Ilario Lombardo, Il Secolo XIX 31/10/2014, 31 ottobre 2014
ANGELINO “ACCHIAPPAGUAI” MINISTRO IN BALIA DEGLI EVENTI
ROMA. Angelino Alfano, in arte il “quid”. Ex delfino, neoleader del neocentrodestra in cerca di neovoti. Parafulmine e acchiappaguai della sventurata XVII legislatura. In un anno e mezzo di governo, ha collezionato più mozioni di sfiducia lui, tra quelle presentate o solo sventolate, che schiaffi Gianni dei Brutos. L’ultima ieri, targata M5S e Sel, per le botte dei poliziotti agli operai dell’Ast. Scene che hanno scatenato contro Alfano tutto il Parlamento e mezzo governo, che proprio non ci vuole passare da manganellatore. Raccontano di un Matteo Renzi furioso, mentre fuor di retroscena il ministro della Giustizia Andrea Orlando si è smarcato dal collega con tanto di comunicato. E Alfano? Non ha potuto che ammettere sconsolato ai sindacalisti ammaccati dagli scontri: «Una brutta giornata per tutti». Una delle tante, per lui. Meschino, Angelino, non gli sta andando benissimo dopo il doloroso addio a Silvio Berlusconi. Passato da rampollo a traditore, da enfant prodige a una specie di Gianfranco Fini meno ardito, calamità di sorrisetti maligni e veleno sulle sue prodezze da parte dei vecchi compagni forzisti.
E se con il partito son dolori, le cose vanno largamente peggio al governo. Tempo fa, paiono secoli, aveva incollata addosso l’etichetta del ministro (della Giustizia) ad personam. Tutta gloria, nell’Italia berlusconizzata di allora. Ma oggi, all’epoca delle larghe intese, Angelino è un ministro in balia degli eventi. La casistica è impietosa. Dal giorno in cui con un sorriso a mezza bocca con i suoi dentoni aveva accolto la fiducia forzata per il caso Shalabayeva dell’aula del Senato, in un clima tormentato, con il Pd costretto a salvarlo dagli artigli del M5S per ragion di governo. Senza di lui, Enrico Letta sarebbe saltato. Era il luglio del 2013, due mesi dopo quegli oscuri eventi avvenuti alla fine di maggio: il blitz nella villa romana del dissidente kazako Muktar Ablyazov; l’interrogatorio nel Cie della moglie Alma e della figlia Alua, e la loro espulsione via aereo con tanto di stretta di mano agli emissari del dittatore Nazarbayev. «Sono qui per riferire di una vicenda di cui non ero stato informato». Se la cavò così, Alfano davanti ai parlamentari. Il ministro a sua insaputa si salvò, sopravvivendo alla gaffe anche con il passaggio dei poteri a Matteo Renzi, mentre saltò il capo di gabinetto Giuseppe Procaccini, il capro espiatorio. Alfano è sempre lì, e ogni tanto si concede qualche intemerata, tanto per tenersi in allenamento da leader. Come a metà agosto, quando chiese l’abolizione dell’articolo 18, o ancora quando di recente vestito da paladino teocon minacciò tutti i sindaci che osavano registrare le unioni gay. Questione di spazi politici. Berlusconi si fa il selfie con la regina del Mucca Assassina Vladimir Luxuria, e Alfano si mette il cilicio.
Ma sono le grane di governo ad assillarlo. E, prima di arrivare a ieri, con un’aula quasi deserta ad ascoltarlo alla Camera, e meno di cento deputati presenti a sbadigliare o a ridacchiare, Alfano ne ha dovute già affrontare un bel po’. A maggio la sua strada si incrociò con quella di un tipetto un po’ così, una maschera tutta italiana. Genny’a Carogna entrò nel dibattito parlamentare dopo aver tenuto sotto scacco l’intero stadio Olimpico, autorità, “forze dell’ordine, e giocatori, prima di permettere il fischio d’inizio della finale di Coppa Italia Lazio-Fiorentina. Fuori, durante la guerriglia tra ultras, un ragazzo, Ciro Esposito, era rimasto a terra, colpito da un proiettile. Morirà dopo mesi di coma. A chiedere la testa di Alfano furono a gran voce un po’ tutti, e soprattutto gli amici di un tempo del Pdl, come Ignazio La Russa, ex collega di governo: «Alfano è una foglia di fico. Se ha un briciolo di dignità si dimetta». Lui, di nuovo in aula, si giustificò dicendo; «Lo Stato non ha trattato» con Genny.
Angelino d’Agrigento è un po’ così. Mette toppe dove può. Si è preso anche la sua bella dose di insulti per Mare Nostrum e per il passaggio alla nuova Operazione sul Mediterraneo, Triton, sotto un ombrello più europeo. Non bastasse Matteo Salvini della Lega, per ragioni opposte si è schierata contro il ministro anche la Marina, che chiedeva un ruolo maggiore, mentre nello stesso giorno la Gran Bretagna si sfilava dal pattugliamento salva-migranti. E pensare con quale fierezza si presentò al commissario Cecilia Malmström a Bruxelles. Arrivò in ritardo, e per giustificarsi diede la colpa – testuale – al “uaind”. Voleva dire wind. Il video della pronuncia fu censurato, non sia mai avessero visto che Angelino fa qualche gaffe. Poi però hanno scoperto anche quella.