Kate Brannen, la Repubblica 29/10/2014, 29 ottobre 2014
PICCOLI JIHADISTI CRESCONO. A SEI ANNI ARMATI GESTISCONO I CHECKPOINT, APPENA ADOLESCENTI GIÀ COMBATTONO A KOBANE. L’ISIS HA UN SISTEMA BEN ORGANIZZATO PER RECLUTARE BAMBINI, INDOTTRINARLI CON I PRECETTI ESTREMISTI E INSEGNARE LORO I RUDIMENTI DELLE TECNICHE DI COMBATTIMENTO
Sono in prima fila durante le decapitazioni e le crocifissioni pubbliche a Raqqa, la roccaforte siriana dello Stato Islamico. Vengono usati per trasfusioni di sangue quando i jihadisti sono feriti. Sono pagati per denunciare chi non è leale all’Is o parla pubblicamente contro il nuovo potere. Vengono addestrati per diventare attentatori suicidi. Alcuni di loro hanno appena sei anni, e lo Stato Islamico li sta trasformando nei suoi soldati del futuro.
L’Is ha messo in piedi un sistema esteso e ben organizzato per reclutare bambini, indottrinarli con i precetti estremisti dell’organizzazione e poi insegnare loro i rudimenti delle tecniche di combattimento. I miliziani si stanno preparando per una lunga guerra contro l’Occidente e sperano che i giovani guerrieri che oggi vengono addestrati continueranno a combattere negli anni a venire. Anche se non esistono cifre certe sul numero di bambini coinvolti, le storie riferite dai profughi e i dati raccolti dall’Onu, dalle organizzazioni per i diritti umani e dai giornalisti lasciano ritenere che l’indottrinamento e l’addestramento militare di bambini sia molto diffuso.
I giovani combattenti possono rappresentare una minaccia particolarmente seria nel lungo periodo, perché invece di mandarli a scuola l’Is li rimpinza giorno dopo giorno di una propaganda islamista finalizzata a disumanizzare il prossimo e persuadere i bambini che combattere e morire per la loro fede è un’azione nobile. «Lo Stato Islamico nega deliberatamente istruzione alle persone che si trovano nel territorio sottoposto il suo controllo, e come se non bastasse le sottopone a un lavaggio del cervello», dice H.R. McMaster, tenente generale dell’esercito statunitense. «Praticano un abuso su minori su scala industriale. Li brutalizzano e disumanizzano sistematicamente. Sarà un problema che si farà sentire per generazioni». Ivan Simonovic, vicesegretario generale dell’Onu per i diritti umani, è tornato da poco da una visita in Iraq, dove ha parlato con gli sfollati a Bagdad, Dohuk ed Erbil. Dice che è in corso un «programma di reclutamento di ampie proporzioni e pericolosamente efficace». Parlando con un piccolo gruppo di giornalisti, Simonovic ha detto che i combattenti esercitano un certo «fascino » su una parte dei bambini, e che si sono dimostrati molto abili nel «manipolare ragazzi». L’alto funzionario delle Nazioni Unite ha spiegato che «proiettano un’immagine di vittoria» e offrono la promessa che coloro che cadranno in battaglia saliranno «dritti in paradiso». E ancora. «La cosa che più mi colpisce è quando incontro madri che ci dicono: ‘Non sappiamo cosa fare. I nostri figli si offrono volontari e noi non riusciamo a impedirlo’».
Sulla linea del fronte, in Iraq e in Siria, i ragazzini che si arruolano spontaneamente o vengono rapiti sono mandati in una serie di campi di addestramento religioso e militare, a seconda della loro età. In questi campi gli viene insegnato tutto, dall’interpretazione della sharia dello Stato Islamico a come si usa un fucile. Gli viene addirittura insegnato come decapitare un altro essere umano, e gli danno delle bambole per fare pratica. I bambini vengono mandati anche in prima linea, dove sono usati come scudi umani e per garantire trasfusioni di sangue ai soldati dello Stato Islamico, secondo Shelly Whitman, direttrice esecutiva della Roméo Dallaire Child Soldiers Initiative, un’organizzazione che si batte per eliminare la piaga dei bambini-soldato. Testimoni oculari a Mosul e Tal Afar hanno detto agli investigatori dell’Onu di aver visto bambini piccoli, vestiti con uniformi dell’Is, che andavano in giro con armi quasi più grandi di loro a pattugliare le strade e arrestare la gente del posto. Gli esperti di diritti umani dell’Onu hanno «ricevuto notizie confermate di bambini di dodici o tredici anni sottoposti ad addestramento militare da parte del-l’Is a Mosul», secondo un rapporto dell’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani. Nel quartiere di al-Sharqat, a Salah al-Din, il numero di check-point gestiti da ragazzini è «aumentato drasticamente», dice il rapporto. E nella Piana di Ninive e a Makhmour, i combattenti dello Stato Islamico durante la loro avanzata hanno reclutato grandi quantità di adolescenti maschi. Alcuni di questi ragazzi hanno raccontato che «erano costretti a schierarsi in prima linea per proteggere i soldati dell’Is durante i combattimenti, e che erano stati costretti a donare sangue per curare i feriti».
