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 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

“MUCCHE DI TROIA” E TUNNEL: DAL MURO SI SCAPPAVA COSÌ


A Berlino Ovest sbucano camminando, in fila indiana. Sono in 12, tutti anziani: il “capo” ha 82 anni. Per 16 lunghi giorni hanno scavato, 8 ore al giorno, il tunnel dietro un pollaio lungo Oranienburger Chaussee, Berlino Est. È la mattina del 5 maggio 1962: 265 giorni dopo la nascita del “Muro della Vergogna”, come verrà presto chiamato in Occidente. Uno dopo l’altro, hanno rimosso 3mila secchi di terra, per creare un tunnel, sotto il confine, lungo 32 metri. Soprattutto, alto un metro e 75: più del doppio dei cunicoli che centinaia di berlinesi “intrappolati” nella Ddr, la Repubblica tedesca comunista, stanno cercando di realizzare per scappare dal regime. «Volevamo camminare verso la libertà. Comodamente, senza doverci inchinare»: così la dozzina sporca di terra spiega l’insolita altezza del passaggio.
Gli eroi sapevano fuggire, a Berlino. Come Frieda Schulze, che a 77 anni, il 20 settembre del ’61, un mese e mezzo dopo la creazione del primo sbarramento, decide di sfruttare una delle ultime “finestre” per lanciarsi verso il mondo libero. Letteralmente. La primissima versione del Muro è fatta per lo più di filo spinato, e “corre” lungo i palazzi: le finestre, appunto, stanno a Est e affacciano sulla strada, a Ovest. Frau Schulze vuole lanciarsi, dal primo piano, i volontari della Ddr, che girano per controllare, cercano di trattenerla: i berlinesi dell’Ovest che l’aspettavano sotto si arrampicano, la strappano al “nemico” e si calano con lei verso il telone dei pompieri che attendevano di sotto. Non a tutti riesce: Olga Segler, a 80 anni, dalla finestra di casa, in Bernauer Strasse 34, cadrà per non rialzarsi più.
Ma i primi giorni, il primo anno, dalla costruzione, il Muro è un colabrodo. Il 15 giugno 1961, il segretario generale della Sed, il partito socialista dell’Est, Walter Ulbricht, primo leader della Germania Orientale, aveva detto solennemente: «Nessuno ha intenzione di costruire un muro». Ma dalla fine della guerra, tre milioni e mezzo di tedeschi se n’erano già andati dalla zona d’occupazione sovietica e dalla Ddr, passando dall’altra parte. Un’emorragia – di forza lavoro, di credibilità – che doveva finire. Chilometri di filo spinato, centinaia di tank di Mosca, decine di migliaia di poliziotti e volontari, il 13 agosto si schierano a sigillare la città.

