Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 31/10/2014, 31 ottobre 2014
AI GIOVANI SENZA FUTURA PENSIONE
[Intervista a Sergio Rizzo] –
La frase più forte dell’ultimo libro di Sergio Rizzo, Di qui all’eternità (Feltrinelli), non sta neppure nel testo, essendo infatti una dedica nelle pagine che lo precedono. Dedica che recita: «A tutti i giovani che non avranno mai la pensione». Non che il noto giornalista del Corriere, classe 1956, di Ivrea, sia facile al populismo, anzi le sue inchieste, quelle che con Gian Antonio Stella sono diventate quasi un genere letterario, il genere Casta, sono serie e documentate.
Quella dedica contiene però una verità ineludibile: mentre ci sono migliaia e migliaia di giovani che non sanno se, un giorno, avranno la pensione, c’è un’Italia arroccata nel privilegio. È quella documentata nel libro, appunto, e che continua a marciare baldanzosa. Accada quel che accada.
Domanda: Rizzo, lei ci avrà fatto il callo, ma cosa si prova quando si è finito di mettere in fila una così lunga serie di brutture?
Risposta. Forse il paragone è un po’ esagerato ma mi sento un medico, il quale non è certamente contento di quello che vede, non è personalmente felice di aver individuato la malattia.
D. Ma sa che va debellata...
R. Sa che se non lo facesse, le cose peggiorerebbero. E fa le cose con passione. Semmai, io e gli altri che fanno questo genere di giornalismo, ché non sono il solo, per fortuna, non possiamo curare i molti malanni che individuiamo.
D. Però la diagnosi la fate bene. C’è anche un lato tragicomico di questa vicenda dei privilegi.
R. Sì, non mancano le note grottesche, ci sono situazioni così sorprendenti che strappano il sorriso, inevitabilmente. Una compensazione alle miserie viste o raccontate. Penso ai privilegi dei militari che vanno in auto blu perché, in caso di pioggia, non possono usare l’ombrello, accessorio disdicevole.
D. In effetti. Ma anche la politica offre tanti spunti. Lei ricorda la presidente del consiglio regionale sardo, figlia di un politico, la quale, dopo quattro legislature, con un duro lancio di agenzia ha detto che si imponeva il taglio dei vitalizi. Quelli di chi sarebbe stato eletto dopo di lei.
R. Certo, Claudia Lombardo, di Forza Italia, che, a 41 anni, intasca un vitalizio di 5.129 euro netti al mese. Nel 2011, dettò all’Ansa queste parole testuali: «L’eccezionalità del drammatico momento che stiamo vivendo sotto il profilo sociale ed economico ci richiama tutti a una straordinaria assunzione di responsabilità dato il delicato compito che rivestiamo».
D. Ma secondo lei gli italiani si indignano ancora?
R. Ho l’impressione che la gente si stia un po’ assuefacendo. Sì, quando c’è la notizia, magari la pagina di quotidiano, la puntata della trasmissione tv, c’è interesse, c’è un moto di riprovazione, ma poi mi pare che le cose rientrino.
D. Tornando al libro, qual è il tratto distintivo di questi varie forme di privilegio?
R. L’assoluta mancanza di vergogna. E dire che la vergogna è un sentimento importante, in una società.
D. Certo, è l’argine a tante derive.
R. Da noi, in alcune persone e alcune situazioni, il tratto dominante è quello.
D. Facciamo un esempio.
R. Prendiamo la Regione Lazio. Sa quante leggi sono state presentate e approvate per migliorare i trattamenti economici dei consiglieri dall’istituzione delle regioni a oggi?
D. Non lo so, ma voglio esagerare: dieci?
R. No, in 38 anni, sono 40. Lei capisce che, se dei consiglieri eletti per legiferare sul bene comune di quella Regione, si occupano prevalentemente, una legislatura via l’altra, della propria retribuzione, è segno che la vergogna non esiste più.
D. Sfrontatezza pura. Non è il solo caso.
R. No. Un esempio da manuale è quello del senatore Giuseppe Leoni, della Lega Nord. Il quale, da commissario in scadenza dell’Aero Club d’Italia, dove stava dal 2002, propone al senato un emendamento che proroga se stesso. E Palazzo Madama approva!
D. Vergogna condivisa...
R. Roba che in un qualsiasi parlamento estero le fanno un pernacchione. Già un presidente di un ente che fa pure il senatore sarebbe una rarità, figurarsi se poi legiferasse sull’ente stesso. Ma non è finita.
D. E perché?
R. Perché, quando c’è da rinnovare la piccola flotta per la scuola di volo, 18 velivoli, il commissario Leoni si sbizzarisce e gli attribuisce sigle che rimandano ai nomi dei leader del Carroccio: per cui nasce l’I-Umbe, in omaggio al Senatur Bossi, l’I-Cald, tributo a Roberto Calderoli, l’I-Rmar, dedicato a Roberto Maroni, mentre l’I-GTre immortala Giulio Tremonti. E c’è pure l’aereo del commissario: si chiama I-Noel, perché, in un momento di modestia, aveva anagrammato le prime quattro lettere del cognome.
