Anna Rotili, Prima Comunicazione 10/2014, 30 ottobre 2014
YOUTUBE? MIO FIGLIO CREDE SIA IL SERVIZIO PUBBLICO
[Antonello Giacomelli]
“Con tutto il rispetto per i giornalisti che si esercitano sull’esegesi del patto del Nazareno dobbiamo renderci conto che ormai il mondo sta cambiando e sta cadendoci addosso. Il duopolio Rai-Mediaset è una stagione più che conclusa, la Rete, che si chiami Google o Netflix, è una rivoluzione di modello. Non ho tutte le risposte, penso però che nel sistema delle televisioni, delle normative, delle industrie creative, in quello professionale e in quello degli strumenti della cultura dobbiamo trovare i modi per stare in questo contesto nuovo”.
Ci voleva Antonello Giacomelli, l’ex vice sindaco di Prato salito al rango di sottosegretario alle Telecomunicazioni del governo Renzi, per certificare ufficialmente che, merito o demerito della Rete, anche qui da noi le cose cambiano, ed è con questo atteggiamento laico e realista che sta mettendo mano al settore della comunicazione.
Sarà perché suo figlio è convinto che YouTube sia il servizio pubblico, Giacomelli ha fatto di Internet il suo cavallo di battaglia in Europa e ha già centrato un bel gol. Cavalcando l’opportunità del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea è riuscito a convincere tutti i ministri delle Telecomunicazioni europei – convocati a Milano – ad aprire la discussione con gli Stati Uniti per cambiare la governance di Internet, e dal 2015 la società californiana Icann non sarà più l’unico controllore tecnologico della Rete come è stato finora.
Ma naturalmente buona parte delle energie del sottosegretario sono assorbite dagli affari italiani e prima di tutto dalla patata bollente del dossier sulla Rai che gestisce in stretta triangolazione con Luca Lotti, il sottosegretario all’Editoria di Palazzo Chigi, e con il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Si tratta di tenere botta al cadenzato timing degli interventi annunciati dal governo che saranno la riforma della governance della Rai, un ddl per le nuove modalità di pagamento del canone e la nuova convenzione Stato-Rai che confermerà l’affidamento del mandato di servizio pubblico all’azienda di viale Mazzini. Tutti provvedimenti che non sono proprio bruscolini e che dovrebbero incrociarsi con la fine, a primavera, del mandato dell’attuale vertice di Viale Mazzini per permettere la nomina del nuovo management con le nuove regole.
Da quando fa il sottosegretario le notti di Giacomelli si sono accorciate, visto che con Renzi si può parlare dalle 6,30 alle 8 del mattino e con Lotti solo dopo mezzanotte. A un incarico di questo tipo, lui che è un politico dal contatto diretto con la gente e più interessato alle dinamiche generali, proprio non pensava. Lo ha voluto Renzi, col quale ha un rapporto di fiducia nato nelle temperature toscane della Margherita e saldatesi quando Giacomelli diventò coordinatore regionale del partito grazie all’appoggio di Renzi contro la candidatura di Lapo Pistelli. A Giacomelli viene riconosciuta competenza e passione, del resto lui non è un neofita della comunicazione. Prima che politico nasce giornalista, iniziando nelle emittenti locali toscane, fino a diventare direttore di Canale 10, allora di proprietà di Vittorio Cecchi Gori che, a un certo punto, gli propose la vice direzione dell’allora Tmc, che Giacomelli declinò per andare a fare il vice sindaco di Prato.
Dei progetti del governo sulla Rai, di cui parla in questa intervista, dice: “Vogliamo cambiare la Rai e farla diventare un’azienda normale. Ma non c’è un disegno di riduzione. Abbiamo un’ambizione alta: darle l’opportunità di dispiegare al meglio le potenzialità umane professionali di relazione e di storia che possiede”.
Prima – Allora cominciamo dalla madre di tutte le riforme, e cioè la riforma della governance che stabilirà le nuove procedure di nomina delle responsabilità di governo della Rai abrogando la contestatissima architettura della Gasparri. È vero che avete pronto il decreto legge e lo presenterete entro dicembre perché diventi operativo prima della scadenza dell’attuale vertice Rai?
Antonello Giacomelli – Le cose non stanno esattamente come dice lei, perché non c’è ancora un testo o un articolato definito. Abbiamo però chiaro come intervenire sulla Gasparri e pensiamo di aprire rapidamente la discussione in Parlamento sulla proposta del governo per completarne il percorso in tempo per il rinnovo del vertice Rai.