Abu Ibrahim Raqqawi, nome fittizio di un uomo di 22 anni che fino a un mese fa viveva in Siria, è il fondatore di Raqqa Is Being Slaughtered Silenty (Raqqa viene massacrata in silenzio), un account Twitter più pagina Facebook che documenta la brutalità della vita quotidiana a Raqqa, dov’è cresciuto. Oltre a lui e ad altri tre che ora vivono fuori dalla Siria, il sito può contare su dodici persone all’interno di Raqqa che forniscono foto e informazioni su quello che sta succedendo nella città siriana. Raggiunto via Skype, Raqqawi ci ha raccontato che l’Is ha rafforzato il suo programma di reclutamento per ragazzi e bambini, creando fra le altre cose un campo di addestramento per minori dove vengono insegnate le tecniche di combattimento. Sempre a Raqqa, adolescenti vengono addestrati e poi subito mandati a combattere a Kobane, dove infuria da settimane i combattimenti con i guerriglieri curdi. A Raqqa, dove la povertà è diffusa dopo più di tre anni di guerra, l’Is spesso convince i genitori a mandare i loro figli nei campi di addestramento in cambio di denaro. In certi casi i jihadisti si rivolgono direttamente ai bambini, organizzando eventi pubblici o feste di reclutamento, e poi offrendo ai bambini soldi per seguire i corsi di addestramento. Dal momento che tutte le scuole sono chiuse, i bambini non hanno molto altro da fare.
Ci sono molti campi di addestramento per bambini nella provincia di Raqqa, dice sempre Raqqawi: tra questi, il Campo al-Zarqawi, il Campo Osama bin Laden, il Campo al-Sherkrak, il Campo al-Talaia e il Campo al-Sharia. In quest’ultimo, riservato agli under 16, Raqqawi calcola che ci siano fra i 250 e i 300 bambini. Ci invia foto di bambini ad al-Sharia: in una si vedono dei ragazzini seduti insieme a mangiare, e in un’altra un ragazzino che sorride dopo aver completato un percorso a ostacoli. Quando c’è una grande battaglia, come quella in corso a Kobane, l’addestramento viene accelerato, dice Raqqawi. Anche in Iraq ci sono prove della presenza di bambini costretti a seguire un addestramento militare. Un uomo yazida che è riuscito a fuggire dice di aver visto i suoi rapitori separare quattordici bambini tra gli otto e i dodici anni in una base militare a Sinjar, e portarli via per farli diventare jihadisti.
Quest’estate, il sito di informazione Vice News è riuscito ad accedere alle aree controllate dai jihadisti e ha prodotto un documentario video in cinque parti sulla vita in quelle regioni. La seconda puntata era dedicata proprio ai “combattenti del futuro” dell’Is. «Questa generazione di bambini per noi è la generazione del Califfato. A Dio piacendo, questa generazione combatterà gli infedeli e gli apostati, gli americani e i loro alleati», ha detto un uomo a Vice News . Il video mostra anche un bambino di 9 anni che dice di essere diretto in un campo di addestramento dopo il Ramadan, per imparare come si usa un Kalashnikov.
Non c’è solo il problema della radicalizzazione: in Siria e in Iraq i bambini sono esposti ogni giorno a livelli di violenza estremi. Raqqawi ci invia delle foto che aveva scattato quando ancora viveva in città, in cui si vedono bambini che assistono a crocifissioni. Dice che i bambini sono diventati talmente assuefatti a queste esecuzioni che la vista di una testa staccata dal corpo non sembra più turbarli. Misty Buswell, responsabile regionale per il Medio Oriente dell’organizzazione non governativa Save the Children, racconta che i bambini profughi con cui ha parlato hanno incubi, evitano le interazioni con gli altri bambini e mostrano segni di aggressività. «Ho incontrato bimbi che hanno smesso di parlare e non dicono più niente da mesi », dice la Buswell. «E questi sono quelli fortunati, quelli che sono riusciti a oltrepassare il confine incolumi. Ma per i bambini che sono ancora dentro, che vedono queste cose ogni giorno, gli effetti nel lungo termine saranno molto seri ». I rifugiati, dice sempre Buswell, esprimono quasi sempre il desiderio di tornare a casa quando sarà tornata la pace. Ma quando ha posto questa domanda a dei profughi di Sinjarla risposta l’ha lasciata di stucco. «Mi hanno detto che le cose che loro e i loro figli avevano visto e sperimentato erano così orribili e traumatiche che non volevano tornare indietro: troppi brutti ricordi».
Kate Brannen, la Repubblica 29/10/2014