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 2014  ottobre 27 Lunedì calendario

BANCHE E STATO, UNA CATENA DEL RISCHIO DURA DA SPEZZARE

La catena che lega il rischio-banca al rischio-Stato non si riesce proprio a spezzare. È una catena fatta di tanti anelli: quando il rischio-Paese peggiora e i rendimenti dei titoli di Stato e gli spread salgono, anche il costo della raccolta per le banche che emettono senior bond sul mercato aumenta. Quando il rating sovrano viene declassato, i voti nella pagella delle banche (di solito) vengono tagliati. Quando l’economia rallenta, le sofferenze salgono. Quando lo Stato bussa alla porta delle banche per aumentare il gettito fiscale, la redditività dei titoli bancari in Borsa cala.
Inevitabile che uno di questi anelli finisse nelle "prove di resistenza" della "valutazione approfondita" (comprehensive assessment) alla quale sono state sottoposte le 15 banche italiane. Per la prima volta, come sottolineato a più riprese nella conferenza stampa della Bce e della Banca d’Italia, lo stress test ha tenuto conto dei titoli di Stato nel portafoglio delle banche. Una decisione che non ha precedenti e che ha penalizzato non poco le banche italiane, notoriamente tra le più esposte in via diretta al rischio-Paese proprio per la grossa mole di bond governativi in portafoglio: secondo i dati Bce, le banche italiane a fine agosto ne detenevano per 427 miliardi.
Ieri si è appreso che lo scenario più avverso (molto avverso) dello stress test ha simulato – attenzione, non previsto – per gli anni 2014-2016 un rendimento dei titoli di Stato in area 6% (5,9% nel 2014 quando adesso è attorno al 2,5%, e poi 5,6% e 5,8% rispettivamente nel 2015 e 2016). Questa simulazione, equivalente a un «vero e proprio tracollo» secondo la Banca d’Italia, ha fatto pesare sulle banche europee ed italiane un volume enorme di perdite potenziali (28 miliardi per le europee dato dal crollo dei prezzi dei bond) quando in realtà in questo momento le quotazioni sono schizzate alle stelle e i bilanci sono gonfiati dalle plusvalenze provenienti dai titoli di Stato.
Uno stress test, tuttavia, serve proprio a collaudare la resistenza e la tenuta di una banca in uno scenario sull’orlo del baratro (non così irrealistico dopotutto dato che nel novembre 2011, solo tre anni fa e in assenza delle OMTs di Mario Draghi, i BTp viaggiavano all’8%). Nel caso specifico, per le banche italiane il rendimento utilizzato come base di partenza per lo stress test è stato del 3,9%, quando in realtà all’inizio del 2014 il rendimento in questione viaggiava al 3,2%. Il dato di partenza non è stato puntuale e questo ha penalizzato ancor più le banche italiane: a quel 3,9% si è aggiunto un balzo di oltre il 2% per arrivare a un livello vicino al 6%, mantenuto per i tre anni dello stress test. Risultato: alle banche italiane oggetto della prova di resistenza sono state imputate perdite potenziali, simulate, per circa 3,5 miliardi. Il calcolo ha tenuto conto di una durata finanziaria nel portafoglio dei titoli di Stato di quattro anni con una perdita del 13 per cento.
Lo scenario realmente apocalittico, tuttavia, non è quello dato dallo stress test che in fondo altro non è che una simulazione e che, come messo bene in evidenza nelle prime righe del comunicato stampa della Banca d’Italia, è un esercizio «che ha natura prudenziale, non contabile e non si riflette automaticamente sui bilanci delle banche». L’apocalisse, semmai, è da venire. Questo stress test infatti crea un preoccupante precedente sui cosiddetti "holdings" dei titoli di Stato, al momento contabilmente convenienti e vantaggiosi perché non assorbono capitale. Una sorta di capital-free. Questa prova di resistenza ha rotto il ghiaccio: ha fatto entrare – per ora in punta di piedi – per la prima volta il concetto che esiste un rischio al quale le banche si espongono investendo in titoli di Stato e questo rischio prima o poi andrà quantificato. In prospettiva, pur se in una prospettiva lontana, alle banche potrebbe non convenire più l’acquisto dei titoli di Stato in grandi quantità. Gli istituti di credito italiani detenevano a fine agosto 427 miliardi di titoli di Stato contro i 275 delle francesi e i 359 delle tedesche (in percentuale del Pil questo dislivello tra Paesi si accentua). Nel 2009, i titoli di Stato detenuti dalle banche italiane superavano di poco i 200 miliardi: la crisi del debito sovrano e la svendita di bond governativi da parte degli investitori esteri ha spinto il sistema bancario italiano (e anche quello spagnolo) a fare da scudo per proteggere il rischio-Paese: con acquisti per oltre 200 miliardi. Uno scudo che potrebbe diventare costoso se lo stress test fosse un primo passo verso la direzione di una stretta sui requisiti contabili, patrimoniali e prudenziali collegati ai titoli di Stato.