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 2014  ottobre 27 Lunedì calendario

IL FARO BCE E LE MOSSE IN EXTREMIS

Sulla base dell’«irrevocabile conversione» di un bond di 253 milioni decisa da Bpvi sabato sera con un Cda d’emergenza convocato il giorno prima della comunicazione ufficiale dei risultati dell’esercizio europeo, Palazzo Koch ha calcolato che l’istituto vicentino sarà in grado di superare per il rotto della cuffia quel 5,5% di rapporto tra capitale utile e attività ponderate per il rischio che la Bce aveva stabilito come soglia minima in condizioni di stress.
In un suo comunicato l’istituto vicentino ha definito «positivo» l’esito dell’esame europeo, spiegando di aver colmato la propria «carenza tecnica grazie alle iniziative di capitale realizzate nel 2013 e 2014», inclusa la conversione del suddetto prestito obbligazionario.
Al Sole 24 Ore risulta invece che l’esercizio della Bce abbia fatto emergere criticità nell’aumento di capitale concluso pochi mesi fa dalla maggiore banca non quotata italiana. La Bce ha infatti formalmente confutato i dati di quell’aumento. In particolare Francoforte ha contestato l’inclusione nel capitale utile ai fini del superamento dell’esame di un fondo destinato al riacquisto dalla clientela di azioni proprie collocate questa primavera.
E poiché il riscatto del bond che ha permesso all’istituto vicentino di cavarsela per un pelo sarà «regolato esclusivamente mediante la consegna di azioni» emerge anche la questione del prezzo di conversione di un titolo il cui valore viene da sempre deciso unilateralmente dallo stesso Cda.
L’affiorare di queste problematiche non sorprende Paolo Trentin, imprenditore di Schio attivo nel settore degli imballaggi e delle spedizioni. «Semmai mi sorprende che le modalità usate dalla Popolare di Vicenza per vendere i propri titoli non abbiano destato prima l’attenzione delle autorità», dice Trentin, la cui azienda di famiglia, aperta dal padre nel 1948, aveva il conto numero 1000 della Bpvi. «A noi sono ripetutamente venuti a offrire azioni dell’istituto in cambio di finanziamenti. Io mi sono rifiutato e dopo pochi mesi mi sono stati ridotti gli affidamenti».
Trentin è convinto che il suo non sia stato un episodio isolato. «La mia esperienza porta a pensare che non abbiano fatto così solo con le aziende. Questa primavera un mio dipendente aveva bisogno di un mutuo per l’ampliamento di casa, e quando lo ha chiesto si è sentito dire che se avesse comprato azioni della banca gli avrebbero dato un tasso di favore. Altrimenti il tasso sarebbe stato molto più alto».
Il Sole 24 Ore ha chiesto una replica all’istituto vicentino, ma la banca ci ha comunicato di aver «deciso di non rispondere» a nessuna nostra domanda.
Da parte sua, nella lettera agli azionisti del 9 settembre scorso, il presidente dell’istituto Gianni Zonin aveva proclamato «il grande successo» dell’iniziativa di rafforzamento patrimoniale che aveva portato alla sottoscrizione di 608 milioni di euro, «con una domanda ampiamente superiore all’offerta».
«Ci presentiamo oggi all’esame della Bce con la fiducia e la serenità che deriva dall’importante rafforzamento patrimoniale del recente aumento di capitale», Zonin aveva poi commentato in occasione della presentazione della semestrale.
Ma già allora l’entusiasmo di queste dichiarazioni era minato da alcuni dati. Innanzitutto era evidente già allora l’anomalia del fondo di acquisto di azioni proprie: nonostante la banca avesse appena concluso un aumento di capitale di notevole portata, al 30 giugno risultava avere in portafoglio oltre due milioni di azioni. Per un valore di oltre 120 milioni di euro. Il che confermava la voce che da anni gira a Vicenza e dintorni: che i titoli dell’istituto siano difficili da rivendere.
Non basta: un’analisi comparata dei numeri della semestrale fatta da esperti consultati da il Sole 24 Ore attesta che alcuni parametri fondamentali della banca vicentina sono peggiori di quelli di quasi tutte le altre maggiori banche italiane. La copertura delle sofferenze della Bpvi è per esempio del 44% contro una media del 58%, mentre quella degli incagli è del 15% contro una media del 26.
Che l’ultimo (ed ennesimo) aumento di capitale deciso a febbraio dal Cda di Bpvi comportasse rischi per gli aderenti lo diceva la stessa «Nota di sintesi» depositata presso la Consob. Se messe insieme, le criticità citate tra le righe formavano un lungo l’elenco.
«I livelli di copertura dei crediti del Gruppo Bpvi si attestano su valori inferiori a quelli medi di sistema», si leggeva. Dopodiché veniva citato il fatto che «nel Bilancio Consolidato 2013 sono iscritti avviamenti per 927,5 milioni principalmente riconducibili agli sportelli bancari acquisiti dal Gruppo Ubi nel 2007». La cifra non era commentata ma agli addetti ai lavori risulta evidente che avviamenti di quella portata, rimasti in bilancio al prezzo iniziale senza significativi ammortamenti, sono eccessivi per quei piccoli sportelli di provincia a Brescia e Bergamo acquisiti da Ubi.
