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 2014  ottobre 28 Martedì calendario

I CINESI ACCUSANO PRATO: «TUTTI SANNO DEI DORMITORI»

Un colpo di scena processuale che può aprire una pagina nuova nei rapporti tra la città di Prato e la comunità cinese. Ieri, alla seconda udienza del dibattimento con rito abbreviato contro i responsabili del rogo del capannone-dormitorio che nel dicembre 2013 causò la morte di sette operai cinesi, l’imputata Lin Youlan ha messo sotto accusa i proprietari (italiani) dell’immobile e le autorità comunali.
La titolare della ditta Teresa Moda ha dichiarato che «in più occasioni il proprietario del capannone è entrato nella ditta, anche per vedere se i dormitori erano costruiti bene». Lin Youlan – assistita da un avvocato fiorentino – ha aggiunto che alcuni tecnici comunali avevano fatto nel 2013 misurazioni sui dormitori per calcolare la tassa sui rifiuti. Rispondendo alle domande del pubblico ministero Lorenzo Gestri l’imprenditrice si è assunta tutte le responsabilità, ma la sua testimonianza è destinata a pesare giudiziariamente e politicamente. «Cambiavo nome alla ditta ogni anno perché era conveniente, poi a un certo punto abbiamo aggiunto i dormitori perché tutti facevano così».
I proprietari del capannone, i fratelli pratesi Pellegrini, sono già stati rinviati a giudizio per omicidio colposo in un secondo procedimento che si svolgerà con rito ordinario, quello che si sta scoperchiando però è un intreccio più ampio di interessi italo-cinesi. Già qualche mese fa era stata smantellata una rete di commercialisti locali che lucravano sui falsi permessi di soggiorno per gli asiatici e ora le parole di Lin Youlan aggiungono nuovo materiale accusatorio.
«Pagavo un affitto di 2 mila euro al mese ai Pellegrini e venivano a prendere i soldi nell’altra sede della nostra ditta». Sapevano tutto, dice l’imprenditrice. Del resto, non è un mistero in città che la linea della Procura della Repubblica, retta ora da Antonio Sangermano, ex pm milanese del processo Ruby-Berlusconi, punti a far luce su avventurieri e professionisti italiani senza scrupoli che in questi anni hanno guadagnato aiutando il pronto moda cinese a impiantare un modello di business in cui convivono la spregiudicatezza commerciale, l’esportazione sui mercati dell’Est Europa di capi etichettati made in Italy e operai trattati alla stregua di schiavi.
Un’eventuale sentenza esemplare in materia può aprire una fase nuova in una città che spera sempre che cambi qualcosa, che lo stallo dei rapporti italo-cinesi si rompa miracolosamente e la discontinuità crei i presupposti di una reale convivenza.
Alle ultime Comunali c’è stato un ribaltone e la maggioranza di centrodestra che aveva espresso il sindaco Roberto Cenni è andata a casa cedendo il passo al centrosinistra guidato dal renziano Matteo Biffoni. Cenni aveva giocato la carta della contrapposizione netta alle illegalità cinesi e aveva messo in piedi un sistema di controlli piuttosto energici. Biffoni non ha sconfessato questa scelta ma almeno a parole aveva promesso qualcosa di più, una politica che abbracciasse legalità e convivenza tra le due comunità. Sono passati circa tre mesi e si è visto poco e proprio per questo motivo in città si guarda con grande attenzione alle mosse della Procura, che possono portare alla luce un sistema affaristico che ha usato Chinatown come rendita immobiliare e che ha fornito agli asiatici «il software» dell’illegalità.
Nel frattempo, al di là della condotta aggressiva in Tribunale, anche dalla comunità cinese non è venuto granché di nuovo. Non si possono soltanto accusare i pratesi di essere complici. Il console, la signora Wang Xinxia, nei giorni della tragedia e del lutto aveva promesso trasparenza e una linea di condotta degli imprenditori cinesi orientata alla legalità e al rispetto del lavoro, i fatti però sono rimasti ampiamente indietro rispetto alle parole. E così nei giorni scorsi anche il console è cambiato ed è arrivato Wang Fuguo.
Cambiano i protagonisti e il copione rischia di rimanere quello di sempre.