, per questo riusciamo a fare cose negate agli altri. Il nostro programma è un incrocio tra giornalismo e puro intrattenimento. In America è una costante, da noi ci si scandalizza ancora».
Alcune tue telefonate hanno messo a rischio la caduta degli ultimi governi più degli scazzi tra maggioranza e minoranza. Cosa significa? Che la politica o una barzelletta o che tu sei una cosa seria?
«La politica è ormai molto poco credibile. Lo scherzo telefonico è un format, noi non sappiamo cosa viene fuori. Io devo avere la bravura e la prontezza di riflessi di studiare al meglio i personaggi, sia quello che imito sia l’altro. Devo saper tutto di loro, dei loro rapporti e calarmi nella realtà. Così capita di venire a scoprire verità che tutti sappiamo ma nessuno ha mai avuto il coraggio di dire: tipo che c’è un grande imprenditore che decide i ministri o c’è un grande saggio che ammette di non servire a nulla. Non importa come viene fuori la notizia, l’importante è che la notizia venga allo scoperto. Questo è giornalismo. Non fosse così i nostri scherzi non finirebbero riportati “seriamente” su tutti i quotidiani. Chi si scandalizza e poi li pubblica, è un ipocrita».
Tu credi alla politica? L’Italia è ormai l’ultimo Paese del G7: può tornare a galla?
«Da tempo non credo più ai partiti, ma solo alle persone. Ho sempre votato solo le persone, perché non vedo più le ideologie. Da studente a Bologna scendevo in piazza Maggiore ad ascoltare tutti i grandi politici di quei tempi e lì ho iniziato a farmi un’idea. Ma alla fine la politica si è completamente disgregata, ha perso credibilità. Sarà banale dirlo, ma finché non c’è meritocrazia il Paese non può emergere e quindi in questo momento di grande crisi dovranno uscire le persone capaci».
Già, ma quanto è difficile applicare la meritocrazia...
«Molto difficile, quasi impossibile. O sei nel posto giusto al momento giusto e quindi hai una gran botta di fortuna, oppure punti diritto alla raccomandazione. Se il globo è in crisi è perché nei posti chiave e delicati ci sono ancora troppe persone totalmente incapaci».
Fin dalla prima edizione hai partecipato attivamente alle Cuffie d’Oro, il Gran Premio della comunicazione radiofonica nazionale che si svolge nella tua città. Possiamo dire che se la televisione buca lo schermo e la radio il cuore?
«Sì. La radio è il mezzo meno inquinato, è il più vetusto ma si sta evolvendo con il web. Ma non tramonterà mai. La televisione è molto più ipocrita, però la presenza in video ti dà quello che la radio non ti dà in tanto tempo. Anche per me è importante ogni tanto “comparire” in tv, ma resto innamorato della radio».
Tra le tue imitazioni ci sono anche Moccia, Brosio, Elkann e Balotelli. Potessi scegliere, andresti a mettere lucchetti sul Ponte Miglio con Federico, in pellegrinaggio a Medjugore con Paolo, a una sfilata di moda con Lapo o in discoteca con Mario?
«Per carità... Alla larga... In particolare Balotelli, tanto più in discoteca che è un ambiente aberrante. Scelgo tutta la vita Lapo Elkann perché mi fa scompisciare dal ridere. Per me lui è il divertimento puro, sarebbe una serata fantastica».
Cosa ti sei portato da Milano a Trieste. E viceversa.
«Da Milano a Trieste mi sono portato tanta autostima e felicità per quello che amo fare. Da Trieste a Milano ho traslocato i dischi preferiti e la mia tastiera che mi tiene compagnia nelle serate casalinghe e scapigliate. Mi trovo benissimo a Milano, è viva... Abito nel quartiere Isola, faccio il pendolare con la mia città d’origine».
Tu sei malinconico?
«Molto. Sono un capricornaccio malinconico. Voglio i miei spazi di assoluta solitudine. Ci sto bene dentro. Ed è paradossale per chi fa il mio mestiere».
Cosa stai leggendo?
«Divoro tonnellate di quotidiani per tenermi aggiornato. Ma dopo Buoni e cattivi di Vittorio Feltri, è la volta de La tortura del silenzio. Storia di Marius Oprea, cacciatore di criminali di regime del triestino Guido Barella».
Dovessi paragonarti a qualcuno?
Agli asini, senza dubbio. Vai a vedere cosa dice Lorenz degli asini e delle galline, non sono animali scemi. L’asino è un animale lento lento, prende bastonate ma va sempre avanti. Arriva dove vuole arrivare. Io di colpi sulla schiena ne ho presi tanti ma poi c’è un sapore più bello a portare a casa qualcosa. E ogni vittoria non è mai un punto di arrivo ma di ripartenza».
E ora un bel finale alla Gigi Marzullo. Insomma: la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere?
«I sogni sono fondamentali. Chi non sogna si ferma ed è perduto... Vai dove ti porta il cuore e sogna... Io lo faccio sempre. Anche ad occhi aperti».