Valérie Trierweiler, Il Giornale 31/10/2014, 31 ottobre 2014
LE CONFESSIONI DI VALÉRIE TRIERWEILER: «COSÌ HO AFFONDATO SÉGOLÈNE PER VENDICARMI DI HOLLANDE. LUI AVEVA GIURATO CHE NON AVREBBE SOSTENUTO LA EX ALLE ELEZIONI POI HA FATTO IL CONTRARIO»
Nel giugno 2012, al termine del primo turno delle legislative, la situazione elettorale non è favorevole a Ségolène Royal. È stata paracadutata a La Rochelle perché ha lasciato il suo feudo storico a un’altra candidata. Ma gli abitanti di questa città sono legati al candidato locale ormai «dissidente» del partito socialista, Olivier Falorni, militante di lunga data, che la tallona al primo turno.
Sono presente alla serata elettorale, organizzata all’Eliseo, nel salone verde che comunica con lo studio presidenziale (...) François analizza i risultati. In filigrana, si pone la questione Ségolène Royal. Lui scuote il capo: «Non ha più chance. È in testa con il 32%, ma Falorni la segue con il 3% di scarto. È ben piazzato. Al secondo turno, può farcela facilmente».
«Le darai il tuo appoggio?»
«No, puoi stare tranquilla, mi sono impegnato a non fare niente», mi assicura lui.
«Sai che Falorni è una persona perbene e ti è sempre stato fedele.»
«Sì, è una persona perbene.»
(...) Vado a dormire un po’ prima di mezzanotte. Mi sento rassicurata, perché temevo una nuova ondata mediatica. La stampa si è divertita a tal punto con la rivalità tra noi, con «Hollande e le sue due donne»... Mi sono sentita ferita nel profondo. Qualche giorno prima della cerimonia per l’investitura, il 15 maggio 2012, due giornalisti, che pure conosco bene, mi hanno telefonato per domandarmi se sarei stata presente.
«Perché tu ci sarai, se Ségolène Royal non c’è?», mi ha chiesto uno.
«E a quale titolo?», mi ha domandato l’altro.
Mi sono sentita così destabilizzata che ho risposto con voce malcerta: «Non so, dovrei diventare première dame, no?»
Nemmeno loro mi considerano legittima. Eppure, François e io siamo ufficialmente insieme da cinque anni, sette in realtà.
E continuo a non avere il mio posto al suo fianco.
(...) La mattina dopo, se ne va molto presto. Abbiamo giusto il tempo di ascoltare la radio insieme. Mi prendo tutto il tempo per prepararmi e scendo nel mio studio un po’ più tardi. Come faccio d’abitudine, consulto il thread dell’Agenzia France Press sul mio iphone. Scopro subito un messaggio classificato come urgente: «François Hollande dà il suo sostegno a Ségolène Royal».
Quel messaggio ha su di me l’effetto di una pugnalata. Il testo è scarno: «In questa circoscrizione della Charente-Maritime, Ségolène Royal è l’unica candidata della maggioranza presidenziale che può avvalersi del mio sostegno e del mio appoggio. François Hollande, presidente della Repubblica, lunedì 11 giugno 2012».
Mi ha dunque mentito e nel contempo ha disatteso uno degli impegni che aveva preso.
Perché non è stato sincero la sera prima, quando mi ha parlato? Perché non ha tentato di spiegarmi che non poteva fare altrimenti?
Che Ségolène Royal faceva pressione su di lui e che i figli erano intervenuti a favore della madre? Credo che avrei strepitato, ma mi sarei piegata. L’avrei capito, sono prima di tutto una madre, e lui lo sa meglio di chiunque altro. Non ha avuto il coraggio di parlarmene. Ha appena disatteso una delle sue promesse pubbliche, ostentata come un giuramento, e l’ha fatto per ragioni private. E a me ha mentito ancora una volta.
Telefono subito a François, furiosa. Lo avverto che sosterrò Falorni. (...) François sente che si è spinto troppo oltre e che io sono al colmo dell’agitazione.
Tenta di spegnere l’incendio che lui stesso ha causato: «Aspettami! Arrivo, incontriamoci di sopra».
(...) La mia collera esplode. È il nostro peggior litigio da quando ci conosciamo.
Non comprendo il suo tradimento, sarebbe bastato che non mi mentisse. Se soltanto fosse stato capace di dirmi, guardandomi negli occhi: «Cerca di capirmi, non posso fare diversamente per i miei figli... ». Io sono in grado di comprendere l’importanza della figura materna. Sono madre anch’io. Sì, avrei provato ad accettare.
Tenta di calmarmi, però, mi mente ancora. Mi garantisce che lui non c’entra, che è stato il segretario generale dell’Eliseo a occuparsi della faccenda. È il colpo di grazia: la menzogna è spropositata. Il segretario generale smentirà in seguito questa scusa ridicola: al contrario, ha cercato di impedire al presidente di dare il suo sostegno, perché così si confonde tutto, vita privata e vita pubblica. E non è l’unico consigliere ad aver tentato di dissuaderlo.
Eppure François l’ha fatto. Nel più profondo di me stessa, la sua decisione risveglia il mio senso di illegittimità che tanto mi ferisce fin da quando è stata ufficializzata la nostra relazione. Durante la discussione, avverto François del tweet di sostegno che ho deciso di redigere. Lui vuole impedirmelo, tenta di strapparmi di mano il telefono. (...)
Volutamente, non uso la parola «sostegno», ma «coraggio». Temo che Olivier Falorni possa gettare la spugna dopo il sostegno presidenziale a Ségolène Royal. (...) La collera ha la meglio sulla ragione. Il mio dito non trema mentre scrivo. E tanto meno quando si tratta di inviare ai miei follower. Sono le 11.56. «Buona fortuna a Olivier Falorni che se la merita, per essersi battuto al fianco dei rochellesi per tanti anni con un impegno disinteressato».
Non immagino nemmeno per un istante la deflagrazione che provocherà. Questa piccola frase si propaga alla velocità della Rete, viene ripresa, reinoltrata, commentata milioni di volte, ma io non ne sono consapevole. Accecata dalla menzogna del presidente, mi sono gettata da sola nella bocca del lupo.