Apertamente dichiarati in quella Nota alla Consob erano inoltre rischi come quello della liquidità delle azioni: «Le contrattazioni relative alle azioni potrebbero risultare difficoltose poiché le proposte di vendita potrebbero non trovare nell’immediato controparti disponibili all’acquisto». Un altro rischio era dato dalle nuove obbligazioni che «non beneficiano di alcuna garanzia reale ovvero di alcuna garanzia personale da parte di soggetti terzi».
Sottolineato infine era lo stesso rischio dato dalle «condizioni economiche delle offerte». «Il Prezzo di Offerta (…) è pari a Euro 62,50 per ciascuna Azione, determinato in data 15 aprile 2014 dal Consiglio di Amministrazione», si legge nella Nota, che continua: «Il prezzo (…) evidenzia (…) un disallineamento rispetto ai multipli di mercato di un campione di banche con azioni quotate, in ragione del fatto che il valore delle azioni dell’Emittente viene determinato annualmente dall’assemblea dei soci annualmente e non in un mercato regolamentato». In pratica si faceva notare che il multiplo di Bpvi era il doppio di quello degli istituti di credito quotati.
Su questo punto il presidente Gianni Zonin ha ripetutamente espresso la convinzione che occorre «tenere conto che ci sono elementi, non sempre correttamente valutati dal mercato, ma che hanno un valore: il marchio, la storia, la fiducia che sa esprimere una banca come la nostra». Ma visti i valori che emergono dall’ultima semestrale, la questione dell’unilateralità della valutazione del titolo è invece chiaramente spinosa. E merita un approfondimento.
Dalla suddetta «Nota di sintesi» risulta che per l’aumento di capitale quel compito era stato affidato a Mauro Bini, professore della Bocconi esperto in valutazioni d’impresa. Il quale aveva confermato al centesimo la valutazione di 62,50 euro ad azione fatta l’anno prima da un altro consulente. Alla stessa identica cifra era poi arrivato più recentemente anche Francesco Momenté, altro professore di Finanza Aziendale della Bocconi.
Tre esperti che in tre momenti diversi confermano la stessa cifra, potrebbero rappresentare una garanzia. Se non fosse che in questi ultimi 15 mesi sia i fondamentali sia il Piano strategico della banca sono cambiati radicalmente (vedi box). Il che solleva il dubbio dell’autoreferenzialità di quelle valutazioni.
«Che Bpvi si autovalutasse 1,43 volte l’equity, quando i mercati valutavano le banche quotate italiane la metà, è fuori dal mondo. Emettere azioni a 62,50 euro, significava valutarla 5,2 miliardi prima dell’aumento. A titolo di raffronto, Ubibanca, con un margine di intermediazione tre volte superiore e quasi il triplo degli sportelli, sul mercato valeva meno del 17% in più», osserva l’ex commissario Consob Salvatore Bragantini.
Sorge qui la questione delle autorità di vigilanza. Secondo Bragantini «se gli investitori fanno un affare o no non è di pertinenza della Banca d’Italia, ma Consob? È lei a dover indagare sui modi in cui un prodotto così palesemente fuori mercato viene collocato alla clientela».
Certo è che la Popolare di Vicenza ha sempre fatto il possibile per mantenere ottimi rapporti con i suoi controllanti. A Vicenza a nessuno è passato inosservato l’acquisto del prestigioso Palazzo Repeta, storica sede di Banca d’Italia che la banca centrale è stata costretto a lasciar chiuso per 5 anni perché non riusciva a venderlo. Fino alla scorsa primavera, quando si è fatta avanti la Popolare per comprarlo, si dice, al prezzo richiesto di 9 milioni (abbiamo chiesto conferma del prezzo all’istituto vicentino ma, come detto, non ci è stata fornita risposta).
Oltre ad avere come vice-presidente l’ex ragioniere di Stato Andrea Monorchio, in primavera la banca vicentina ha fatto un altro acquisto di peso: Gianandrea Falchi, capo della segreteria particolare di Mario Draghi quando questi era Governatore. A Il Sole 24 Ore risulta che Falchi abbia un sontuoso ufficio nel palazzo di Largo Tritone recentemente acquistato dalla Bpvi nel pieno centro di Roma e un pacchetto di remunerazione quantificato in 300mila euro con tanto di macchina e autista (neppure su questo la Bpvi ha voluto dare conferme o smentite).
Il ruolo di Falchi è di «consigliere alle relazioni istituzionali e internazionali». Insomma, ha un compito di rappresentanza simile a quello che per anni ha ricoperto in Banca d’Italia. Che sicuramente sarà stato messo a dura prova in questi ultimi, agitatissimi giorni di "negoziati" con le autorità centrali di Francoforte e Roma.