D. Spirito goliardico, non c’è che dire.
R. E badi bene che il senatore Leoni non ha commesso nessun illecito: né da parlamentare né da commissario. E non è in questione la sua onestà. Ma io non sarei capace di farlo. E se lo facessi, non avrei il coraggio di farmi vedere in giro. E si tratta di fatti accaduti sotto il governo di Mario Monti, cioè quando su questi episodi, c’era la massima allerta.
D. Non è stato il solo.
R. No, c’è un episodio analogo con Mario Baccini che, dopo aver difeso con le unghie e coi denti l’Ente nazionale per il microcredito che presiedeva, in commissione bilancio alla camera è riuscito a riassegnargli 1,8 milioni di finanziamento tagliati dalla spending review. E ovviamente l’emendamento l’aveva presentato lui. Approvato all’unanimità e con questo suo commento: «Si tratta di incentivi alla lotta alla povertà per creare microimprese».
D. Poi ci sono degli inaffondabili veri...
R. Gli eterni, come Amedeo Caporaletti, una vita in Finmeccanica, è stato nominato a 83 anni nel consiglio di amministrazione di Ansaldo-Breda dal governo di Matteo Renzi. Persino a prova di rottamazione.
D. Senta, molta parte del libro è sui costi della politica. Dove le Regioni non fanno una grande figura. Alcune sembrano resistere sui vitalizi.
R. Sì, oltre alla questione degli acquisti disinvolti, c’è chi in Sardegna ha comprato coi soldi del gruppo parlamentare «un avvisatore di retromarcia» per l’auto...
D. ... beh, anche l’acquisto di un tagliaerbe da parte del consigliere del gruppo Insieme per Bresso, Regione Piemonte, era piuttosto singolare...
R. ...singolare anche ci fossero due gruppi consiliari, Insieme per Bresso, e Uniti per Bresso, ognuno composto da un solo consigliere, uno dei quali Mercedes Bresso medesima, allo scopo di avere più finanziamenti. Situazione superata però dal Gruppo Misto di Regione Lazio che, nella scorsa consigliatura, aveva avuto un solo consigliere. Gruppo Misto e unico.
D. L’ho interrotta nel suo ragionamento sulle Regioni, però. Riprenda pure.
R. Sì c’è un tema di classe dirigente. Con tutto il male detto del Porcellum e delle sue cooptazioni, bisogna ammettere che la classe politica nazionale è migliore. Perché in periferia, non c’è alcun meccanismo virtuoso.
D. Spieghiamolo bene.
R. Nelle regioni comanda la giunta, comanda il governatore. I consiglieri hanno solo lo scopo di portare i voti. Poi fanno i comprimari e fanno abbastanza poco. L’unica cosa importante che fanno è votare la legge di bilancio, sulla quale non può esser messa la fiducia. E qui si viene a patti, dando mance e mancette.
D. Già ma tengono botta. L’Istituto Bruno Leoni ha calcolato che l’anno scorso, in vitalizi regionali, si è speso 12 volte di più di quanto l’India abbia investito in ricerca spaziale. E a New Delhi hanno ambizioni: mandano satelliti nello spazio..
R. Una ragione vera è la mediocrità. Spesso siamo di fronte a persone che, se perdessero il posto in consiglio regionale, avrebbero seri problemi, perché hanno dimensionato la propria vita su aspettative di reddito esagerate. Però è un clima generalizzato, mi creda. A volte si vedono cose, dove meno ce le aspetteremmo.
D. Vale a dire?
R. Prenda il Quirinale, grande istituzione. Eppure, anche lì, c’è qualcosa che lascia un po’ interdetti.
D. Per esempio?
R. L’ex-segretario generale Gaetano Gifuni, condannato in primo grado per una vicenda legata alla tenuta presidenziale di Castelporziano (Rm), dove peraltro lavorava il nipote.
D. E dunque?
R. Poniamo che sia vittima di un errore giudiziario e magari venga assolto in appello, anzi glielo auguro.
È possibile che oggi, mentre io e lei ci parliamo, sul sito della presidenza della Repubblica figuri ancora come «segretario generale onorario»? Io credo che in Germania, per fare un esempio, non sarebbe possibile.
D. Sui costi della politica, alcune forze han fatto fortuna: penso allo stesso Renzi e al M5s. Qualcuno dice però che è sbagliato abolire il finanziamento pubblico. Che ne pensa?
R. Penso che la nostra sia stata una riforma sbagliata. A cominciare dal fatto che annuncia un’abolizione che non c’è. In secondo luogo perché prevede per le donazioni alla politica benefici che quelle fatte alla associazioni di volontariato si sognano.
D’altra parte il finanziamento pubblico c’è in tutti paesi, salvo la Svizzera, ma che parte economicamente avvantaggiata, diciamo.
D. E secondo lei quale sarebbe stata una soluzione migliore?
R. Quella delineata dal professor Piero Ignazi, che suggeriva di dare un tetto rigido al finanziamento: 30 milioni all’anno.
Quelli i soldi, se li facessero bastare. E non con la manfrina degli incentivi e degli sgravi, che fanno lievitare le cifre reali.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 31/10/2014