Guido Castellano, Panorama 30/10/2014, 30 ottobre 2014
ADDIO ALLA PENNA
Una delle istituzioni di Birmingham, città ricchissima di storia, è il museo della penna. Si trova nel quartiere dei gioiellieri, un po’ più a nord rispetto al centro. Qui, senza mascherare l’orgoglio, raccontano che nell’Ottocento il 75 per cento di quanto veniva scritto nel mondo arrivava da una penna costruita in una delle cento fabbriche aperte nei dintorni. Tutto è andato a gonfie vele fino al 1950,
quando sul mercato di massa ha iniziato lentamente a imporsi la penna a sfera brevettata da László József Bíró nel 1943 (la biro). Per il fiorente distretto inglese è iniziato un rapido quanto inesorabile declino.
La storia è fatta così: vive di evoluzioni e rivoluzioni che fanno a pezzi il passato, smantellano le tradizioni senza curarsi troppo di quanto robuste e consolidate possano essere. Il più grande rottamatore di simboli storici dei nostri tempi è il digitale. Dopo aver mandato in pensione il disco in vinile, la pellicola fotografica, il compact disc e il dvd ora si appresta a relegare nei musei il tratto culturale di un elenco infinito di generazioni, l’elemento analogico per eccellenza: la penna. O, più propriamente, ne ha asciugato l’inchiostro. Perché, quantomeno come forma (magari un po’ ridotta, compressa, assottigliata), la penna tra gli affanni sopravvive. Elemento di serie con un suo alloggiamento ad hoc negli smartphone di taglia extralarge, è utile per navigare rapidamente tra i menu o prendere appunti sullo schermo: la versione riveduta e aggiornata dell’antico calamaio. È accessorio per artisti, fumettisti, designer e dintorni per abbozzare schizzi sulle tavolette grafiche o su un tablet qualunque, saltando il passaggio della creazione su carta che uno scanner deve poi acquisire per trasferirlo a un computer.
Si tratta comunque di una sopravvivenza residuale, marginale. Il vero cambio di paradigma imposto dai computer prima e da tablet e smartphone poi, ha invaso la vita quotidiana, dove scrivere è diventato sinonimo di digitare con i polpastrelli sulla tastiera virtuale di uno schermo touch. Persino la firma, elemento connotante di una persona, specchio di un modo di essere interpretabile da tratti indecisi e sicuri, puntini sulle i accennati o arrotolati, accenti eretti, piatti o curvi, è diventata elettronica. Mediata da un clic. Colpa, se di colpa si può parlare assecondando un moto di nostalgia, del bisogno d’immediatezza di questi tempi veloci, bulimici, impazienti; della voglia di condividere tutto con tutti in tempo reale. Non chiedete alla net generation di scrivere una lettera, infilarla in una busta, incollare un francobollo, spedirla, aspettare una risposta e crucciarsi se non arriva. La tecnologia consente di sapere se un messaggio è stato inviato correttamente, consegnato, letto dal suo destinatario. Persino il linguaggio dell’amore si è affrancato dalla consuetudine romantica dei pensieri stesi a mano: secondo un recente studio di Samsung solo il 3 per cento degli italiani usa le lettere scritte a mano per dichiararsi e ancora meno, il 2 per cento, per porre fine a una relazione. E non è escluso che tra questa minuscola fetta di affezionati della posta, qualcuno sia stato così indelicato da comporre il messaggio al computer. Meglio, è il sentire comune, una telefonata, un messaggino, o qualche riga su WhatsApp. Veloce, immediata, brutale. Con faccine o senza.
