Edoardo Rosati, Oggi 29/10/2014, 29 ottobre 2014
FIDATEVI DELLA SCIENZA
[UMBERTO VERONESI]
Sulla sua scrivania campeggia la Bibbia. Conosce a menadito l’Antico Testamento, i Vangeli, gli Atti degli Apostoli e le Lettere di Paolo. E anche le sure del Corano. I principi del confucianesimo e del brahmanesimo. Del taoismo e dell’induismo. «Sono un non credente. Ma conoscere la storia delle religioni è una chiave cruciale per entrare nel cuore di quei Paesi e degli uomini che li abitano».
Ci sorprende ogni volta, Umberto Veronesi, 89 anni il 28 novembre. Invitato a tratteggiare il suo sguardo sul futuro, lui, il medico scienziato che ha vissuto l’avvento della penicillina e la donazione della pecora Dolly, spiazza l’intervistatore con un augurio "non scientifico": «Bisogna promuovere il dialogo interreligioso e l’interazione fra mondo delle religioni e mondo laico. Perché si sa: l’integralismo genera violenza».
E la violenza chiama violenza...
«È scientificamente dimostrato. È inutile bombardare l’Isis, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Bisogna dialogare. L’Isis è fatto di persone. Con le quali si può e si deve parlare. Più bombardano, più vedremo teste tagliate. Più taglieranno teste e più bombarderanno. Un maledetto circolo vizioso. Occorre incontrarsi, sedersi, interloquire. La pace dev’essere parte integrante del percorso educativo di ogni cittadino. La pace non è un intervallo tra due guerre: è una condizione mentale e culturale. La violenza, mi sia lecito il termine, è un’invenzione dell’uomo, perché la scienza ha dimostrato che noi siamo animali pacifici e che l’aggressività non è scritta nel nostro Dna. A madre Natura interessa che le sue creature si riproducano, non che si ammazzino a vicenda».
E la scienza, professor Veronesi, ci aiuterà a costruire un futuro di pace?
«Ne sono convintissimo. La sfida di domani, per gli scienziati, sarà soprattutto quella di uscire dai laboratori, per affrontare le tragedie dell’umanità. La scienza deve fornire un contributo massiccio allo sviluppo civile della società. Occuparsi della fame nel mondo, della mortalità neonatale, della difesa dell’ambiente, della reperibilità di fonti energetiche alternative e non inquinanti, della vecchiaia e della longevità... La scienza, come riporta il Decalogo che la mia Fondazione ha stilato a conclusione della Prima conferenza mondiale Science for Peace nel 2009, è lo strumento più adatto per la costruzione della pace globale. E vuol sapere una cosa?».
Siamo tutto orecchi...
«Nell’affermazione di questa pace planetaria le donne sapranno e dovranno scendere in campo perché da sempre contro la guerra. Io sono femminista convinto ed entusiasta, e il mio sogno è vedere le donne manovrare le leve della società, a partire dal Parlamento. Per la prima volta al mondo, in un Parlamento democraticamente eletto, il numero delle donne ha superato quello degli uomini: è accaduto in Rwanda. Dopo le persecuzioni razziali tra Hutu e Tutsi, che hanno segnato l’intera storia di questo Paese africano, la rinascita è stata possibile grazie alle donne rwandesi. Che meraviglia!».
Ma la scienza, di per sé, quale domani ci sta costruendo?
«La scienza è in una fase di grande espansione, di formidabile esplosione. Non risente della crisi, perché da 10 mila anni ha continuato a evolvere, a crescere, superando guerre, epidemie, carestie, rivoluzioni, crisi politiche ed economiche. Perché le idee non le puoi controllare, soffocare, reprimere. Le idee spuntano, crescono, muoiono e vengono rimpiazzate da altre fresche e più trascinanti. Il nocciolo vivo della ricerca di oggi è formato da quattro lettere: "grin". Sta per: genetica, robotica, informatica e nanoscienze. Mondi sconosciuti appena un secolo fa. Quattro aree che interagiscono e s’influenzano reciprocamente».
Qualche esempio pratico? In che senso?
«L’informatica serve a tutto e a tutti: al genetista per sequenziare il Dna in una manciata di di secondi o all’astrofisico per gestire i potenti osservatori astronomici di oggi. La nanotecnologia si occupa del controllo della materia su scala inferiore al micrometro (cioè al millesimo di millimetro) e aiuterà la medicina, grazie, per esempio, alla sua capacità di modificare la molecola di un farmaco, affinché possa colpire specificamente la cellula tumorale risparmiando quelle sane».
