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 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

PASSATA ’A NUTTATA, COSA RESTA DEL SUO TEATRO

Cosa rimane di Eduardo 30 anni dopo la sua scomparsa? La risposta è, moltissimo. Le sue opere sono in stampa e si vendono; le registrazioni televisive dei suoi spettacoli, riprodotte prima in Vhs e adesso in Dvd, continuano a circolare.
Interpreti di prim’ordine ripropongono regolarmente le sue commedie, chi nel segno della continuità (Carlo Giuffrè, il suo stesso figlio Luca) chi in quello della rilettura garbatamente adattata ai tempi nuovi (Toni Servillo e altri, tra cui il Marco Sciaccaluga di un recente, ammirevole Sindaco del rione Sanità). Le registrazioni curate dallo stesso Eduardo per la Rai-TV (con l’eccezione di una prima serie sciaguratamente distrutta dall’Ente) hanno consegnato alla posterità il documento di allestimenti in una veste molto vicina a quella per cui furono concepiti, il che smentisce il tradizionale assioma secondo il quale il teatro è scritto sull’acqua: anche se dell’attore, che fu immenso, nessuna pellicola può rendere il senso di comunione col pubblico. I famosi silenzi, le famose esitazioni di Eduardo, sempre dettati dal momento e dal clima che si era venuto a creare, qui non ci sono né ci potrebbero essere. Le registrazioni tuttavia sono preziose, sia perché spesso assai godibili in sé, sia come precedente col quale l’interprete moderno può confrontarsi, valutando se e come sia il caso di prenderne le distanze. Nella sua evoluzione Eduardo - l’Eduardo «serio» - da un realismo molto legato al momento passò all’esplorazione, talvolta con risvolti un po’ surreali, di temi più sottili, nascosti nel profondo della psiche umana. Non si può sradicare un capolavoro come Napoli milionaria! dalla città massacrata da quella guerra. Ma l’ambientazione letterale, per quanto gustosa, non è indispensabile ai due ancora più grandi capolavori dell’Eduardo «pirandelliano» - o meglio, postpirandelliano - vale a dire Le voci di dentro e Sabato, domenica e lunedì, due non-storie del non-detto, dove un avvenimento minuscolo (il sogno di un personaggio, il malumore di una brava casalinga) rivela ai membri di un gruppo familiare tensioni nascoste e odi repressi, con conseguenze che minacciano di diventare addirittura tragiche. E fuori dal suo tempo e buona in ogni contesto, non per nulla tradotta e replicata in tutto il mondo, è la materia di Filumena Marturano, col suo discorso sulla paternità che neanche l’odierna possibilità di risolverlo prosaicamente mediante il ricorso al DNA riuscirà mai a togliere dal repertorio.
Non c’è dunque bisogno di sottolineare il valore di Eduardo. Il teatro queste cose le decide da sé. Finché i lavori «chiamano», impresari e interpreti li mettono in scena. Quando ciò smette di accadere, passano nelle collezioni dei classici e sono offerti solo alla lettura. Qui importa piuttosto sottolineare il fatto, primo, che ciò avvenga - ossia, che le pièces siano allestite - e secondo, che ciò avvenga, e con tanta frequenza, oggi, ossia in un’epoca sempre più dominata dal predominio dell’immagine sulla parola, e del medium (cinema, Tv, web) sul contatto con la persona in carne e ossa. Se esiste tanta gente che, magari dopo aver fruito delle predette registrazioni, compra un biglietto per recarsi ad ascoltare il dettato di quei testi pronunciato da altri, vuol dire che non è ancora morto quello che una volta era considerato un bisogno primario: avere davanti un individuo che narra. Spesso sentiamo anche rimpiangere la decadenza della nostra lingua. Ma esiste, ancora, tanta gente che a quanto pare apprezza il suono di un parlato vivo, tanto più vivo quando non è koinè più o meno artificiale, ma schiettezza. Non sarà il nostro dialetto (come riduttivamente una volta lo si chiamava), ma la sua autorità ci mette in contatto con un passato nel quale non possiamo non riconoscerci. La nostra (il napoletano, NdR), disse una volta Luca De Filippo, è una lingua di cui non ci dobbiamo vergognare in Europa. Dove Eduardo (peraltro anche in inglese, io ricordo bene Laurence Olivier nella parte di nonno Antonio, «creata» dall’impagabile Enzo Petito), non ha mai smesso di commuovere, divertire e fare riflettere.
Masolino D’Amico, La Stampa 31/10/2014