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 2014  ottobre 29 Mercoledì calendario

LE ANIME NERE ALLA CONQUISTA DEL NORD

All’occorrenza indossano la grisaglia scura esibendosi in un perfetto dialetto lumbard. Ma poi smettono i panni dell’impresario alla moda per risolvere certi affari alla maniera insegnata dai padri, come si fa laggiù. Lo sa Ernesto Albanese, 33 anni, residente a Fino Mornasco, laddove le zone industriali brianzole precedono le lussuose ville sul Lago di Como. A giugno Ernesto lo hanno trascinato nel bosco del paese. Niente a che vedere con i paesaggi a volte impenetrabili dell’Aspromonte. Eppure anche qui vengono replicati i macabri rituali della legge dei capibastone. Albanese era uno spacciatore che aveva il torto di darsi troppe arie. Per ammazzarlo si sono presi una notte intera: trenta coltellate affondate in punti non vitali. Ha smesso di rantolare sul far dell’alba. Gli aguzzini hanno atteso che spirasse, dissanguato. Sono tornati la sera successiva per nascondere il cadavere. Prima, però, avevano festeggiato con una tipica grigliata calabrese.
A descrivere meglio di tante parole l’avanzata delle mafie al Nord ci sono i numeri delle inchieste: in meno di quattro anni quasi mille arresti in Lombardia, 300 in Piemonte, 55 in Liguria, 37 in Emilia Romagna, 58 nel Veneto. E ancora, sei Comuni sciolti per mafia: Bardonecchia, Leinì e Rivarolo Canavese in Piemonte, Bordighera e Ventimiglia in Liguria, Sedriano in provincia di Milano. La quantità di beni confiscati spiega quale sia il livello di arricchimento: 1.186 immobili messi sotto chiave in Lombardia, 181 confische in Piemonte, 158 in Liguria, 111 in Emilia Romagna, 88 in Veneto, 19 in Friuli e 32 in Trentino. E volendo tracciare una mappa, si individuano 95 comuni sotto i 5mila abitanti coinvolti in vicende mafiose, nei quali sono stati confiscati beni o individuate basi della ’ndrangheta.
Sono le ’Anime nere’ portate al cinema dal regista Francesco Munzi. Gente che sembra piombata da un’altra epoca e che nel profondo Nord ha piantato gli artigli. Gli «avvertimenti» sono all’ordine del giorno. Nell’ultima inchiesta, oltre ad una lunga serie di episodi di intimidazione, come l’auto bruciata ad un vigile urbano e una busta con tre proiettili inviata alla direttrice del carcere di Monza, spuntano le infiltrazioni, con le buone o con le cattive, nel business dei negozi di ’compro oro’ e nei franchising delle sigarette elettroniche. Nessuno denuncia. E non è Palermo e neanche Napoli. Ma Milano e la Brianza che non ti aspetti. Già un anno fa il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti aveva lanciato l’allarme: «Pochissime denunce in Lombardia, Liguria, Piemonte ed Emilia-Romagna ». In una parola: omertà. Un silenzio che, a differenza di quanto avviene nel Sud, non è frutto di un atavico automatismo culturale. Si spiega, secondo Roberti, «con il passaggio dalla posizione di vittima a quella di complice, colluso in un rapporto perverso». Gli esponenti della cosca Galati, colpita ieri nelle sue prime linee al Nord, potevano contare su quello che Ilda Boccassin ha definito «capitale sociale». Un patrimonio di rapporti, relazioni con rappresentanti del mondo politico, istituzionale, imprenditoriale e bancario. È il caso dei subappalti da 450mila euro per la Tangenziale Est Esterna di Milano, tra le grandi opere connesse all’Expo 2015. Attraverso una società, la Skavedil, in possesso del certificato anti-mafia, i Galati avevano messo piede nei cantieri. Qualcuno, però, non ha fatto fino in fondo il proprio dovere. Secondo Ilda Boccassini «non si poteva non sapere a chi si davano quei subappalti». Quando si è fatta l’istruttoria sulla Skavedil «si è controllato solo chi erano gli attuali titolari, incensurati, ma bastava fare uno ’storico’ per vedere chi c’era prima, e cioè una persona con reati gravissimi».