Luca Pisapia, il Fatto Quotidiano 29/10/2014, 29 ottobre 2014
CARLOS KAISER, LA LEGGENDA DEL CALCIATORE MAI SCESO IN CAMPO
«Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso» scriveva Guy Debord prefigurando la società dello spettacolo, di cui il calcio è parte integrante. Impossibile quindi sapere se i mirabolanti racconti di Carlos Henrique Raposo, detto Kaiser, cinquantenne che lavora a Rio de Janeiro come personal trainer, appartengano al vero o al falso.
Ma la storia merita di essere raccontata. È la storia di un ragazzo brasiliano che per quasi vent’anni si è finto calciatore, stipulando lucrativi contratti in patria e all’estero senza mai scendere in campo.
È la storia del più grande illusionista del pallone. Di Carlos Kaiser, cui sono state dedicati un documentario e una pagina su Wikipedia, anche se le prime tracce della sua esistenza possono essere fatte risalire a pochi anni fa, con un’intervista sul quotidiano portoghese Mais Futebol, si racconta che nasce a Rio de Janeiro nei primi anni Sessanta e che la famiglia, di umili origini, lo spinge verso il calcio come riscatto sociale. Carlos ci prova, ma nonostante il fisico asciutto e la somiglianza con Beckenbauer, da qui il soprannome Kaiser, non riesce a sfondare. E a vent’anni è già un ex calciatore. Ma se non ha i piedi buoni, Carlos ha altri talenti: è socievole, colto, ama divertirsi e soprattutto ha una grande faccia tosta. È così che nelle notti festose dei primi anni Ottanta di Rio de Janeiro diventa amico di molti calciatori famosi – come i futuri nazionali Bebeto, Romario, Edmundo e Renato – e mette in pratica il suo piano: convince gli amici in procinto di trasferirsi da un club all’altro a inserire nel contratto una clausola per cui assumano anche lui, giovane fenomeno di cui all’epoca basta dire che se n’è sentito parlare un gran bene. Carlos Kaiser riesce così a farsi ingaggiare addirittura dal prestigioso Botafogo e l’anno dopo, nonostante le zero presenze, a trasferirsi al Flamengo, dove ancora non gioca mai. Non potendo lavorare sulle sue abilità piuttosto scarse di calciatore, lavora sul personaggio: si veste bene, frequenta i posti giusti e gira con un telefono portatile, che poi si scopre essere un giocattolo, con cui finge di parlare con dirigenti stranieri pronti a ingaggiarlo.
Per resistere alla tentazione di scendere in campo e scoprire il bluff, la storia vuole che finga continuamente infortuni, attraverso certificati medici fasulli o chiedendo a un compagno complice di fargli male durante l’allenamento.
Poi si fa perdonare organizzando festini a luci rosse per la gioia di squadra, tifosi e giornalisti, che vergano articoli in cui ne scrivono un gran bene. Dopo un anno in Messico al Puebla e uno negli States a El Paso, rientra in Brasile senza aver mai giocato una sola partita. L’allenatore del Bangù, forse sospettoso, ci prova mandandolo a scaldarsi nel secondo tempo di una partita. Davanti all’abisso, Carlos Kaiser non si scompone, e un attimo prima di togliersi la tuta si scaglia contro un tifoso che a suo dire l’ha insultato facendosi espellere. L’ingresso in campo è scongiurato.
L’illusionista può continuare a spacciare il falso come vero e a preparare il suo capolavoro: un contratto da professionista in Europa, con l’Ajaccio. D’altronde siamo in un’epoca in cui lo scouting è amatoriale. Lo spezzone de L’allenatore del Pallone (1984) in cui Lino Banfi gira per tutta Rio a cercare presunti campioni accompagnato da due truffatori di mezza tacca come Gigi e Andrea, è più reale di quanto si possa immaginare.
In Corsica si fa benvolere al primo allenamento baciando la maglia e spedendo palloni in tribuna, per la gioia dei tifosi, e tanto basta per restarci un anno. Rientrato in patria, continua a (non) giocare fino alla soglia dei quarant’anni.
Quanto sia vero di questo racconto, in fondo del tutto offerto in prima persona da Carlos Henrique Raposo – lui dice di aver giocato, o meglio di essere stato sotto contratto, anche con il club argentino dell’Indipendiente che però nega di averlo mai avuto in rosa – non è dato saperlo, ma d’altronde, ammoniva Italo Calvino: «La menzogna non è nel discorso, è nelle cose». E nel calcio, sublimazione della società dello spettacolo, la menzogna è ovunque. Anche oggi. A guardare le rose delle grandi squadre, si trovano molti giocatori che stazionano uno o più anni in un club senza mai mettere piede in campo. Carlos Kaiser, in fondo, è il nome di ciascuno di loro.