Il futuro della scienza è roseo, dunque.
«Ma, per certi versi, anche un po’ "inquietante", perché quella parolina magica, "grin", trasformerà il mondo. E noi dovremo prepararci al cambiamento. Pure nelle piccole cose: leggeremo giornali che non si bagnano sotto la pioggia, grazie ai nuovi materiali intelligenti, e una bicicletta peserà 100 grammi. Insegneremo sempre di più a distanza. I ragazzi non andranno più a scuola, ma a casa, col proprio computer, potranno avvalersi delle lezioni di docenti di ogni nazionalità, insegnanti che così saranno in grado di rivolgersi ogni volta non a una classe di 20-30 giovani, ma a centinaia e centinaia contemporaneamente. Non è fantascienza: tutto ciò è già in atto».
La scienza, insomma, pianta paletti e taglia traguardi e, di riflesso, ci offre nuove chance, inedite opportunità: nei comportamenti, nelle scelte di vita, nelle relazioni sociali e negli orientamenti sessuali.
«Verissimo. Ci sono due grandi ambiti, in particolare, che subiranno una radicale trasformazione proprio in seguito a questi sviluppi scientifici. La famiglia, innanzitutto. Mi spiego. I contorni del nucleo familiare tradizionale si stanno dissolvendo. Al tempo stesso vanno aumentando i rapporti omosessuali, transessuali e bisessuali. Il richiamo sessuale, come da sempre lo concepiamo, sta mutando, per convertirsi in un rapporto d’amore e intellettuale tra due persone. Se, indipendentemente dal sesso, due individui si amano, si amano. Punto. Problema procreazione? Ecco che la scienza scende in campo: col suo ventaglio di innovative soluzioni, tramite le procedure della riproduzione assistita e la possibilità della fecondazione eterologa, può oggi consentire anche alle coppie non tradizionali di mettere al mondo un figlio. È uno scenario che il mondo occidentale dovrà accettare».
Due ambiti, diceva: la famiglia e poi?
«La giustizia. È proprio la scienza a indicarci che la pena di morte è una mostruosità da abolire».
In che senso?
«La giustizia dovrà rivedere le sue politiche alla luce di un fatto: il cervello di un condannato cambia nel tempo. Il cervello si rinnova. Si trasforma. Al contrario di quanto abbiamo creduto sinora, i neuroni continuano a rigenerarsi anche nei soggetti adulti. Che cosa ci insegna questa scoperta? Semplice: chi ha commesso un reato a 20 anni non è biologicamente lo stesso individuo a 40. In altre parole, non lo si può condannare a morte a quest’età perché, scientificamente, il suo "io", il suo cervello è diverso da quello di una volta».
Praticamente, è come se si stesse punendo un’altra persona?
«È così. E allora vorrei un futuro in cui le carceri saranno chiuse e sostituite da scuole, dove vige la missione di rieducare chi ha sbagliato. Rieducare, non punire. Perché le prigioni sono culle di violenza, che esasperano gli animi deboli. Che amplificano l’aggressività. Se lo Stato uccide e si vendica con la pena di morte, in qualche modo ti autorizza a uccidere e a vendicarti anche nella vita di tutti i giorni. Una spirale di follia. Senza via di uscita».
La scienza ci aiuterà a combattere e ad annullare questi paradossi?
«E’ la mia viva speranza. Ma vorrei anche che nel domani di questo mondo si facesse sempre più strada una consapevolezza: che non siamo burattini nelle mani di una volontà superiore. Ognuno deve costruire la propria esistenza e responsabilizzarsi. Non è concepibile affermare: "Non posso farci nulla, Dio l’ha voluto!". Noi siamo chiamati a rispondere dei nostri atti. Dobbiamo decidere il nostro progetto di vita. E, sì, anche di morte. Io sono a favore del diritto di morire. L’eutanasia può rappresentare la fine dignitosa di un percorso di malattia in cui sono state intraprese tutte le forme possibili di terapia (assolutamente esemplare è la legislazione olandese in merito, che è stata redatta con la massima scrupolosità). Se qualcuno arriva a maturare la decisione di non accettare più questa vita, qualcuno che soffre di dolori intollerabili senza alcuna speranza di miglioramento, allora noi tutti dobbiamo osservare un silenzioso rispetto. Non condannare. Non scomunicare. Perché giudicare senza capire è la madre di tutti i mali».