Giuseppe De Bellis, Style 11/2014, 31 ottobre 2014
L’UOMO DEL (PROSSIMO) MESE– HILLARY CLINTON
L’uomo del mese prossimo è una donna. Hillary Clinton. Chiuse le elezioni di midterm che hanno rinnovato tutta la Camera e un terzo del Senato degli Stati Uniti è cominciata di fatto la corsa verso le elezioni presidenziali del 2016. Presto? No, è quasi tardi. Perché è da sette anni che ci lavora, probabilmente di più. Per qualcuno da tutta la vita. È l’unica candidata certa, inevitabile si dice. Per bravura, per costanza, per importanza, per potere. Lo era già alla fine del 2007 quando cominciò la lunga marcia verso le elezioni del 2008 che portarono Obama alla Casa Bianca. All’epoca le primarie democratiche furono praticamente un referendum su di lei: sì o no? L’America voleva capire se fosse pronta la Clinton e soprattutto se fosse pronto il Paese. Una donna alla Casa Bianca era una possibilità, un incubo per mezza America e una speranza per lei: «Datemi una notte, vi darò ogni giorno della mia presidenza», disse in quei giorni. Oggi l’ipotesi di una donna presidente non è più un problema, dicono i sondaggi. Ma lei, sette anni dopo, ripete comunque la stessa cosa: «Datemi una notte, vi darò ogni giorno della mia presidenza». È il suo business, questo. È lo stesso del 1991, quando accompagnava Bill in giro per l’America a consegnare porta a porta il sogno provinciale del governatore dell’Arkansas. Tutti dissero che lei fosse l’ombra. Consigliera, stratega e ministra fantasma, invadente al punto che il vicepresidente Al Gore cominciò a non sopportarla. È cambiata: la provincia è diventata il centro, Hope è diventata New York, poi Washington, ha stravolto il look, le idee, il carattere. Anni e anni a prepararsi la strada: dal giorno in cui usci da first lady frustrata e tradita, a oggi. Nel mezzo una campagna elettorale nel 2008 cominciata da favorita e finita malissimo. Non ha mollato l’obiettivo, anzi. Casa Bianca era e Casa Bianca dev’essere. Dicono l’avesse anche sussurrato, tirandosi dietro di sé la porta della residenza presidenziale: «Tornerò». Dicono. Adesso si dice tutto, vale tutto, funziona tutto. Hillary è una chiacchiera perenne, è un gossip infinito, è una verità vera o verosimile, senza differenza. È il potere, comunque. E quindi piaggeria, appoggio, sostegno, ma pure satira, veleno, cattiveria. Nessuno come lei seduce e infastidisce. Santa e diabolica. I nemici la descrivono come una acida opportunista, una in grado di obbligare l’elicottero presidenziale a tornare a terra perché lei aveva dimenticato gli occhiali da sole. Dicono che se vincerà, allora sarà un insulto alla Costituzione: nessuno può essere eletto per più di due mandati. È il sarcasmo che si trascina dal 1992, quando cominciò la storiella di Billary, «dei due al prezzo di uno». Si ricomincia, ora. Di nuovo, al contrario. Come nella campagna 2008, ma di più. È come doveva essere, come aveva pianificato in una specie di memorandum scritto con Bill: prima lui presidente, poi lei. Voci. Ce n’è una ogni giorno su Hillary: cattiva o buona, notizie, indiscrezioni, rivelazioni. Love her, hate her, ha scritto anni fa il settimanale Time. L’America non ha ancora capito se la ama o la odia, se la vuole oppure no, se è pronta per un presidente donna e se quel presidente possa essere lei. Il suo staff le ha cucito addosso l’abito della candidata migliore: preparata, capace, decisa, esperta, responsabile, forte. L’aveva fatto anche nel 2008 e mai avrebbe immaginato che Barack Obama, giovane, inesperto e nero avrebbe potuto massacrarla. Il Paese chiedeva novità e Hillary non l’aveva capito. Oggi l’America chiede certezze e Hillary lo sa. Aver accettato di essere il Segretario di Stato del presidente che l’aveva massacrata alle primarie l’ha resa forte. Ha fatto errori, lady Clinton. In particolare sulla Libia, ma sono passati in secondo piano perché nella bulimia egocentrica di Obama, sono stati considerati tutti sbagli del presidente.
Quindi lei, adesso. Pronta più di prima. Quando si voterà a novembre 2016 avrà 69 anni. Moglie, madre, nonna. Chelsea e il suo bambino appena nato aiutano, così come ha aiutato il suo atteggiamento post Sexgate. Ha passato tutta la vita a cercare di sembrare più uomo che donna, ha capito che questa invece è un’era femminile. Nel 2008 l’unico sussulto della campagna delle primarie lo ebbe dopo aver pianto in diretta tv. All’America piace una persona forte che sappia avere delle debolezze. Il contrario di ciò che ha cercato di essere per 60 anni. Una specie di maledizione per lei: impassibile, algida, distaccata. A volte robotica. La consideravano così e si sbellicavano dalle risate quando sentono le battute del comico David Letterman: «L’impegno ambientalista di Bill contro il surriscaldamento globale è cominciato quando ha visto staccarsi un pezzo di ghiaccio dal viso di Hillary». «Fredda» era un’altra accusa comune. Era. Oggi lo è molto meno. Piace più che mai, secondo i sondaggi è il leader politico più affidabile e credibile del Paese. Lei e il marito Bill, perché uniti sono meglio che separati. Qualche tempo fa avrebbe potuto essere un problema per Hillary. Oggi no. E se mai lo fosse, per la Casa Bianca se lo farebbe passare.