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 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

CARLO CECCHI: “CON LUI I SUCCESSI, LA LITE, L’ADDIO FINO ALLA VERA AMICIZIA”

[Intervista] –
Eduardo è con Carlo Cecchi per sempre, anche ora, anche in quest’autunno milanese, durante le recite della novità assoluta per l’Italia che l’attore sta rappresentando al Teatro Franco Parenti, il sarcastico Lavoro di vivere di Hanoch Levin.
Cecchi, quanto ha contato Eduardo nella sua formazione?
«Moltissimo. Con il Living Theatre, per quanto l’accoppiamento possa sembrare paradossale, è la fonte principale di quel che faccio. È stato lui a liberarmi, dandomi il permesso di recitare in lingua napoletana. Capirà, essendo nato a Firenze mi sentivo un po’ intimidito. Ma negli anni di università a Napoli mi ero nutrito della grande tradizione teatrale della città, e lui di quel continente era la punta più alta, quella che aspirava a una dimensione universale. Un miracolo di stilizzazione, sempre legato a un’idea di realismo ma, del neorealismo, l’esatto opposto».
Poi entrò nella sua compagnia.
«Però un conto era Eduardo fuori dal teatro e un conto era Eduardo capocomico. Lì cominciarono le frizioni. Il nostro rapporto non poteva che finire in modo conflittuale, se pensa poi a quant’ero giovane.... E il conflitto lo risolsi nel peggiore dei modi».
Prese la porta?
«Appunto. Sparii e gli mandai un telegramma: ”Non torno più”. Era il 1969, facevamo ”Sabato domenica e lunedì”. Non s’immagina quanto me ne sia pentito. Per un po’ di tempo evitai d’incontrarlo, Angelica Ippolito che era rimasta in compagnia mi fece sapere che minacciava azioni fisiche: ”Lo strappo ’e mazzate”»
Ma alla fine ricomponeste.
«E lui fece come se niente fosse. Andavo a fargli visita, a trovarlo in teatro. Una volta qui a Milano, nel camerino del Manzoni. Lo spettacolo cominciava alle nove e un quarto e lui mi convocò prima delle cinque. Ero un po’ bevuto dall’emozione e per strada mi chiedevo: ma come mai arriva così presto, mica deve provare. Lo trovai già seduto al tavolo da trucco, mi vide e rispose alla domanda prima ancora che gliela facessi. ”Io vengo presto”, mi disse, ”perché mi scoccio talmente che non vedo l’ora di andare in teatro”».
All’epoca aveva portato a Milano tre atti unici, tra cui quel «Sik-Sik l’artefice magico» che anche lei ha ripreso molte volte.
«L’anno prossimo lo porto a Tokyo. Il germe del lavoro di Eduardo: l’opera che, dagli Scarpetta e dai Petito, lo proietta di colpo nel gran teatro novecentesco. Il personaggio della mia carriera al quale sono più affezionato con Amleto e con il Borghese gentiluomo, e non li metto in ordine d’importanza».
Questo Yona di Hanoch Levin entrerà nella classifica?
«Un personaggio faticoso, al confronto il Malvolio della Dodicesima notte mi pare una passeggiata. È un mediocre che in una lunga notte drammatica decide di rivelare alla moglie Leviva tutta la verità sul loro fallimento matrimoniale. Levin, morto nel 1999, è il più grande drammaturgo israeliano e viene rappresentato perfino in Cina, ma qui da noi nessuno l’aveva mai tradotto o messo in scena. Mi sono rivolto all’unica che in Italia lo conosceva, Andrée Ruth Shammah, che ha fatto un intelligentissimo lavoro di regìa».
Pure lei, come Franco Parenti al quale è intitolato il teatro in cui ci troviamo, vicinissimi a Eduardo. E anche Parenti fu Sik-Sik.
«Non riesco a considerarla una coincidenza ».
Egli Santolini, La Stampa 31/10/2014