Prima – Visto che il ddl è ancora da affinare ci spieghi i criteri che ispirano la proposta.
A. Giacomelli – Nella nostra impostazione, la Rai prima di tutto deve ritrovare una normale dimensione aziendale, e stare in una modalità di società che non è speciale e si comporta in linea col Codice civile accentrando grandi responsabilità di gestione in figure apicali che rispondono dell’andamento dell’azienda. Un percorso già iniziato dal governo Monti che ha dato poteri più ampi al direttore generale e che noi consolideremo.
Prima – Quello che dice suona come una vera novità: la Rai diventerà una società regolata dalle figure del Codice civile. Che altro?
A. Giacomelli – Allo stesso tempo ci sarà un organismo di controllo che vigila sul rapporto tra quello che la Rai fa in termini di gestione e il mandato ricevuto come servizio pubblico. Un organismo che con relazioni periodiche mette in condizione i cittadini che pagano il canone, la stampa e le istituzioni di valutare il comportamento dell’azienda pubblica.
Prima – Sembra un organismo-filtro tra la Rai e la politica. Sarà un consiglio di sorveglianza?
A. Giacomelli – Quello che ci preme è sganciare la Rai dalla dimensione politica nella quotidianità della gestione, restituendo alle istituzioni una forma di controllo vero e alto sull’operato del servizio pubblico.
Prima – Come si può raggiungere l’obiettivo?
A. Giacomelli – I modelli sono vari e li stiamo valutando: può essere un trust stile Bbc, un consiglio di sorveglianza, una fondazione o anche la stessa Vigilanza con un compito ad hoc.
Prima – Come sarà invece articolata la governance interna della Rai? Si parla di un amministratore delegato e un direttore generale.
A. Giacomelli – Sarà un meccanismo gestionale semplificato: al di là dei nominalismi, nel ruolo apicale dovrà esserci un capo azienda con forti poteri, ma ci sarà anche il ruolo di un organismo ristretto di consiglio che, al di là di come si chiamerà, interviene sugli atti e i passaggi di particolare importanza.
Prima – Ma sarà un Cda con poteri esecutivi?
A. Giacomelli – Le esprimo solo una mia propensione perché anche su questo punto non c’è una riflessione conclusiva. No, penso che il Cda debba avere solo un ruolo strategico.
Prima – Ma è vero che il Cda che nominerà il direttore generale o chi per lui sarà di diretta nomina parlamentare?
A. Giacomelli – Le voci che si rincorrono sono più avanti nel dettaglio di dove siamo noi. Ma è un dettaglio che non mi sembra decisivo, perché è la somma del tutto che dirà dove sta il potere di nomina.
Prima – Si spieghi meglio.
A. Giacomelli – Ammettiamo, faccio per fare un esempio, che sia il Tesoro, in quanto azionista, a dare i nomi. Se una norma stabilisse che quei nomi deve averli dalle Authority o dal mondo accademico, il Tesoro avrebbe un ruolo formale sì, ma la sostanza sarebbe diversa. Il punto è come verranno formulate le proposte, che caratteristiche debbono avere, quale è la sede deputata, quindi è il complesso delle cose a determinare chi nomina chi.
Prima – In linea di principio dunque non è da escludere un ruolo del Parlamento.
A. Giacomelli – Una sovranità del Parlamento in forme diverse c’è sempre stata: a volte a indicare i nomi sono stati i presidenti delle Camere altre volte la Vigilanza. E io personalmente non la trovo sbagliata. Certo è che i meccanismi di nomina dovranno portare non a una occupazione della Rai da parte dei partiti, ma alla identificazione di professionalità e personalità in grado di svolgere effettivamente quel mandato.
Prima – C’è chi ritiene cruciale a garanzia dell’indipendenza della Rai che ci sia un meccanismo atto a evitare che la governance sia condizionata dai ribaltoni al governo. Ci state pensando?
A. Giacomelli – La fonte di nomina e la certezza di risorse in un quadro pluriennale possono garantire che non ci siano interferenze. Ma penso che questo problema esistesse soprattutto in passato. Da Monti in poi sono stati fatti passi avanti: Gubitosi è stato nominato da un governo e ne ha attraversato altri due e non si è mai posto il tema. Renzi, poi, ha grande scrupolo a non sembrare un presidente del Consiglio vecchia maniera, tanto che, se è vero quello che leggo sui giornali, è Gubitosi a cercare un contatto con lui.
