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 2014  ottobre 28 Martedì calendario

«MATTEO È CINICO E ARROGANTE LA LEOPOLDA NON C’ENTRA COL PD»


Ore 9.00. Invece di essere alla kermesse autocelebrativa del Rottamatore a Firenze, Rosy Bindi da Sinalunga, classe 1951, sbuca a Piazza Esedra e saluta i lavoratori della Cgil. Poco dopo, parte il corteo di protesta contro il governo. La presidente della Commissione Antimafia passerà il resto della giornata a dividersi tra il Campidoglio, dove partecipa con Libera alla seconda giornata di Contromafie, e le trasmissioni televisive, che la vedono incrociare le lame con la renzianissima Deborah Serracchiani. Scusi Bindi, ma lei non dovrebbe essere alla Leopolda? «Che c’azzecca la Leopolda con il Pd?». E che c’azzecca lei con i comunisti e le tute blu? «Alle manifestazioni dei sindacati ci sono sempre andata, e voglio capire le motivazioni che hanno spinto la Cgil a marciare contro il governo». Non le piace il Jobs Act? «No. E non solo per l’articolo 18. È l’impianto complessivo che non mi convince, perché si continua a introdurre elementi di flessibilità e a non finanziare la dignità del lavoro». È paradossale però che un parlamentare del Pd scenda in piazza contro il proprio leader. «Non sono contro, rivendico il diritto di manifestare le mie idee. Tra l’altro non ho alcun incarico di partito». Ma il suo Dna è più simile a quello di Renzi: siete due ex Dc, lei viene dall’Azione cattolica, lui dagli scout. Ci si sarebbe aspettati di vedervi fianco a fianco. «Non scherziamo: io e Renzi non abbiamo lo stesso Dna. E poi la Leopolda non è la manifestazione del Pd, ma qualcosa che va ben oltre il Pd, come dice Renzi stesso. Ecco, in quel “ben oltre” faccio fatica a riconoscermi». È come dire che non si riconosce nel Pd di Renzi. «Mi riconosco nel mio partito. E penso che Renzi debba essere espressione del Pd e non il Pd espressione di Renzi». Renzi non è il suo leader? «È il segretario del mio partito e il premier». Ma lei non si riconosce nemmeno nel governo. «Non ho mai fatto mancare la mia fiducia. Come ha scritto De Bortoli, per governare il Paese e far cambiare verso all’Europa non bisogna circondarsi di cerchi magici, ma di competenze, anche scomode». Si è ritagliata quell’articolo. «Certo. Sta nell’archivio dell’iPad, l’ho letto talmente tante volte che ormai lo so quasi a memoria». Pensa anche lei che Renzi si sia circondato d’incompetenti? «Forse dovremmo riflettere: mentre nei sondaggi Renzi è al 50%, il governo è sotto il 20%. Io avrei scelto i ministri con criteri diversi, avrei chiamato le donne e gli uomini più autorevoli che ci sono». Non le più «giovani e belle», come lei ha rinfacciato alle ministre. «Non si devono offendere, ho fatto tre complimenti, ho detto che erano anche competenti». Invece se la sono presa. «Sbagliano, ho detto la verità». La Pinotti ha detto a Libero che con quella battuta lei ha danneggiato se stessa. «Ma è una battuta profondamente femminista la mia. Se è maschilista chi ci vuole tappare la bocca dicendo che siamo più belle che intelligenti, come ha fatto Berlusconi con me, è altrettanto maschilista pensare che le donne debbano anche essere un po’ belle per stare al governo. Invece penso che noi donne dobbiamo essere valutate per le nostre capacità». Viene prima la meritocrazia della parità di genere? «Assolutamente sì. Non voglio che si scelgano donne: voglio che si scelgano donne e uomini bravi». Se gode così quando il direttore del Corriere attacca il suo segretario, che ci sta a fare lei nel Pd? «Voglio che il governo faccia sempre meglio. Nel Pd, checché se ne dica, c’è lealtà totale confronti del segretario. Berlusconi non c’è più e il M5S deve ancora imparare come si fa opposizione in Parlamento. Come dice De Bortoli, l’unico nemico di Renzi è Renzi». Perché? «Tende a delegittimare tutti coloro che non sono d’accordo con lui: “Le Regioni se ne faranno una ragione”, “il sindacato, sai che paura”, “Fassina chi?”