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 2014  ottobre 30 Giovedì calendario

ORA LA BCE È A UN BIVIO

L’uscita della Fed dal programma di acquisto di titoli (Qe) avrà effetto anche sulla politica monetaria europea. Nei prossimi mesi la Bce dovrà infatti decidere se la fine del Qe americano rappresenta una ragione in meno per seguire anch’essa la strada dell’allentamento quantitativo, o se al contrario impone di procedervi con maggiore urgenza.
Dal maggio 2013, da quando la fine del Qe è stata annunciata, si erano viste ripercussioni delle scelte americane soprattutto sui mercati emergenti, ma negli ultimi due mesi anche l’Europa ha risentito del cambio di direzione della Fed in particolare attraverso le oscillazioni del cambio tra l’euro e il dollaro.
Le grandi incognite sul tavolo di Mario Draghi sono legate in primo luogo alla necessità di contrastare uno scenario di deflazione e di frammentazione del sistema finanziario europeo. Il cambio di rotta della politica monetaria americana va dunque misurato in ragione dell’obiettivo europeo di riportare i prezzi a un tasso di crescita normale, prossimo al 2% e il deprezzamento del cambio euro-dollaro resta il canale principale attraverso il quale la Bce può spingere sia la crescita sia l’inflazione.
Ma stimare gli effetti della mossa della Fed non è facile. Se la fine del Qe portasse un aumento dei tassi d’interesse a breve negli Usa, potrebbe trasmettersi anche ai tassi a lunga che a loro volta avrebbero un impatto difficile da prevedere sui tassi a lunga in Europa dove pure l’economia è molto più debole. Le stime sul cosiddetto "spillover effect" del Fondo monetario non sono risolutive nell’identificare le conseguenze in Europa di una stretta Usa.
Il fatto che la Fed abbia giustificato lo stop al Qe con la fiducia nella forza dell’economia americana, può far migliorare le attese di crescita anche in Europa, con il rischio di un prematuro rialzo dei tassi. Per reflazionare l’economia europea però la Bce non può permettere ai tassi d’interesse di invertire la direzione, seguendo quelli americani.
Poiché in linea di principio il differenziale dei tassi deve corrispondere alla variazione attesa del cambio, sarà necessaria molta perizia nel contenere i tassi europei e al tempo stesso mantenere un’aspettativa di deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. Alla fine di settembre si è visto un apprezzamento del dollaro del 10% piuttosto rapido rispetto all’euro, ma il dollaro ha poi ridotto i guadagni quando la Bce ha deluso i mercati non indicando i volumi di titoli che avrebbe acquistato. Quelli dei cambi sono d’altronde movimenti piuttosto instabili che possono cambiare segno senza riguardo per i fondamentali dell’economia. Nonostante un’economia in condizioni di grave difficoltà, il cambio effettivo dell’euro è sottovalutato solo del 2% rispetto alla media degli ultimi quindici anni.
Inoltre negli ultimi giorni si sono visti flussi di capitale che uscivano dalla zona euro verso il dollaro per le ragioni meno gradite, cioè per la nuova incertezza sulla solidità dell’euro area. Dipenderà da politiche attive della Bce se il deprezzamento dell’euro avverrà non per l’instabilità dell’economia ma anzi per politiche intese a stabilizzarla evitando ai tassi europei di essere trainati da quelli americani.
Un programma protratto di acquisto titoli sembra l’unica arma a disposizione per mantenere aspettative di deprezzamento del cambio nel tempo. La politica convenzionale - di piena allocazione della liquidità al sistema bancario con l’incentivo di un tasso d’interesse ridotto - non spinge più il credito ora che i tassi anche a lungo termine sono già vicini allo zero. È necessario acquistare i titoli in portafoglio delle banche, compresi quelli in dollari, punire con tassi negativi chi rideposita la liquidità presso la Bce e non lasciare alle banche altra alternativa se non quella di prestare denaro all’economia reale.
L’esperimento negli Usa offre qualche lezione al riguardo. Come previsto dalla teoria, il Qe non ha avuto grande effetto sul livello generale dei tassi, ma ha avuto invece un forte impatto relativo sul prezzo delle attività acquistate dalla Federal Reserve. Se l’obiettivo della Bce è di ridurre la frammentazione del sistema finanziario europeo, allora lo strumento dell’acquisto mirato di titoli, peraltro improbabile, sarebbe certamente quello più adatto. Ma se la priorità resta soprattutto quella di rilanciare la crescita e invertire la discesa dei prezzi allora il canale del tasso di cambio è fondamentale. Per questo la discesa protratta del cambio euro-dollaro sarebbe tanto importante.