Prima – Renzi non incontra Gubitosi, ma lei sì. Di che parlate?
A. Giacomelli – In genere mi informa delle cose che stanno per accadere e, se ritiene, mi chiede una valutazione sulle scelte. Per esempio abbiamo concordato che era gradito un certo protagonismo Rai nel semestre italiano e la Rai si è fatta promotrice al Maxxi del convegno con i servizi pubblici europei. Così come abbiamo parlato nel momento dei famigerati 150 milioni: lui mi ha manifestato le sue preoccupazioni e io gli ho espresso quelle del governo.
Prima – E si è decisa la quotazione di RaiWay.
A. Giacomelli – Mi piacerebbe poter dire di essere stato io a spingere per la quotazione, perché penso che l’immobilismo cui è stata condannata RaiWay ha lasciato campo libero ad altri e non è stato un buon servizio fatto alla Rai. Ma in realtà ho solo incentivato il progetto che la presidente Tarantola e Gubitosi avevano già in mente e pianificato per il 2015. Così lo abbiamo anticipato e il direttore generale lo sta portando avanti molto bene. Sì, c’è un buon dialogo.
Prima – Ritornando alle scadenze che si è dato il governo, sembra sulla rampa di lancio il provvedimento per cambiare il sistema di pagamento del canone. Farete un decreto legge così che entri in vigore da gennaio?
A. Giacomelli – Sì, il provvedimento è pronto e la mia opinione è che sia un ddl.
Prima – Il canone è la tassa più odiata ma nessuno finora ha voluto metterci mano.
A. Giacomelli – Oltre a essere la tassa che gli italiani considerano più invasiva, è anche la tassa che è evasa in una misura vergognosa per le istituzioni, non concede equità né assicura risorse certe alla Rai. Il nostro provvedimento interviene per correggere questi aspetti con una modalità che consente di eliminare alla radice l’evasione e di graduare almeno un po’ il contributo a carico dei cittadini, ed è tautologico dire che se tutti pagano si pagherà meno la contribuzione che, va ricordato, è tra le più basse d’Europa.
Prima – Sarà quindi una tassa svincolata dal possesso del televisore. Si parla di un aggancio alla bolletta elettrica.
A. Giacomelli – Non ci siamo inventati niente: in Europa ci sono due o tre modelli che funzionano, sarà uno di questi. Il fatto positivo è di poter immaginare una sperimentazione biennale dato che il meccanismo si presta a essere ulteriormente affinato.
Prima – Alla fine di questo ambaradan la Rai, che oggi incassa 1,7 miliardi dal canone, avrò lo stesso introito?
A. Giacomelli – Non è nostra intenzione ridurre le risorse pubbliche a disposizione, semmai aumentarle. Ma è un finanziamento che va graduato in funzione del mandato di servizio pubblico. Visto che è nostra intenzione anticipare il rinnovo della concessione alla Rai sulla scadenza del 2016, sarà quella la sede per ridefinire anche l’affidamento.
Prima – Il governo sembra spingere per un forte cambiamento della televisione pubblica: sarà materia della trattativa per la nuova convenzione?
A. Giacomelli – No. Nella convenzione scriveremo i principi e le caratteristiche tipiche dell’affidamento del mandato, ma lo stile da servizio pubblico dovrà permeare l’operato e tutta l’offerta della Rai e si dovrà vedere negli show, nell’informazione, nelle scelte culturali. Altra cosa è invece la trasformazione dell’azienda, che riguarderà il mandato che daremo al nuovo vertice Rai.
Prima – Che cosa chiederete al nuovo management?
A. Giacomelli – Vogliamo che quest’azienda, che è prima di tutto un bene di tutti, si scuota dall’immobilismo che la tiene prigioniera e recuperi la centralità che un servizio pubblico deve avere nel sistema. Spetterà alla nuova dirigenza decidere quante reti o testate deve avere la Rai, ma è nostro compito dire che un modello nato nel ’75 è obsoleto e ci aspettiamo un progetto editoriale di riassetto. Del resto la discussione è già stata avviata e un primo effetto parziale lo ha avuto: non credo che senza il nostro pungolo Gubitosi avrebbe mai pensato a mettere mano all’assetto dell’informazione.
Prima – Su quali temi dovrebbero impegnarsi a Viale Mazzini?
