Alberto Mattioli, La Stampa 29/10/2014, 29 ottobre 2014
PERCHÉ MICHELANGELO DIPINGEVA FIGURE CON 33 DENTI? LO STORICO DELL’ARTE MARCO BUSSAGLI HA SCOPERTO IN DIVERSE FIGURE L’ANOMALIA DEL QUINTO INCISIVO SUPERIORE. IN GENERE RIGUARDA PERSONAGGI LEGATI AL PECCATO E ALLA DANNAZIONE, CON L’ECCEZIONE DEL CRISTO DELLA “PIETÀ”
Ce l’ha la Furia infernale (o Anima dannata) degli Uffizi. Ce l’hanno le Teste grottesche del British. Ce l’ha la Ugly Cleopatra scoperta nel 1988 a Casa Buonarroti sul retro dell’altra Cleopatra. Ce l’ha l’aguzzino che alza la croce sulla quale sarà appeso San Pietro nella Cappella Paolina del Vaticano. Ce l’ha il fauno che sbalza dall’armatura della Testa ideale di guerriero, ancora al British. Ce l’ha il Laocoonte della «stanza segreta» nella Sagrestia Nova di San Lorenzo, a Firenze. E ce l’hanno molte figure della Cappella Sistina: Giona, la Sibilla Delfica, quattro degli ebrei che inveiscono contro Mosè e Jahweh negli Israeliti e il serpente di bronzo, l’angelo sotto il braccio destro di Dio nella Creazione del sole e della luna, uno degli ignudi (quello voltato verso il profeta Daniele), diversi dannati sulla barca di Caronte, un diavolo e, sempre nel Giudizio universale, perfino uno scheletro che risorge (e non per ascendere alle gioie del Paradiso). Ma ce l’ha anche, e qui è più difficile da capire, il Cristo morto nella braccia della Madre della Pietà in San Pietro.
È ovvio che si parla di Michelangelo. Un po’ meno, la strana caratteristica che accomuna questi suoi personaggi in disegni, affreschi o statue: il quinto incisivo o «mesiodens». Non è un’invenzione dell’artista ma una bizzarria anatomica. Normalmente, di incisivi ne abbiamo otto, quattro sopra e quattro sotto, al centro dell’arcata. Però esiste un’anomalia, detta anche «hyperdontia», a causa della quale alcune persone di incisivi superiori ne hanno cinque, quindi i loro «dentoni» in mezzo al sorriso risultano tre e non due (oltre ad avere in bocca, in tutto, trentatré denti invece di trentadue).
Ora, Marco Bussagli, che è un noto storico dell’arte e specialista di Michelangelo, si è accorto che quest’anomalia ricorre spesso nelle sue opere, si è chiesto perché, ha trovato delle spiegazioni e le ha illustrate in un libro che risulta affascinante anche per chi non è storico dell’arte e men che meno specialista. I denti di Michelangelo (Medusa, pp. 175, € 19) è un’indagine fra medicina, arte e teologia che ha lo spessore di un saggio ma si legge come un giallo.
Intanto, Bussagli è andato a verificare se il quinto incisivo fosse noto alla scienza medica dell’epoca di Michelangelo. E ha scoperto che, per esempio, ne parla («dentes dictos bastardi sic dicti», i cosiddetti denti bastardi) la Practica maior di Michele Savonarola, che non era solo il medico personale di Lionello d’Este, ma anche lo zio di Gerolamo, le cui prediche infiammate colpirono tanto il giovane Buonarroti. Idem il De re anatomica di Realdo Colombo, che Michelangelo conosceva benissimo perché, entrambi appassionati di anatomia umana (magari per ragioni diverse), a Roma andavano insieme a dissezionare cadaveri.
Michelangelo non faceva nulla a caso e se si prendeva la briga di modificare la dentatura delle sue figure una ragione, argomenta Bussagli, ci deve essere. È chiaro che il quinto incisivo rompe l’armonia della figura umana distruggendo l’ideale classico della simmetria: dice Galeno, riportando un passo di Crisippo, che «il bello non si avvicina con quello delle parti del corpo, ma con quello della simmetria delle membra». Alla luce della fede cristiana, e Michelangelo era un cattolico inquieto ma convinto, il «mesiodens» indica quindi violenza, bestialità o lussuria. E infatti la maggior parte dei soggetti elencati all’inizio sono «negativi», o per brutalità ferina o per lascivia (nel caso di Cleopatra, «Cleopatras lussuriosa», per dirla con Dante) o perché condannati alla dannazione. Oppure, com’è il caso di Giona o della Sibilla, perché appartengono all’umanità «ante gratiam», vissuta prima dell’avvento di Cristo.
Sul Giudizio universale, poi, Bussagli intreccia l’indagine sui denti di Michelangelo con le sue frequentazioni del Circolo di Viterbo, ambiente sensibile alla teoria della predestinazione, in bilico sull’ortodossia cattolica finché le sue tesi pericolosamente attigue a quelle della Riforma non furono condannate dal Concilio di Trento. Sono quelle esposte nel Beneficio di Cristo di Benedetto Fontanini, alias Benedetto da Mantova, che fu un bestseller dell’epoca: non credo che oggi molti l’abbiano letto, ma moltissimi ne conoscono l’esistenza, almeno quelli che hanno letto Q, il fortunatissimo romanzone storico del collettivo Luther Blisset. Certo, il Beneficio venne pubblicato quando Michelangelo aveva già finito da due anni di affrescare la Sistina, ma è un compendio delle idee di cui si discuteva nel suo ambiente. L’anomalia dentale sarebbe quindi, per dirla con Bussagli, «il riflesso fisico della mancanza spirituale della Grazia».
Resta da capire perché anche lo sconvolgente Cristo della Pietà abbia il «mesiodens», che peraltro si nota solo guardando la statua dall’alto e da vicino oppure in fotografia. Bussagli avanza tre ipotesi. La prima è che Michelangelo si sia sbagliato, liquidata come «offensiva» per qualcuno che conosceva benissimo l’anatomia. La seconda, è che l’artista identificasse Cristo con il Male, che è assurda perché la sua fede era profondissima. La terza, è che Michelangelo abbia voluto rappresentare così, nel corpo stesso del Salvatore, la dottrina per cui Cristo prende su di sé il male del mondo. «Jahweh fece cadere su di lui l’iniquità di tutti noi», scrive Isaia. «Quel dente in più - argomenta Bussagli - testimonia la misericordia per l’incapacità dell’Uomo di comprendere perfino i doni che Dio ci ha fatto (incluso quello della Redenzione), per la caparbia miopia di seguire il nostro apparente tornaconto».
Certo, da un pezzetto di marmo che rappresenta un dente alla Redenzione dell’uomo il passo è lunghissimo. Ma Bussagli lo percorre con molta dottrina e una convinzione che finisce per convincere anche chi non si era mai accorto di questa michelangiolesca sovrabbondanza di dentatura. Resta, e resta per tutti, la commozione che prende chiunque guardi quella divina, umanissima Pietà che dopo cinque secoli continua a porci i suoi interrogativi. Che sono ancora e sempre, come dire?, pane per i nostri denti.
Alberto Mattioli, La Stampa 29/10/2014