...». Diciamolo: non è il grande partito di centrosinistra che sognavate lei e Prodi. «Indubbiamente no». Cosa non la convince dell’idea di sinistra che ha Renzi? «Non credo affatto che la sua sia un’idea di sinistra». Comunque è un’idea vincente, perché ha portato il Pd oltre il 40%. «Renzi più che un innovatore è un “secolarizzatore” dei valori della sinistra, anche quella di ispirazione cristiana. La sua rottamazione è una categoria culturale. Non ha rottamato solo le persone, ma le fondamenta del Pd che stavano nell’Ulivo. Il cambiamento non dovrebbe passare mai attraverso il taglio delle radici». Ce l’ha con Renzi perché ha cercato di rottamarla? «Ma no, è l’idea che è sbagliata. Le generazioni si passano il testimone. Chi lo passa non lo deve trattenere, ma chi lo prende non lo deve strappare». A Letta il testimone di palazzo Chigi è stato strappato. Se lo aspettava? «Non c’è dubbio che Renzi mirasse al posto di Letta dall’inizio. È molto abile in questo: non dichiara mai il suo obiettivo fin quando non è a dieci metri dalla meta». Ce l’avrà pure una qualità quest’uomo. «La straordinaria capacità d’interpretare il tempo in cui viviamo e di capire il sentire degli italiani di oggi, sommata alla sua velocità in tutto». E il suo peggior difetto? «Il cinismo e l’arroganza, che lui stesso rivendica con orgoglio. Renzi sembra disposto a tutto pur di vincere. Questo interpretare la politica come gestione del potere in quanto tale è un modo di essere in cui io non mi riconosco. Lo dico molto laicamente. Qui non si tratta di distinguere la politica buona da quella cattiva: è la politica in sé che è agli antipodi dal cinismo, perché va intesa come un servizio alla comunità, non all’ambizione di qualcuno». Non condivide nemmeno le sue riforme istituzionali? «Più che impegnato a rendere efficace il Parlamento, Renzi mi sembra preoccupato di renderlo sempre più subalterno al governo. Nessuna grande democrazia funziona così, neanche quelle presidenziali. Quando sento Fassino dire che se il Parlamento chiude per sei mesi gli italiani non se ne accorgono, mi vengono i brividi». Prodi non ha rinnovato la tessera del Pd. E lei? «Io sì. Il mio circolo me la manda puntualmente e io pago la quota dei parlamentari». Separata in casa. «È una casa che ho contribuito a fondare, alla quale l’attuale impresa di costruzione sta cambiando il progetto. Ci sto con senso critico e non sono appagata dal modo in cui usano gli arnesi i carpentieri, i geometri e gli architetti che lavorano alla ristrutturazione». Non la convince il Partito della nazione lanciato da Renzi? «Mi fa impressione sentir parlare di un partito così senza che si dica che nazione vogliamo. Un partito di questo tipo rischia di non avere un’identità, un fondamento, una visione, ma solo l’ambizione di raccogliere consenso. Un vero partito dichiara quali sono i valori fondamentali che lo muovono e che idea di futuro ha, e su questo cerca i voti». Torniamo al fatidico 19 aprile 2013, quando 101 franchi tiratori del Pd sbarrarono la corsa al Colle a Romano Prodi. Che successe davvero quel giorno? «Fu un killeraggio vero, un’operazione fatta nell’ombra, con tanto di killer e mandanti. I voti che mancarono a Prodi erano troppi, furono più di 101. Una congiura organizzata». Da chi? «Non lo so. Continuo a dire che i franchi tiratori debbono avere il coraggio di dichiararsi. Quell’episodio fu troppo grave, resi pubbliche le dimissioni che avevo già dato. Non credo si supererà mai». L’obiettivo era solo Prodi? «Prodi, Bersani e tutto il gruppo dirigente del Pd». Il renzismo è nato quel giorno? «No, è nato con la prima Leopolda». Ma se all’epoca Renzi non se lo filava quasi nessuno nel Pd... «Io me lo sono sempre filato. Non l’ho mai sottovalutato. Ho capito subito che tipo era». A breve si dovrebbe rivotare il successore di Napolitano. Chi è il suo candidato al Colle? «Prodi. Quella ferita deve essere sanata. Se si dovesse interrompere il secondo settennato di Napolitano, il percorso che porta alla successione va ripreso proprio dal giorno in cui si è prodotto quel danno». Invece il prossimo presidente potrebbe essere deciso a tavolino da Renzi, Berlusconi e Verdini. «Pare che nel Patto del Nazareno ci sia pure questo. Se è così, si parte malissimo». Farà il franco tiratore per vendicare Prodi? «No no. Se un candidato non mi convince prima lo dico e poi dichiaro che non lo voterò, non mi nascondo dietro il voto segreto». Ma così si collocherebbe fuori dal partito, stando alle regole imposte da Renzi. «Non c’è leader che possa espropriarmi del diritto costituzionale di esercitare la mia funzione senza vincolo di mandato». A proposito: intende ricandidarsi? «Quest’anno ho compiuto le nozze d’argento col Parlamento, direi che può bastare». Il Pd è il suo ultimo partito? «Non ho un altro progetto politico in testa, ma la politica è il regno delle alternative. E se la casa che ho contribuito a costruire mi viene trasformata mentre ci abito dentro…».