A. Giacomelli – Penso che la Rai, nonostante la novità positiva del sito all news, abbia una insufficiente interazione con la Rete e una scarsa consapevolezza di quello che la Rete rappresenta. E in più penso che occorra fare un ragionamento su come stiamo sulle nuove tecnologie. Vedo che la Bbc ha le piattaforme YouView e iPlayer, in Francia Orange, la vecchia France Télécom, sta immaginando un modello Netflix per veicolare i prodotti culturali francesi. Non so quale sia la strada giusta, forse se ne possono trovare di più efficaci, ma sono temi che riguardano la Rai.
Prima – Lei non è stato tenero con Usigrai nella polemica scatenata dalla rimozione da parte del governo del vincolo posto alla Rai ad avere 21 sedi.
A. Giacomelli – Resto convinto che l’asset territoriale per le risorse, le potenzialità tecnologiche, le professionalità umane e le possibilità di relazioni abbia ampi margini di miglioramento, mentre l’immagine della Rai nel mondo deve essere fortemente innovata.
Prima – Le piace la riorganizzazione delle testate giornalistiche in due news room proposta da Gubitosi?
A. Giacomelli – È un progetto interamente della Rai su cui il governo non è entrato e non voglio metter bocca. Ma da giornalista le dico che mi sarebbe piaciuto un progetto più ambizioso che avesse portato fino in fondo alcune intuizioni: che si fosse interrogato sul senso delle testate, su come si intrecciano le diverse professionalità e sul tipo di informazione che si vuol fare. Detto questo è senz’altro positivo che finalmente si sia preso atto che lo schema tripartito degli editori di riferimento, e perciò dei tre tg, è cosa del passato,
Prima – Pensa davvero che il 15 dicembre, come annunciato dal direttore generale, nasceranno le due newsroom e che, stando alle voci di Viale Mazzini, nomineranno i due direttori?
A. Giacomelli – Quello che so è che quando il direttore generale mi ha presentato il senso del progetto, mi ha detto che era una fase iniziale e ci sarebbe voluta una fase successiva per svilupparlo e completarlo. E che per motivi di date non poteva che ipotizzare che il suo compimento sarebbe passato in eredità al suo successore. Mi sembra un atteggiamento ragionevole anche perché trovo difficile che una riforma dell’informazione sia pienamente applicabile senza affrontare il tema dell’identità delle reti in una rivisitazione editoriale complessiva. Non penso quindi che in poche settimane si possa realizzare questo cambiamento, né penso che stiano per arrivare nomine. Mi fido di Gubitosi che è una persona seria e non andrei dietro alle voci.
Prima – Il presidente del Consiglio sembra dar molto peso a una funzione culturale della Rai e tira in ballo persino il maestro Manzi. Sono le solite frasi rituali quando si parla del servizio pubblico?
A. Giacomelli – Si sbaglia. Renzi è molto convinto del ruolo di promozione culturale della Rai anche solo pensando all’alfabetizzazione verso i nuovi linguaggi e le nuove tecnologie. Ma ci sono anche altri temi: non è normale che i ragazzi pensino che YouTube sia il depositario della nostra memoria. Tra Rai e Istituto Luce abbiamo un patrimonio straordinario che dobbiamo trovare il modo di valorizzare non solo per renderlo fruibile, ma per trasformarlo in un asset.
Prima – Cosa pensa invece del rapporto della Rai col mondo produttivo?
A. Giacomelli – La Rai svolge già oggi una funzione molto importante ed efficace nel sostegno a cinema e fiction, ma va rielaborata per raccogliere le nuove sfide: le chiederemo di fare da volano al consolidamento dell’industria creativa per metterla in condizione di competere nella nuova dimensione. L’ho detto anche a Franceschini: Italia e Francia si sono schierate compatte sull’eccezione culturale nella trattativa con gli Usa sul commercio, ma quando Netflix compra un operatore in Francia e un altro in Inghilterra le barriere protezionistiche finiscono lì. Cosa vogliamo fare, mettere una tassa sull’innovazione?
Prima – Rai e produttori però litigano sul possesso dei diritti.
A. Giacomelli – Le rispondo con una domanda: perché solo la Rai viene tirata in ballo in questa discussione? Voglio dire che il tema è complesso e va affrontato in una prospettiva di sistema. Sia io che Franceschini siamo interessati a disinnescare un conflitto che, tra chi si sente una mucca da mungere e chi uno sfruttato, non va lontano.
