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 2014  ottobre 30 Giovedì calendario

CARO AMORE, MI MANCHI NON SCRIVO PIÙ


UN ALTRO ROMANZIERE annuncia il suo ritiro dalla scrittura. Niente di particolarmente nuovo, si potrebbe pensare, soprattutto dopo che alcuni grandi autori, negli ultimi tempi, hanno deciso di posare per sempre la penna. Per stanchezza, per le condizioni di salute rese precarie dall’età avanzata oppure perché sentono di avere dato ai lettori tutto quello che potevano. È il caso di Philip Roth, classe 1933, lo scrittore americano eterno candidato al Premio Nobel per la letteratura, e di Alice Munro, del 1931, canadese, regina del racconto breve, che invece ha ricevuto nel 2013 l’ambito riconoscimento da parte dell’Accademia svedese.
Ma il caso di Michel Faber, 54 anni, è differente, e sta alimentando – giustamente – molte discussioni nell’ambiente letterario. Dietro il suo addio c’è la morte della moglie Eva Youren, sua compagna di vita per ventisei anni e sua moglie dal 2004. Jamie Byng, il suo riferimento alla casa editrice in Gran Bretagna, ha spiegato così la decisione: Eva era la persona per cui scriveva, «in termini di processo creativo era il suo centro assoluto».
Faber, olandese di nascita e scozzese di adozione dopo essere passato per l’Australia, è un autore pubblicato anche in Italia da Einaudi e Rizzoli. “Il petalo cremisi e il bianco”, storia della prostituta diciannovenne Sugar nella Londra del 1870, che ha richiesto vent’anni di elaborazione, è stato un bestseller internazionale, così come “Sotto la pelle”, da cui è stato tratto un film interpretato da Scarlett Johansson. Tradotto in 35 Paesi, Faber ha venduto due milioni di copie. Ma ora ha detto basta. Ha annunciato il suo ritiro durante il tour promozionale del nuovo libro, “The Book of Strange New Things”, e la dichiarazione-choc non sembra affatto una mossa pubblicitaria. «Volevo che questa fosse la cosa più triste che io avessi mai scritto», ha detto lui, intervistato dal New York Times. «Sentivo che avrei avuto soltanto un libro ancora dentro di me, che poteva essere speciale, sincero e straordinario, e che quello sarebbe stato abbastanza», ha aggiunto.
Uno dei primi ad augurarsi che Faber cambi idea è stato Philip Pullman, l’autore della trilogia fantasy “Quelle oscure materie”: «Non credo che ce la farà a resistere a non scrivere, è un autore troppo bravo». Le aspettative nei confronti di Faber, uno scrittore giudicato da molti critici sulla rampa di lancio, destinato a una brillante carriera dopo una serie di prove convincenti e una maturità stilistica ormai acquisita, erano (sono) ancora alte da parte dell’editore Canongate e quindi un ripensamento non può essere del tutto escluso.
“The Book of Strange New Things” è nato come una storia di fantascienza e si è poi trasformato dopo che è stata scoperta la malattia di Eva. Racconta di un religioso, Peter, che viene inviato come missionario su una pianeta chiamato Oasis, mentre sua moglie Bea resta sulla Terra, alle prese con disastri naturali, carestie e black out energetici che ne mettono a rischio la sopravvivenza.
Una storia sulla separazione, e sul dolore. «Quando Eva era malata – ha detto Faber – vivevo in un pozzo di sofferenza, ma anche con il senso di quanto sia preziosa la vita umana, un dono che ha nutrito anche il libro».
Perché il dolore, la sofferenza, sono da sempre motori della scrittura e scrivere è un modo per elaborare il lutto, e tenere ancora vivo il ricordo di chi non c’è più. Julian Barnes, lo scrittore inglese classe 1946, vincitore nel 2011 del Man Booker Prize con “Il senso della fine”, ha impiegato alcuni anni prima di riuscire a scrivere della moglie e della sua scomparsa, in “Livelli di vita”, pubblicati entrambi in Italia da Einaudi. Pat Kavanagh, sposata nel 1979 e morta nel 2008, era una delle maggiori agenti letterarie. “Noi siamo stati insieme trent’anni. Ne avevo trentadue quando ci conoscemmo, sessantadue quando è morta. Il cuore della mia vita; la vita del mio cuore”. In “Livelli di vita”, Barnes viviseziona il lutto, i propri sentimenti, i rituali sociali, le involontarie perfidie di chi ti chiede, pensando di aiutarti, se non sia ora che tu esca con qualche donna. “La piango senza complicazioni, né riserve. Questa è la mia fortuna ma anche la mia sfortuna. Fin dall’inizio ho pensato queste parole: mi manca in ogni attività e in ogni inattività”.
Un altro commovente omaggio alla moglie scomparsa è stato firmato dallo scrittore e saggista John Berger con il figlio Yves, in “Rondò per Beverly” (nottetempo). Un’elegia nata ascoltando un brano musicale “sui quarant’anni durante i quali abbiamo vissuto insieme e lavorato alle stesse cose”. Scrive Berger: “Mentre scrivevo, aspettavo costantemente le tue reazioni. Per me scrivere è una forma di denudamento, il tentativo di avvicinare il lettore a qualcosa di nuovo e l’aspettativa di questa nudità noi la condividevamo. Volevamo indagare insieme quel che sta dietro ai nomi delle cose e, quando lo facevamo, ci tenevamo stretti l’uno all’altro. Questo sorreggerci mi dava il coraggio di continuare quando riprendevo a scrivere da solo”. Michel Faber dovrà probabilmente lottare a lungo con se stesso per trovare ancora quel coraggio.
plebe@ilsecoloxix.it