Andrea Tarquini, la Repubblica 29/10/2014, 29 ottobre 2014
I PEZZI DEL MURO DI BERLINO STANNO A WASHINGTON, A HONOLULU, IN COREA DEL SUD E ANCHE IN ISRAELE. QUEL CHE RESTA DELLA «FRONTIERA DIFENSIVA ANTIFASCISTA» CHE DIVISE IL MONDO LIBERO DA QUELLO COMUNISTA – COME DISSE KENNEDY – È SPARSO TRA MUSEI E MEMORIALI, COLLEZIONI PRIVATI E PARCHI IN CUI ARTISTI D’OGNI ARTE E PARTE L’HANNO USATO PER I MURALES
Il rozzo, spietato dittatore Walter Ulbricht ne ordinò la costruzione, il suo delfino Erich Honecker eseguì l’ordine in corsa. Lo chiamavano «frontiera difensiva antifascista », doveva dividere il mondo, «tra mondo libero e mondo comunista», come qui disse Kennedy condannandolo. Nessuno dei tre si sarebbe aspettato la sua sorte attuale: è sparso per il mondo, tra musei e memoriali, collezioni privati e parchi in cui artisti d’ogni arte e parte l’hanno usato per murales. Cadde quasi 25 anni fa, un quarto di secolo o una generazione addietro. E adesso lo puoi incontrare ovunque, da Washington a Honolulu, dalla Corea del Sud a Israele.
«Forse un giorno della Ddr non resteranno che note a pié di pagina nei libri di Storia», dissero in tanti nell’89. Ma lui no, lui simbolo più negativo e sinistro di quella dittatura artificiale sembra destinato a sopravvivere. In nome della Memoria, della curiosità, della fantasia artistica, del bisogno di simboli in luoghi come il 37mo parallelo dove le due Coree sono ancora divise, o della voglia di selfie di milioni di turisti, non solo quelli che vengono a Berlino. Almeno un centinaio di pezzi sono negli Stati Uniti. Regalati dal governo federale, o chiesti dagli americani come ricordo: eccone uno al quartier generale della Cia, magari a pochi metri dalle stanze in cui l’agenzia riceveva dalla sorella maggiore National Security Agency le conversazioni al cellulare di Angela Merkel intercettate. O al Dipartimento di Stato, dove dopo il no tedesco alla guerra contro Saddam si stilavano rapporti sulla Germania unita «alleato inaffidabile». O persino nella toilette per uomini d’un casinò vicino alla Main Street Station di Las Vegas, dove si gioca d’azzardo per vincere soldi, non scommettendo sulla libertà e rischiando la morte.
Era lungo ben 112 chilometri, il “Muro della Vergogna”. Quindi figuratevi quante ce ne sono ancora a disposizione, di quelle grigie lastre di cemento armato alte 3 metri e 60. A Berlino sono rimasti in piedi brevi tratti, la East Side Gallery tutta murales, ma insediata dai big immobiliari della gentrification, a Bernauer Strasse, alla “Topografia del Terrore” vicino Potsdamer Platz. Molto più suggestivo è il terrenocantiere della premiata ditta Kloesters Baustoffwerke sulla Oderstrasse di Teltow, ieri grigia cittadina tedesco-orientale, oggi sobborgo residenziale di Berlino unita. La chiamano «la Stonehenge del Muro»: là a Teltow, a un passo da concessionarie Bmw e Land Rover, di lastroni ammassati ne vedi centinaia. Vi furono portati per demolirli e riciclare il cemento per autostrade e palazzi, molti rimasero, decorati abusivamente da pittori e graffitari. Adesso la Lagerhaus KW li ha comprati, chiunque può visitarli e acquistarli.
Un buon affare: il business della vendita di pezzi del muro lo cominciò poche ore dopo la caduta la Ddr stessa, affamata di valuta. Un’azienda giapponese pagò 189mila dollari per una lastra sola. Se hanno murales o graffiti, valgono di più. Alcune sono donate, come quelle in Vaticano e a Danzica al museo di Solidarnosc. In tutto, le lastre “espatriate” dalla Germania del Muro che impediva ai tedeschi dell’est di uscire dai confini sono almeno 600, sparse in 140 luoghi nel mondo tra memoriali e collezioni private. I sudcoreani hanno messo le loro a un passo dal confine con la tirannide di Kim terzo, la Giamaica ne ha una donata da Berlino a Usain Bolt vincitore ai mondiali d’atletica berlinesi. Una, finita a Baltimore, era stata spedita in dono a Bill Clinton, ma lui non poté ritirarla, nella tempesta dell’ affaire con Monica Lewinsky. Povero presidente, e povero Muro impacchettato invano.
Andrea Tarquini, la Repubblica 29/10/2014