Fabrizio Roncone, Style 11/2014, 28 ottobre 2014
PER CAVARCELA C’È SOLO LA MIA VECCHIA RICETTA: IL FONDO SALVA-STATI
[Giulio Tremonti]
È alla finestra, si volta di colpo. «Ha capito il concetto o devo ripeterglielo?». S’aggiusta gli occhiali, sorride. È diventato molto spiritoso, affabile: intervista al professor Giulio Tremonti nel suo studio di Palazzo Madama, lui in camicia e bretelle, le mani in tasca, ragionando sul governo di Matteo Renzi, immaginando il futuro, con il vezzo di citare Karl Marx e Antonio Gramsci, con riferimenti al Diritto romano e a Bisanzio, e poi ricordando, un ricordo appassionato e meticoloso, di quando fu patrono italiano dei conti pubblici. Colloquio che va avanti da un quarto d’ora. «Tra un po’ le spiego perché l’austerità, da sola, è una cosa stupida...».
Entra la segretaria. «Ecco il curriculum che Style mi aveva chiesto...»: avvocato patrocinante in Cassazione, più volte ministro dell’Economia e delle Finanze, visiting professor a Oxford, lezioni varie da Cambridge a Yale, fino a Pechino, alla scuola del Comitato centrale del Partito Comunista cinese. Vicepresidente di Forza Italia dal 2004 e fino allo scioglimento nel 2009. Presidente di Aspen Institute Italia. Un libro profetico: La paura e la speranza (Mondadori, 2008). «Posso continuare?».
Prego, professore.
Lei mi chiede con insistenza di giudicare il governo Renzi, che però ha solo otto mesi di vita: onestamente, troppo poco. Detto questo, il tempo che viviamo è strategico, altamente drammatico, marcato da una realtà che è rappresentabile con tre numeri: cinque-25-50. In Europa siamo il cinque per cento della popolazione, abbiamo il 25 per cento della produzione e il 50 per cento dello stato sociale a debito. Tutto si è tenuto in piedi, con logica coloniale, fino al G7: 700 milioni di persone unificate da un codice monetario (il dollaro), linguistico (l’inglese) e politico (la democrazia). Il resto del pianeta gravitava sul centro-G7, che poteva così piazzare i suoi prodotti, i suoi titoli, a chi voleva, quando voleva, ai prezzi che voleva. La crisi globale, prevista da me sul Corriere nel 2006, ha scassato questo sistema. Ecco allora il mondo-G20: miliardi di persone più o meno tutte uguali, molte monete, molte lingue, molti e diversi sistemi politici. È su questa scena, e così arrivo in qualche modo alla sua domanda, che si muove Renzi.
E come si muove? O come dovrebbe e potrebbe?
Escluso l’«Impero», gli Stati Uniti d’America, che ancora combinano tutto al meglio, dal lavoro all’energia, dalla lingua a Hollywood, dal nucleare al dollaro, nessuno in Europa, non solo l’Italia, ma anche la Francia e la stessa Germania, nessuno può più vivere producendo più deficit pubblico che prodotto interno lordo. E gli altri, nel mondo, non sono più disposti a pagarcelo...
Professore, Renzi...
Ci sto arrivando... In Italia, il tre per cento di deficit e la crescita zero possono sembrare numeri piccoli, gestibili, tranquilli: purtroppo sono invece cifre che portano al disastro. E non è colpa di Bruxelles, non è colpa dei tecnici, è sciocco e riduttivo prendersela con la Cancelliera Angela Merkel. Oppure c’è l’altra strada: puoi provare a far finta che il problema non ci sia, comprando tempo, mangiando il futuro e ingannando chi ti vota. Ma poi è la realtà che fa la realtà.
Quindi, professore, lei sostiene l’austerità: che Renzi, invece, sembra sempre più deciso a combattere.
No. Come le accennavo prima, l’austerità, da sola, è stupida. Lo schema politico impostato in Eurogruppo da me e Jean-CIaude Juncker, ed esposto in un articolo pubblicato sul Financial Times alla fine del 2010, era: serietà sopra, solidarietà sotto e, in mezzo, il fondo salva-Stati come piattaforma per emettere eurobond. Ancora oggi non vedo alternative. L’austerità, senza solidarietà, più che stupida, è impossibile. E anche per questo condivido l’idea del governo di non scendere sotto il tre per cento – numero magico rituale – e, di riflesso, di rinviare il pareggio di bilancio. Per le stesse ragioni, però, non condivido l’idea di fare per il 2015 una finanziaria «ingannapopoli». (A questo punto il professar Tremonti tace, si versa un bicchiere d’acqua. Poi alza lo sguardo, certo di essere raggiunto da una domanda, nda).
«Ingannapopoli»: può essere più preciso?
Molto semplice: promesse ma senza tasse, maggiore spesa pubblica per 20 miliardi finanziata con coperture stile Parmalat, così che, quando a fine anno si andrà dal tre verso il cinque per cento, l’Iva dovrebbe salire di quei punti sufficienti a devastare il Paese.
Previsioni fosche...
Se oggi il governo ha ragione nel voler mantenere il deficit al tre per cento, ha però contemporaneamente il dovere di garantire che quel tre per cento non aumenti, prima con false coperture e poi, peggio, con vere tasse. Sembra le chiamino «clausole salvaguardia»: e invece sono congegni che incorporano un software di autodistruzione.
Renzi evoca spesso i «poteri forti», li considera i suoi peggiori nemici. Lei sa a chi si riferisce? E soprattutto: lei li ha mai incontrati questi «poteri forti» quand’era a Palazzo Chigi con Silvio Berlusconi?
Dal maggio 2008 al maggio 2011, per i primi tre anni di crisi, i «poteri forti» non li ho mai incontrati né in strada né nei salotti. Lei sta per chiedermi: perché, professore, non li ha mai incontrati? Facile. Considerazioni finali della Banca d’Italia, 31 maggio 2011: «La gestione della crisi è stata prudente», «le correzioni da fare in Italia sono meno numerose che in altri Paesi», «il pareggio di bilancio 2014 è appropriato».
I giorni in cui lei dimostrava un certo ottimismo...
Se vuole, era ottimista la Banca d’Italia! Poi qualcuno o qualcosa ha spedito in Italia prima una lettera e, subito dopo, un uomo: la lettera-ricatto Bce-Banca d’Italia e Mario Monti, miracolato ad hoc come senatore a vita. Oggi, se vai per strada, verifichi gli effetti di quella micidiale combinazione: depressione economica, caos democratico. Come nel Cinquecento, alcuni italiani hanno chiamato lo straniero.
Lei conosce bene Berlusconi: il patto del Nazareno reggerà? O è concreto il rischio di elezioni anticipate?
Elezioni anticipate? Tutto può essere, naturalmente, ma a occhio e croce no, non credo a questa eventualità. E non perché penso funzioni il patto del Nazareno, ma perché ricordo ciò che mi disse Giulio Andreotti quando arrivai in Parlamento 20 anni fa: «Tu qui vedi partiti, parlamentari, correnti e leader. Ma non vedrai mai la forza che conta più di tutti. Il partito delle mogli».
Abbiamo cominciato con Renzi, chiudiamo con Renzi: lei ha recentemente detto che, in fondo, il premier lo capisce, anche perché gioca con la coppia paura-speranza.
Confermo. Ma, conoscendola, so che la coppia paura-speranza vive in una comunione fatalmente destinata a terminare. O vince davvero la speranza, o stravince la paura.