Il paradosso vero, però, sembra essere un altro: a uccidere la penna, o quantomeno a stordirla mortalmente, non è stata la tastiera. C’era ai tempi della macchina per scrivere, i computer stessi hanno un passato ormai lunghissimo alle spalle, i telefonini anche, mentre il primo sms è stato spedito nel 1992,
ormai oltre vent’anni fa. Ad accelerare il suo tramonto è stata la voce. La possibilità di dettare una sequenza di parole, di frasi, e vederle comparire in tempo reale sul display. All’inizio i risultati erano goffi, improbabili, ai limiti del ridicolo. Si perdeva più tempo a rivedere un testo di quanto ne sarebbe servito digitandolo daccapo o prendendo appunti su un foglio.
Oggi Siri, l’assistente vocale di serie su tutti gli apparecchi Apple, ha affinato l’intuito ed è cresciuto. Si trova in ottima e nutrita compagnia: di Cortana, la gemella per Windows Phone, e di tutto il vasto ecosistema legato alla voce targato Google. Se c’è una connessione wireless che funziona a dovere, sono efficaci come non mai. Clinici. Se si dice loro «virgola», comprendono che è un segno d’interpunzione e non lo scrivono per esteso. Erano i peccati d’ingenuità degli esordi. Se si parla in modo naturale, dando loro modo di prendere un minimo di confidenza con la nostra dizione, raggiungono una rapidità e un’accuratezza che né una dattilografa, né tantomeno una biro, potranno mai sognare di sfiorare.
C’è una società americana, il cui nome è poco conosciuto, che è destinata a diventare il motore vocale di ogni cosa. Nuance ha sede a Boston, ma le sue soluzioni già funzionano ovunque. Un esempio: già oggi, oltre 450 mila medici, invece di scrivere ricette e referti, li dettano al computer. Soluzione adottata anche in oltre 3 mila ospedali. Nuance è la stessa società che ha rivoluzionato il concetto di tastiera inventando Swype (vedere illustrazione in alto a pagina 87). Una app utilizzata oggi da oltre 500 milioni di persone in tutto il mondo, disponibile per tutti i dispositivi touch. Per scrivere non serve più digitare lettera per lettera, ma basta trascinare il dito da un tasto all’altro senza sollevarlo dallo schermo. Uno speciale algoritmo interpreta i movimenti e prevede le parole, velocizzando drasticamentelascrittura. Swypericonosceanchelavoce. «La nuova frontiera va ben oltre il riconoscimento vocale» spiega a Panorama Agostino Bertoldi, vicepresidente europeo di Nuance. «I nostri sistemi non traducono più solo suoni in parole, ma capiscono il significato di quello che stiamo dicendo».
A trascinare il mondo e le nuove generazioni verso un futuro senza penna è l’America. Secondo quanto riporta il New York Times gli standard scolastici Common Core, adottati nella maggior parte degli Stati Uniti (45 stati su 51), prevedono l’insegnamento di una grafia leggibile soltanto in prima elementare. Poi l’importanza viene data soltanto all’efficienza che si acquisisce nell’uso della tastiera. Secondo quanto racconta il New York Times molti alunni negli Usa non sanno già più scrivere in corsivo, non riescono nemmeno a decifrare la grafia dei loro genitori e quando devono scrivere usano lo stampatello, anche quando sono matricole universitarie. Il motivo? Le scuole sostituiscono la penna e la carta con iPad e computer. I compiti in classe sono verificati con test digitali. Entro tre anni, tutti gli esami scolastici in America dovranno essere eseguiti elettronicamente. Addio penna quindi? Per psicologi ed esperti di neuroscienze è un errore pensionare la scrittura a mano libera. Può causare gravi danni all’apprendimento. Secondo uno studio realizzato da Karin James, psicologa presso l’Università dell’Indiana chi sa scrivere a mano libera apprende di più di chi usa la tastiera. Tesi avallata anche da altri due psicologi americani: Pam A. Mueller dell’Università di Princeton e Daniel M. Oppenheimer dell’Università della California a Los Angeles.
Insomma, se la penna non è morta, di sicuro non gode di buona salute. Chissà con quale tecnica verrà scritto il suo epitaffio. Improbabile, molto, l’uso di carta e inchiostro.
(ha collaborato Marco Morello)