vari (vedi testo), Oggi 29/10/2014, 29 ottobre 2014
E FU «OGGI»
(1939-1942)
Nel maggio del 1939, anno XVII dell’era fascista, in un appartamento romano in viale Regina Elena 68, c’è il fermento tipico della vigilia della nascita di un giornale. E mentre a Berlino viene firmato l’accordo di aiuto reciproco tra Italia e Germania passato alla storia come “il patto d’acciaio”, il direttore responsabile del nuovo “settimanale di attualità e letteratura”, Arrigo Benedetti, firma il “visto di stampi” per il primo numero di Oggi.
Il 3 giugno, un sabato, le edicole delle principali città italiane espongono il giornale, formato lenzuolo, vera e propria novità nell’editoria italiana che contribuirà alla nascita del giornalismo moderno: «Dopo i più strani contrasti siamo al nuovo settimanale. Lo facciamo Pannunzio e io, tentando un tipo di rivista attuale e insieme di lettura» (Benedetti). Oggi costa una lira, un abbonamento per l’Italia e per i Paesi dell’Impero 42 lire.
Un giornale è come un organismo vivente e quell’Oggi, destinato a diventare uno dei più gloriosi settimanali italiani, è messo al mondo da un padre prestigioso: Angelo Rizzoli, allora cinquantenne produttore cinematografico che da poco, accanto alla Cineriz, ha fondaco la Rizzoli Editore (sedi a Roma e a Milano, in piazza Carlo Erba 6). Un uomo che, come Arnoldo Mondadori, è di umili origini ma di grande genialità imprenditoriale. A dirigere il giornale Rizzoli chiama, con Arrigo Benedetti, Mario Pannunzio, anche lui come Benedetti originario di Lucca. I due si sono distinti come allievi di talento di Leo Longanesi, a sua volta direttore di Omnibus, un altro dei tanti nuovi settimanali voluti e pubblicati da Rizzoli, che aveva introdotto l’innovativa tecnica del rotocalco (genere che avrà la massima diffusione negli anni Settanta, con l’uso massiccio di immagini a colori a rafforzare l’attenzione all’attualità): un settimanale dalla vita breve, quell’Omnibus, in quanto il regime fascista lo chiuse nei primi mesi del ’39. Galeotto, per questo giornale antesignano di Oggi, era stato un articolo di Alberto Savinio, nome d’arte del fratello di Giorgio De Chirico, dedicato alle celebrazioni di Napoli per Giacomo Leopardi nel 102° anniversario della morte. Era intitolato Il sorbetto di Leopardi e l’autore lasciava intendere che la morte del poeta potesse essere stara favorita dalla dissenteria contratta in una gelateria del centro, poco pulita. Il podestà di Napoli, Giovanni Orgera, aveva trovato l’insinuazione offensiva per la città e aveva fatto pressioni sul ministro affinché prendesse provvedimenti contro il giornale. Provvedimento che arrivò tempestivo: «Prego Vostra Eccellenza che il settimanale edito da Rizzoli-Milano sospenda sue pubblicazioni per revoca riconoscimento del gerente responsabile Leo Longanesi causa atteggiamento tenuto dal periodico in questi ultimi tempi» (telegramma del ministro della Cultura popolare Dino Alfieri al prefetto di Milano, 2 febbraio 1939). Il giorno dopo la sospensione di Omnibus, il ministro riceveva un telegramma di ringraziamento, a nome della città di Napoli, dal podestà «per il vostro energico rapido salutare intervento».
Nella redazione del neonato Oggi si riforma la squadra che aveva già dato prova di un giornalismo d’inchiesta su temi storici, politici e culturali. Convocati da Rizzoli. Benedetti e Pannunzio accettano l’incarico della direzione e loro pongono proprio Longanesi a capo della redazione romana (ma non scrisse mai un articolo, come si legge in un ormai introvabile libro di Piero Albonetti e Corrado Fanti, Longanesi e Italiani, Edit Faenza).
Per gli addetti ai lavori dell’informazione, il poker d’assi che vara la nuova testata non ha bisogno di presentazione: Si tratta dei padri del giornalismo e dell’editoria italiana. Benedetti, tra l’altro, fonderà e dirigerà L’Europeo e l’Espresso e, fino alla morte nel 1976, guiderà i quotidiano Paese Sera. Pannunzio si fa notare per aver creato e diretto Il Mondo battagliero settimanale che si distinse per le denunce contro la speculazioni edilizia e gli intrecci tra imprenditoria e politici (in particolare il mondo democristiano e la Federconsorzi). Benedetti i Pannunzio abitavano a Lucca in due appartamenti vicini e facevano insieme lunghe passeggiare quotidiane. Diversi per carattere (Benedetti chiuso, spesso cupo; l’altro estroverso, brillante, donnaiolo) i due erano uniti dalla passione per la cultura e da un solo obiettivo: emigrare a Roma. Pannunzio voleva frequentare un corso per regista; Benedetti desiderava fare lo scrittore. Poco inclini verso il fascismo, un giorno erano stati redarguiti dal federale di Lucca per le loro assenze alle adunate. Non sono quelle intimidazioni a convincere Pannunzio a lasciare Lucca nel 1932 e a raggiungere Roma dove s’iscrive al Centro sperimentale di cinematografia. Cinque anni più tardi, nel 1937, è seguito da Benedetti che ha abbracciato la carriera di scrittore a Lucca ma si è deciso a continuarla nella capitale dove ritiene di avere più chance per affermarsi. Ha già cominciato a scrivere e con successo. Ha inviato articoli a Longanesi, dal quale ha avuto incoraggiamenti.
Questo è il tridente di grandi firme disoccupate dopo la chiusura di Omnibus e che Rizzoli chiama per varare Oggi. il giornale aveva avuto l’approvazione di Mussolini a patto che avesse due direttori giovani. Ma dirigenti, redattori e collaboratori della rivista, dopo una partenza nell’ambito di un apparente conformismo, manifesteranno una pericolosa tendenza a pensare con la propria testa, al di fuori dell’ortodossia fascista.
Oggi, con la sua linea che, in una cornice prevalentemente di guerra (tra notizie dal fronte e analisi geostrategiche, cronache politiche e prime cronache in rosa) propone giornalismo e letteratura di qualità, finisce nuovamente nel mirino della censura del duce. Il 31 gennaio del 1942 il settimanale è chiuso per disfattismo. In quel numero i due giovanotti avevano pubblicato un articolo dell’ex capo di Stato maggiore della Marina, Gino Ducci, il quale sottolineava un fatto oggettivo: l’inferiorità della flotta navale tedesca negli oceani rispetto a quella americana. Galeazzo Ciano, potente ministro degli Esteri e genero del duce, dirà che la rivista era «un organo di individui molto ambigui che stavano di fronte al regime con molte e poco celate riserve». Il collega Mario Missiroli consola i due ex direttori: «Amici miei, vi hanno soppresso non tanto per quello che avete pubblicato ma soprattutto per quello che non avete pubblicato».
Dossier a cura di Salvatore Giannella con la collaborazione di Michela Auriti e Mauro Gaffuri. Ricerca iconografica e d’archivio di Pierpaolo Anelli, Greta Fedele e Valentina Guzzardo