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 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

L’EUROPA DISCETTA DI STRESS TEST, MA SAREBBE MEGLIO CHE LA BCE SI DIA UNA MOSSA SUL QE

Se si guarda alle decisioni di mercoledì scorso adottate dalla Fed e alla condotta da essa tenuta in sei anni di crisi, si rileva la distanza enorme che separa la banca centrale americana, per le misure adottate e per la loro qualità, dalla Bce. La Fed si era riproposta di portare l’inflazione al 6%; successivamente aveva integrato questo obiettivo riproponendosi di fare scendere il tasso sotto questa percentuale. I fatti le hanno dato ragione, essendo il tasso in questione sceso al 5,9%. La Fed, portando gli asset in bilancio sopra 4 mila miliardi di dollari, ha concorso a rilanciare la domanda. Mercoledì la Banca centrale Usa ha potuto decretare la fine del Qe perché gli obiettivi sono stati conseguiti. Ma non ha deciso di aumentare i tassi di riferimento, ora tra lo 0 e lo 0, 25%, come pure qualcuno aveva ipotizzato, e ciò sia perché era stato comunque programmato di modificare i tassi a una certa distanza di tempo dalla fine del Qe, sia per la necessità di sostenere ancora la ripresa, pur non nascondendo la possibilità che si formino bolle finanziarie. Se invece si guarda alla Bce, va certamente rilevato il suo ruolo cruciale nel salvare l’euro dalla disintegrazione e l’Eurozona dalla catastrofe, ma dobbiamo in pari tempo riscontrare che mentre la Fed ha vinto la guerra alla disoccupazione, passata dal 9% alla situazione attuale – e ciò è parte del mandato della Banca – non altrettanto può dirsi per la lotta della Bce alla deflazione, che rappresenta, insieme con il contrasto dell’inflazione, l’unica missione assegnata dai Trattati Ue all’Eurotower. Possiamo al riguardo richiamare tutte le notevoli differenze istituzionali che dividono le due banche centrali partendo dalla configurazione giuridica dell’Unione, e per converso degli Stati Uniti, e arrivando alle norme che disciplinano le due stesse banche, passando per le caratteristiche strutturali delle due economie. Sta di fatto che la Bce, che a dicembre dovrà lanciare l’acquisto degli Abs, finora non ha conseguito risultati apprezzabili contro la deflazione, con il rischio che si accentui la miscela recessione-deflazione. Naturalmente qui si dà per scontata la critica ai ritardi e alla carenze di politica fiscale nell’interfaccia dell’Istituto monetario, cioè l’Ue e i governi dei singoli Paesi. Ma il mantenimento della stabilità dei prezzi è compito della Bce e costituisce l’oggetto della sua mission. Finora alla necessità di ottemperarvi la Banca ha risposto assicurando che passerà a nuove misure non convenzionali con evidente riferimento al Qe sui titoli pubblici e privati «se necessario». Ma in effetti tale condizione sta diventando una clausola di stile, visto che i presupposti si vanno da tempo determinando, mentre sono ancora considerati di là da venire. Non sfugge di certo il contrasto tedesco, la battaglia condotta contro le Omt che alcuni gruppi in Germania pensano di replicare se si desse corso ad altre operazioni straordinarie. Come non sfugge che con frequenza infrasettimanale dobbiamo leggere gli aperti dissensi di Jens Weidmann, capo della Bundesbank, e i moniti del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble. Di sicuro il cammino non è facile. Ma il tasso d’inflazione resta paurosamente vicina allo zero. Sappiamo bene che la deflazione (per di più mista a recessione) è una malattia peggiore di una forte inflazione. E allora non si può a lungo continuare nella condizione di «color che son sospesi», né imitando Quinto Fabio Massimo, perché ci sono già le condizioni perché metaforicamente si possa poi dire della Bce che restituit rem. È necessario uno scatto di autonomia, anche perché la variazione della politica monetaria Usa, unita a un’inerzia della Bce potrebbe creare problemi anche a livello globale. E questa è comunque l’occasione per riproporre l’esigenza di un maggiore coordinamento tra le banche centrali delle principali aree monetarie. Poi a livello politico si porrà la questione, non più eludibile, dell’ordinamento istituzionale della Bce e dei poteri in materia di disciplina del cambio. A condizione che tutto ciò non sia sorpassato dall’urgenza di rimediare ai danni compiuti dagli stress test, che in alcuni casi hanno fatto evocare la nota regola di Carlo Maria Cipolla sulla debolezza di doti intellettive capaci, come sono risultati alcuni consuntivi dei test, di danneggiare senza portare benefici a nessuno. Una severa autocritica sarebbe necessaria, anche perché se si prende come oro colato quanto deciso dai funzionari di Francoforte, vengono poi fatte deduzioni che certamente sono improprie, ma che comunque cominciano a fare «arbitraggi» tra le due categorie di Vigilanza, quella centrale e quelle nazionali, chiedendosi dove si sia sbagliato in presenza di alcuni risultati che invece sarebbero chiaramente ascrivibili alle deficienze e, più in generale, alla cattiva impostazione di alcuni profili della prova. Tuttavia il rischio che si dia la stura a queste considerazioni negative, per quanto difficilmente condivisibili, c’è. Sta alla Bce e alla Vigilanza centralizzata rimediare, a cominciare da un’interpretazione non tassativa del termine di 15 giorni entro il quale vanno presentati i programmi per colmare i deficit di capitale, poiché se così fosse sarebbe un «perseverare diabolicum». Gli impatti negativi sulla Borsa, che continuano, suggeriscono di non insistere nell’imitare la regola di Cipolla.
Angelo De Mattia, MilanoFinanza 31/10/2014