La vita e la morte. Ma non è così semplice prendere la libertà degli uomini. Il primo a mostrarlo ai tedeschi (di entrambi i fronti) e ai due blocchi del mondo, è Conrad Schumann. Ha 19 anni, è una guardia della Polizia di confine ed è stato trasferito qui da Dresda da quattro giorni. Il pomeriggio del 15 agosto, davanti a un fotografo ben appostato, salta il reticolato fra Bernauer e Ruppiner Strasse. «L’immagine fa il giro del pianeta e porta con sé un messaggio: anche i soldati della Ddr stanno scappando», sostiene lo storico Hans-Hermann Hertle.
Le maglie cominciano a chiudersi, ma gli eroi, a Berlino, sanno anche morire, fuggendo. Il primo a essere ucciso è Günter Lit-fin. Ciuffo quasi rockabilly e sciarpina sotto la giacca nera, è il primo a saggiare l’ordine del politburo ai poliziotti: “Fermate chi viola il confine, se necessario con le armi”. Il giovane sarto, che fino a 10 giorni prima lavorava a Ovest, sceglie la via più breve: alle spalle del Reichstag, salta nel canale che divide in due la città e nuota. È quasi arrivato quando una guardia accende la mitragliatrice e lo colpisce alla testa. Nel primo anno, saranno 12 – quasi tutti ventenni – a seguire la sua stessa sorte, a Berlino; l’anno successivo 18.
Il Muro della morte non ferma, però, la vita di chi la sogna libera: nel ’62 c’è ancora chi, come Monica Schaar, che sta a Ovest, riesce ad andare sotto le finestre dei genitori – a Est, il marciapiede segna la separazione – per sposarsi davanti ai loro occhi. E i tentativi di fuga sono un’onda che cresce: in 12 mesi, dalla città riescono a “evadere” in 2.305. La tecnica dello “sfondamento” va forte. Quasi ogni giorno arrivano, anche in Italia, notizie di tentativi del genere. Quattro giovani si lanciano contro il Muro (che via via diventa di cemento) in una mezzanotte buia, nel settore centrale di Kreuzberg, a bordo di un camion militare di 5 tonnellate. Uno di loro è figlio del direttore della fabbrica che li produce: apparsi all’improvviso dalla piazza della chiesa di San Michele, hanno divelto filo spinato e pali, prima di abbattersi sulla “parete”: i militari non hanno fatto nemmeno in tempo a sparare. La tecnica è usata in particolare dai gruppi familiari: in un autocarro rinforzato anteriormente da uno spalaneve, alle 5 della mattina, sfondano – al posto di confine dei Tre Tigli – due coppie con i loro quattro bambini; nella cabina di un vero e proprio bulldozer si sono rifugiate altre due famiglie, atterrate indenni alla meta nonostante la sventagliata dei mitragliatori dei Vopos, le guardie della Ddr.
Anche più fantasiosi sono i tentativi ispirati al cavallo di Ulisse: in sei si nascondono dentro un’enorme bobina per cavi elettrici trasportata in Germania Ovest; nel 1969, per ben due volte riesce il trucco della “Mucca di Troia”, un’enorme vacca di legno cavo, da esposizione, che fa la spola tra le “due” città, all’interno della quale si nascondono ogni volta due fuggiaschi. Alla terza, però, Angelika B., che cercava di raggiungere il fidanzato, viene fermata a un posto di blocco e condannata a 2 anni e 10 mesi.
È fortunata. Molti sono i tentativi che falliscono. I morti accertati, dopo 28 anni di Muro, sono 138. Alcuni, come il 18enne Peter Fechter, colpito dalle guardie, viene lasciato morire dissanguato per due ore sotto il Muro senza che a nessuno sia permesso dargli soccorso. E c’è persino un bambino di 9 anni, Thomas Molitor, riuscito a “saltare” – via tetti – dall’altra parte, rimandato indietro dalle autorità dell’Ovest: «I bambini sono bambini, non possiamo servircene come ostaggi, anche se è lecito pensare che i genitori sarebbero felici di rimanere separati da loro pur di vederli vivere in un Paese libero», dichiara, a Ovest, il capo della polizia.
Negli anni precedenti alla caduta, ci proveranno, con alterne fortune, anche con piccoli velivoli d’ogni foggia. Ma è soprattutto attraverso i tunnel, che si scappa da Berlino Est. La “città delle talpe”, come viene spesso chiamata. Ne scavano di ogni lunghezza. E spesso funzionano, di solito finché qualche traditore non li segnala ai Vopos che li fanno saltare, dopo aver teso una trappola ai fuggitivi. «Per costruirne uno», raccontano due italiani impegnati nell’aiutare i transfughi, «ci vogliono dai 4 ai 6 mesi, a 12 metri sottoterra per evitare cavi e fognature». Nel timore che, sopra, sulle strade, passino anche carri armati, erano necessari rinforzi, con armature d’acciaio, tonnellate di legname (15 per una galleria di 160 metri) e tubi di stufa per purificare l’aria. Oltre che calcoli precisi per evitare il rischio di sbucare nel punto sbagliato (come spesso è accaduto).
Quando tutto sarà finito, a riuscire ad attraversare i 43,7 chilometri di Muro, a Berlino, saranno stati in 5.075, di cui 574 disertori. In 1.079 occasioni, le forze della Ddr apriranno il fuoco. Compreso l’ultima, su Chris Goeffroy, ucciso a colpi d’arma da fuoco, a 20 anni, 6 mesi prima della Caduta. Anche il suo sogno di libertà non poteva aspettare.