Prima – Qual è il suo ragionamento?
A. Giacomelli – Abbiamo aziende sottocapitalizzate che non hanno sviluppato meccanismi di finanziamento alternativi né hanno potuto contare su sostegni di altro tipo. I nostri autori e registi sono apprezzati all’estero, ma il nostro prodotto si ferma alle Dolomiti. C’è anche un impianto distributivo di tutto il sistema Italia che va in qualche modo potenziato e arricchito di protagonisti con qualche voglia di rischiare sul piano internazionale. E potrei continuare ancora a lungo, ma concludo dicendo che occorre ricostruire un nuovo modello industriale e creativo e penso a un tavolo in cui il governo, Rai, Mediaset, Sky e il mondo produttivo si confrontino in una logica di sistema Paese su come funzionano le cose e come si possono modificare. Con Franceschini vogliamo arrivare qui.
Prima – Un impegno forte del governo sul fronte creativo sarebbe un gran passo avanti e del tutto inedito. Ma mi dica: nel dibattito che si è aperto sulla Rai si parla anche della necessità di distinguere le risorse da canone da quelle pubblicitarie, fino a una separazione societaria tra una Rai pubblica e una Rai commerciale. È una ipotesi all’attenzione del governo?
A. Giacomelli – Non ne abbiamo discusso e personalmente sarei contrario a un percorso del genere. Il servizio pubblico è un mandato impegnativo che informa di sé un’azienda e non vedo proprio come chi lo riceve possa distinguere i propri comportamenti sulla base delle tipologie dei programmi e neppure all’interno di meccanismi societari. Il bollino blu era l’arma che avrebbe aperto questa possibilità, ma l’abbiamo bocciato. Del resto la Rai è storicamente così: un mix di canone, pubblicità e risorse commerciali. Cosa vorrebbe dire separarne una parte e farne un soggetto commerciale? Possiamo e dobbiamo migliorare i nostri modelli, ma inseguire modelli nati in altre culture non ha senso.
Prima – Visto che volete valorizzare il ruolo del servizio pubblico, diminuirete gli affollamenti pubblicitari di Rai?
A. Giacomelli – No. E penso anche che un ragionamento sulla pubblicità vada fatto in un’ottica nuova. Continuiamo spesso a pensare come se tutto ruotasse ancora intorno al rapporto Rai-Mediaset. Ma quella stagione è finita. Già assistiamo a fatti impensabili perché vedo De Benedetti e Berlusconi che fanno, insieme ad altri soci, una società per la raccolta pubblicitaria di video on line (Gold5: ndr). Oggi il tema dei temi è la Rete e l’assalto degli over thè top, dato che tra poco Mediaset subirà un attacco ancora più consistente sul fronte della raccolta da Google, in tortissima crescita, e da Netflix se confermasse che il prossimo obiettivo è l’Italia.
Prima – E allora?
A. Giacomelli – Allora, per stare alla sua domanda, dovremmo chiederci come il sistema Paese sia in grado di reagire ai cambiamenti in atto sul mercato pubblicitario, come assicurargli le risorse e come dotarsi degli strumenti a livello di net neutrality per metterlo in grado di competere a pari condizioni con i player di Internet.
Prima – Anche lei conviene che bisogna regolamentare la Rete.
A. Giacomelli – Non possiamo lasciare un mondo fatto in un modo e l’altro in un altro: giornali, radio e tivù sono fortemente regolati, la Rete non ha nessun tipo di vincolo. Penso anche in termini pubblicitari: la pubblicità nel sistema tradizionale è legata, in fondo, a un rapporto di fiducia tra l’editore che offre il suo bacino di lettori e l’investitore e, allo stesso tempo, garantisce i suoi lettori su quella pubblicità, mentre sulla Rete siamo all’utilizzo dei cookie di terze parti che seguono ogni tuo click, e cioè i tuoi interessi, e li propongono agli investitori con aste istantanee. La distanza è abissale.
Prima – Come intervenire?
A. Giacomelli – Dobbiamo muoverci con la forza delle istituzioni ed è questo il tema che abbiamo posto in Europa e su cui ci stiamo impegnando in questo semestre italiano. Bisogna far sì che in termini di privacy, di garanzie, di regole, di pubblicità, costi e deontologia, i soggetti che crescono sulla Rete abbiano gli stessi oneri del competitor che naviga su un’altra piattaforma.
