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 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

SILICON VALLEY SENZA TABU’. MA L’ALTRA AMERICA È CHIUSA

Secondo uno studio di Deloitte, circa l’83% di gay, lesbiche e bisex nasconde sistematicamente la propria sessualità sul posto di lavoro. Anche per questo il gesto di Tim Cook appare sin rivoluzionario. Prima di lui in verità era stato Glen Senk, ex ceo di Urban Outfitter, a fare un coming out dai piani alti della Corporate America. Era il 2012, poi nulla, o quasi.
Anche nella civilissima America esempi di coming out agli alti vertici aziendali sono pochi, quasi nulli se si parla dei manager delle prime mille aziende del Paese, come sottolinea il «New York Times». Non perché ci sia una discriminazione diffusa, Michael Sam, ad esempio, ammettendo pubblicamente la sua omosessualità, è divenuto il primo giocatore di football a fare coming out, e ha raccolto il plauso dell’opinione pubblica. Un conto però è il rettangolo di gioco, un conto sono i vertici di aziende. Qualche conferma la si trova nei numeri della discriminazione. E non solo in quelli che riguardano nello specifico i manager omosessuali, ma più in generale le minoranze o le donne. Ad esempio, oggi solo 48 sulle mille principali società Usa sono guidate da una donna; e solo 15 anni fa il primo afro-americano è balzato alla guida di una delle «Fortune 500». «Le leggi e le politiche di governance aziendale sono ancora lacunose», dice Deena Fidas, di Human Rights Campaign.
Passi in avanti sono stati compiuti, dal momento che il 91% delle «Fortune 500» adotta politiche contro la discriminazione legata all’orientamento sessuale, rispetto al 61% del 2002. Basti pensare che in 29 Stati americani, come (almeno sino al 2012) si poteva, tramite alcuni cavilli licenziare legalmente un gay.
Occorre però fare le dovute distinzioni; Silicon Valley e il comparto tecnologico sono mondi a parte. Società come Google, Facebook e Apple, ad esempio, partecipano regolarmente al Gay Pride di San Francisco, con propri striscioni e finanziamenti. Altre come Twitter, Intel e Apple offrono benefici ampi e inclusivi ai dipendenti omosessuali e a i loro partner. Il punto è capire quanto il cambiamento sia possibile in settori più maturi o gestiti da quello che viene chiamato «old-boy network».
Anche se non mancano eccezioni, come Bill Donius ex ceo e presidente di Pulaski Bank che ha pubblicamente dichiarato la propria omosessualità nel 1994, rimanendo sino al 2011 al timone della banca di St. Louis. O Joe Evangelisti, capo delle relazioni esterne di Jp Morgan Chase, il quale non solo ha fatto coming out, ma ha anche detto che l’ad del gruppo, il temutissimo Jamie Dimon, esce occasionalmente con lui e il suo partner. Lloyd Blankfein, numero uno di Goldman Sachs, il primo leader di Wall Street a definire la propria banca «gay-friendly», ha ammesso di aver perso qualche cliente da quando ha pubblicamente detto di essere a favore dei matrimoni gay. «Tutto avviene a un prezzo - ha dichiarato -, personalmente non mi importa nulla, ma ad altri sì».