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 2014  ottobre 29 Mercoledì calendario

BINI SMAGHI: «LE BANCHE SONO L’ESPRESSIONE DELL’ECONOMIA DEL PAESE. CON LA CRISI IL PIL ITALIANO È SCESO SOTTO I LIVELLI DEL 2000, LA PERFORMANCE PEGGIORE DELL’INTERA AREA EURO. IN UN DIABOLICO INTRECCIO CAUSA-EFFETTO, LE BANCHE NON PRESTANO PIÙ PERCHÉ LE SOFFERENZE AUMENTANO E LA DOMANDA DI CREDITO SCENDE PER LA RECESSIONE. SENZA LE FUSIONI LE BANCHE ITALIANE RESTANO FRAGILI»

[Intervista] –
«Potremmo stare a discutere per mesi sui criteri usati dalla Bce, sul grado di verosimiglianza delle situazioni estreme prospettate per lo stress test, anche sulle ipotesi di trattamento differente per il nostro Paese e per Francia o Germania. Ma tutto questo ci porterebbe fuori strada. Il dato importante è chiaro: in Italia c’è una maggior fragilità del sistema bancario che riflette la fragilità del sistema economico. Va risolta con ricapitalizzazioni o più realisticamente con una serie di fusioni ». Lorenzo Bini Smaghi, economista di scuola Bankitalia, membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea fra il giugno 2005 e il novembre 2011, oggi ricercatore all’Harvard’s Center for International Affairs nonché presidente della Snam, è preoccupato che non vada disperso in un fiume di polemiche il contributo conoscitivo che la Bce ha messo a disposizione con i suoi stress test. Viceversa, si devono prendere senza indugi i provvedimenti conseguenti. «È stato un lavoro grandioso, un esercizio di realismo durato 10 mesi, che ha impegnato schiere di economisti che sono andati a guardare quasi credito per credito nel cuore di 130 banche. Tutto questo ci porta a disporre finalmente di un quadro ben definito della situazione del settore in Europa, delineato con criteri secondo me scientificamente ineccepibili e corretti».
Su quest’ultimo punto ci sono, e non si spengono, le maggiori controversie. Tanto per fare un esempio, si discute sul fatto che è stata presa in esame un’ipotesi di inflazione media europea dello 0,3 per cento nel 2016 quando lo scenario di base prevede l’1,6. Non c’è troppa distanza fra le due cifre?
«E perché? In diversi Paesi, Italia compresa, che sono già prossimi all’inflazione zero, quello scenario di stress potrebbe apparire addirittura troppo ottimistico. Siamo su distanze siderali dagli obiettivi Bce, eppure quello potrebbe non essere neanche il “pavimento”. No, guardi, nell’insieme mi sembra che il metodo non sia stato cattivo. Mi meraviglia piuttosto il comportamento di certi titoli nei giorni convulsi in cui sono stati resi noti i risultati».
A cosa si riferisce?
«Il titolo Mps, per esempio, nel venerdì precedente (24 ottobre, ndr) ha guadagnato in un solo colpo il 10%. Perché? A quel punto si sapeva solo che i risultati erano stati resi noti in via riservata già giovedì sera: forse qualcuno ha fatto circolare informazioni non veritiere - troppo positive - apposta per far rialzare l’azione, che il lunedì è inevitabilmente crollata?»
A parte i “gialli” su questo insider trading alla rovescia, ora ci si attende le mosse di Mps. Lei cosa prevede? Spezzatino, Deutsche Bank, fusione con qualche altra banca italiana?
«Non commento su queste indiscrezioni. Mi sembra comunque inevitabile e auspicabile un processo di consolidamento del settore in Italia, cioè di fusioni e acquisizioni, che non riguarda solo Mps o Carige ma un po’ tutte le banche della famigerata “lista delle 25”, comprese quelle che in extremis avevano recuperato un po’ di capitale. Ma ancora al di là delle “25”, quelle che avevano passato il test con stretto margine. Penso alle Popolari per esempio, che dovranno però cambiare in fretta anche il sistema di governance appunto per consentire le aggregazioni».
Ma com’è stata possibile una debacle di questa portata? Perché le banche italiane si sono fatte sorprendere in posizione così esposta e svantaggiata, non hanno insomma pensato di ricapitalizzarsi per tempo?
«Le banche sono l’espressione dell’economia del Paese. Con la crisi il Pil italiano è sceso sotto i livelli del 2000, la performance peggiore dell’intera area euro. In un diabolico intreccio causa-effetto, le banche non prestano più perché le sofferenze aumentano e la domanda di credito scende per la recessione. Come stupirsi? Forse il problema della ricapitalizzazione avrebbe potuto essere affrontato prima, anche a costo di far intervenire in certi casi lo Stato sul modello americano o inglese, come chiedevano in tanti. Allora probabilmente il risultato sarebbe stato meno umiliante».
Eugenio Occorsio, la Repubblica 29/10/2014