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 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

LA DIFFERENZIATA È UN BUON AFFARE E NON SOLO PER L’AMBIENTE


ROMA. L’industria del riciclo produce ricchezza, la discarica no. Qualcuno magari si sarà chiesto: ma varrà davvero la pena di «faticare» a riciclare, servirà tutta quella moltiplicazione di cassonetti e camion? Ebbene sì, non solo vale la pena dal punto di vista ecologico, ma conviene economicamente. E non si parla di risparmi per un lontano futuro, ma per il presente. «Il costo della gestione dei rifiuti urbani indifferenziati nel 2012 è stato 27,53 centesimi di euro al chilogrammo, il doppio di quello della gestione dei rifiuti differenziati: 13,73 centesimi di euro al chilo. E il risparmio c’è nei comuni di tutte le dimensioni, piccoli e grandi» spiega un rapporto che verrà presentato il 5 novembre a Rimini agli Stati Generali della Green Economy.
Ma come mai non si spende meno – costi ambientali a parte – a raccogliere e smaltire i rifiuti tutti insieme? Le ragioni sono varie. Anzitutto i materiali da riciclare possono essere rivenduti dalle amministrazioni, mentre le discariche non creano soltanto inquinamento, ma sono una spesa che non porta nessun guadagno, hanno costi di gestione sempre più alti quanto a manutenzione e personale e sono «punite» dall’ecotassa, senza contare che sono spesso oggetto delle mire della criminalità organizzata. Insomma, la raccolta indifferenziata dei rifiuti non fa male solo all’ambiente, ma anche alle nostre tasche, come mostra nel dettaglio il rapporto per gli Stati Generali della Green Economy. Ne parliamo con Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, che della manifestazione di Rimini è la struttura di supporto, cioè il principale organizzatore.
Proprio a Ronchi – 64 anni, ex parlamentare di Dp, dei Verdi e poi dei Ds, ministro dell’Ambiente nei governi Prodi e D’Alema, e di recente anche sub commissario per il risanamento ambientale dell’Ilva di Taranto – si deve il decreto di riforma della gestione dei rifiuti con cui, nel febbraio 1997, venivano introdotti per la prima volta degli obiettivi nazionali per la raccolta differenziata. L’Edo Ronchi di allora sarebbe soddisfatto dei risultati raggiunti oggi dall’Italia? «Sì, abbiamo fatto passi avanti. Allora la dipendenza dalla discarica era all’80 per cento, ora è sotto al 40. Peraltro allora c’era un’emergenza, pensate un po’, a Milano, dove a causa di indagini giudiziarie erano state chiuse delle discariche».
Anzitutto, e questa è una prima buona notizia, la differenziata è un fenomeno in crescita. È vero, nel 2013 la sua percentuale si è attestata solo al 42,3 per cento della raccolta di rifiuti nazionale. Dunque non è stato ancora raggiunto l’obiettivo fissato per il 2012, cioè 65 per cento, ma neppure quello del 2008, ovvero 45. Tuttavia in un anno è cresciuta di oltre 2 punti. E in alcune aree del Paese i livelli sono da Nord Europa: si avvicinano infatti all’obiettivo del 65 per cento il Veneto e il Trentino Alto Adige. Si collocano invece tra il 30 e il 20 per cento il Lazio, la Basilicata e la Puglia, e ancora peggio fanno Molise, Calabria e Sicilia. Mentre la Campania, al centro di tante emergenze e scandali rifiuti, è a metà classifica.
Colpisce, si diceva, il risvolto economico. «La differenziata rende più efficiente la gestione dei rifiuti, e rappresenta un investimento per i Comuni, che con i risparmi dovrebbero abbassare le tariffe per i cittadini» spiega Ronchi. Tra il 2008 e il 2013, i costi di gestione dell’indifferenziata sono aumentati del 18 per cento, quelli della differenziata solo del 7. Questo per quanto riguarda il risparmio. Poi bisogna considerare la creazione di ricchezza e di posti di lavoro: oggi le imprese che svolgono almeno un’attività di recupero sono quasi 9 mila, quelle attive a vario titolo nella gestione dei rifiuti sono cresciute dal 2008 al 2012 del 10 per cento e, nello stesso periodo, le persone occupate nelle aziende che hanno nel recupero dei rifiuti la propria attività principale sono salite del 13 per cento. Nel 2012 il volume di affari complessivo di queste imprese ha sfiorato i 34 miliardi (elaborazioni Ecocerved su dati del Registro imprese) per un valore aggiunto di 8 miliardi.
Ma si può fare ancora di più. La colpa non è solo del ritardo del Sud, ma anche di carenze normative, nonché del mancato sviluppo tecnologico delle imprese. Così il costo della gestione dei rifiuti in generale, che nel 2013 è stato pari a più di 10 miliardi di euro, continua ad aumentare, e cresce costantemente anche l’esportazione della nostra immondizia.
C’è un settore in particolare in cui si potrebbe, e dovrebbe, fare meglio? «Sì, nell’umido: servono impianti per il trattamento, soprattutto al Sud» risponde Ronchi, che però è ottimista per il futuro: «Pochi giorni fa ero a Cosenza, dove in un anno si è arrivati al 52,5 per cento di differenziata». Ma come si può ancora intervenire per favorire la raccolta differenziata e il riciclo in generale? «Fare in modo che la Tari, la tassa sui rifiuti, comprenda solo i rifiuti, non anche illuminazione e altri servizi, e che sia meno costosa nei Comuni in cui si ricorre di più alla differenziata, che d’altronde, come visto, fa risparmiare le amministrazioni. E poi sviluppare il mercato dei prodotti realizzati con i materiali riciclati: i Comuni dovrebbero dare loro la priorità ogni volta che comprano, per esempio, dei giochi per gli asili o dei banchi per le scuole. E bisognerebbe promuovere il riuso e il riciclo dell’invenduto alimentare, trasformando in mangime i prodotti scaduti oppure donando alle mense dei poveri l’invenduto non-scaduto dei supermercati» dice Ronchi.
Quello del riciclo è solo uno degli esempi, insieme al car sharing o al biologico o alle energie rinnovabili, di come la green economy può contribuire a farci uscire dalla crisi in modo «pulito». Ma per l’Europa può essere un investimento unico. Il conseguimento dei nuovi obiettivi della Ue, ovvero il 70 per cento di riciclo dei rifiuti urbani entro il 2030, creerebbe da solo 580 mila nuovi posti di lavoro.