Prima – Regole uguali per tutti come chiedono i broadcaster?
A. Giacomelli – Se non uguali, penso però che un player del web, Google e simili, che raccoglie pubblicità, fa utili e utilizza opere di ingegno, non può sfuggire a una forma di relazione con l’interesse del Paese in cui opera. Può essere l’obbligo di contribuire alla Rete che utilizzano? Può essere l’obbligo di destinare una quota di investimenti al prodotto indipendente come hanno i broadcaster? Non so, certo è che questo è il tema vero della net neutralità, e cioè l’affermazione di una Rete libera e aperta ma realmente occasione di opportunità a parità di condizioni e nel rispetto dei limiti. Vorrei però chiarire fino in fondo il mio pensiero.
Prima – Dica pure.
A. Giacomelli – Per me la Rete non è una minaccia ma una grande opportunità. Sì, metteremo le regole, ma le regole non cambiano il futuro. Mi aspetterei dal sistema Paese la capacità di rispondere prima di tutto accettando la sfida dell’innovazione che è innanzitutto una sfida culturale, perché i nostri figli e i nostri giovani si sentono più cittadini di Internet che della televisione e lì decidono la loro vita. L’ho detto a Confalonieri che all’incontro di Confindustria parlava del pericolo di colonizzazione. È vero, e allora? Si mette una norma con il divieto di colonizzazione? La Rete va regolata e questo può aiutare i nostri editori, ma se non ci misuriamo con questa sfida rischiarne di essere solo mercato per nuovi fenomeni che stanno rivoluzionando tutti gli aspetti della vita.
Prima – A proposito di Mediaset e di futuro, cosa penserebbe se entrasse in Telecom?
A. Giacomelli – Non è un problema del governo. Telecom è una azienda privata e le sue dinamiche sono quelle del mercato: ho seguito la partita in Brasile, vedo Vivendi che ha un ruolo e immagino che questo porterà a ridisegnare gli assetti. A noi interessa un altro aspetto.
Prima – Quale?
A. Giacomelli – A noi interessa la tutela dell’infrastruttura strategica ed è nostra prerogativa garantire la sicurezza della Rete da tutti i punti di vista e il suo percorso di implementazione in modo che la Rete in Italia non si trasformi nell’umiliante constatazione di essere ultimi in Europa, ma diventi un asset per tutti. Su queste cose siamo determinati a dare delle risposte, a prescindere dai soggetti coinvolti.
Prima – Ma vede con favore il processo della convergenza su cui siamo ancora all’anno uno rispetto ad altri Paesi?
A. Giacomelli – Tutte le televisioni, da Sky a Mediaset, sono interessate alla convergenza e su questo ascolto opinioni diverse: c’è chi non la ritiene strategica e chi vi vede il futuro. Non sono un manager e non ho un’opinione precisa, ma dico a tutti gli operatori coinvolti che saremo con tutti attenti a tutelare l’interesse generale, rispettando le dinamiche di mercato e gli interessi privati di ciascuno. E oggi l’interesse generale è che Telecom smetta di essere solo oggetto di valutazioni di partite finanziarie, che abbia un piano industriale forte e convincente, che ci sia uno sviluppo della Rete che ci consenta di stare dentro gli obiettivi europei e che la sicurezza, ripeto la sicurezza, della Rete sia garantita.
Prima – Lei ha idee chiare e progetti ambiziosi, ma proprio per l’importanza delle partite ho l’impressione che se non si attiverà la cabina di regia del presidente del Consiglio, tutto resterà ancora in camerino.
A. Giacomelli – Questa è la percezione di chi pensa che la Rai sia l’ombelico del mondo. La percezione dal nostro punto di vista è un po’ diversa. In questo momento e da alcuni mesi l’intervento sull’economia nazionale è la priorità assoluta del governo, tanto da segnare la legge di stabilità che si sta facendo e concentrare tutte le risorse per dare un segnale che scuota il mondo del lavoro. E per tutto il governo, in modo solidale, lo sforzo è in quella direzione. Ma non mi sembra che siamo in camerino: la quotazione di RaiWay tra poco è realtà e solo con un po’ di moral suasion è partita una riforma dell’informazione Rai di cui non c’era traccia. Quanto a operatività, anche senza un provvedimento, siamo già molto avanti e troveremo il modo di fare le cose nei tempi giusti.
Intervista di Anna Rotili