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 2014  ottobre 28 Martedì calendario

DAVID SUCHET, L’UOMO CHE PER UN QUARTO DI SECOLO HA VISSUTO COME HERCULE POIROT: «QUELL’OMETTO BUFFO NASCONDE UN UOMO MOLTO SERIO, NEVROTICO, OSSESSIONATO IN MODO QUASI MANIACALE DAL CONTROLLO, DALLA SIMMETRIA, DALLA RITUALITÀ. LA SFIDA ERA RAGGIUNGERE QUELLA PARTE OSCURA. NON MI SONO MAI CHIESTO COME IMPERSONARLO. POIROT ERA LÌ, MI FISSAVA DALLA PAGINA. SUL SET DELL’ULTIMO EPISODIO LA COMMOZIONE ERA FORTE. QUELL’OMETTO È STATO IL MIO MIGLIORE AMICO»


Passare 25 anni con qualcuno è, nel bene o nel male, un’esperienza indelebile. Ma indossare per 25 anni i panni di un altro, calarsi nella sua anima, assumerne tic, gusti, modi di dire, è impresa quanto mai pericolosa. Di più se si tratta non di una persona ma di un personaggio. A correre il rischio con intrepida curiosità ed enorme perizia professionale ci ha provato David Suchet. Un quarto di secolo vissuto come Hercule Poirot, il più celebre degli investigatori di carta, nato nel 1920 dalla penna «gialla» di Agatha Christie, morto nel 1975 trafitto dalla stessa penna, stanca di quel «pesante fardello». Dedicata al personaggio Poirot è la collezione di 10 dvd che il Corriere della Sera offre da oggi ai suoi lettori al prezzo di 9,99 euro più il costo del quotidiano.
Per Suchet il primo incontro con Poirot risale al 1989 con Il mistero della cuoca scomparsa . L’ultimo, Sipario , è dell’anno scorso. Nel mezzo avventure di ogni tipo, scenari esotici, treni di lusso, castelli inglesi, sempre con grande sfoggio di cadaveri e di elegante suspense. Via via esplorando ogni piega di quei baffetti impomatati, ironici, impertinenti, severi. E in parallelo anche le pieghe segrete di quella mente affollata di «celluline grigie», pronte all’occorrenza a girare a prodigiosa velocità.
E così, telefilm dopo telefilm il nostro eroe immaginario e il suo alter ego in carne e ossa sono diventati una sola creatura. «Per me Hercule non è un personaggio di fantasia ma una persona reale», ha ammesso Suchet. Confessione che di certo avrà fatto fremere di piacere i baffetti del vanitoso e infallibile detective belga. Che, da uomo colto, conosce di certo i meccanismi della maschera e sa bene come il personaggio — Pirandello docet —, possa talora scavalcare il suo interprete, prendendone possesso.
«Quello che mi affascinava — spiega Suchet — era riuscire a spingermi oltre l’apparenza. Quell’ometto buffo nasconde un uomo molto serio, nevrotico, ossessionato in modo quasi maniacale dal controllo, dalla simmetria, dalla ritualità. La sfida era raggiungere quella parte oscura. Non mi sono mai chiesto come impersonarlo. Poirot era lì, mi fissava dalla pagina». Con pazienza e puntigliosità degne dell’originale, David ha iniziato dall’«involucro», necessario per racchiudere il mistero Poirot. «Aver la testa a uovo come la sua mi ha favorito. Come lui non sono alto e sono un po’ in carne. Hercule si tinge i capelli, così ho fatto anch’io. Con la differenza che io lo confesso e lui no. Poi i mustacchi, modificati nel corso del tempo in una trentina di fogge diverse. Infine l’andatura. Forse il tratto più difficile da inventare. Mi è venuto in aiuto Laurence Olivier. Per entrare nel personaggio di un gagà aveva escogitato uno strano espediente. Mettersi una monetina tra le chiappe e camminare senza farla cadere. Una serie di piccoli passi ravvicinati, ondeggianti. Poirot camminava così».
Capitolo a parte, la voce. Tre mesi per trovare il giusto tono. Come uno chef del suono, Suchet ha mescolato con perizia l’accento francese e quello belga a un inglese da perenne straniero. «La mia voce naturale è di petto, mentre quella di Poirot è di testa. Lui è un cervello che cammina e quindi parla in modo sottile e penetrante. Una voce gentile, con punte di snobismo, ma capace di farsi di colpo dura e tagliente, a sottolineare la sua indignazione morale, la sua netta disapprovazione di ogni crimine».
Un lavoro di ricostruzione ripercorso anche dai doppiatori italiani della serie, Ambrogio Colombo ed Eugenio Marinelli, alternatisi nel ruolo di Poirot. Sonorità spezzettate, interrotte, esitanti come i suoi passi, evocate nella colonna sonora firmata da Christopher Gunning. Curata con raffinatezza al pari della sigla grafica e di ogni altro particolare: dai mobili déco ai vasi Lalique, dalle statuine di danzatrici in bronzo alla tazza Meissen da cui Hercule sorseggia la sua tisana… «Per Poirot il dettaglio è tutto. Mi ha insegnato a osservare e ascoltare quello di solito sfugge. Devo a lui se ora riesco a guardare il mondo con più attenzione di prima».
Prendere congedo da Hercule non è stato facile. «Sul set dell’ultimo episodio la commozione era forte. Quell’ometto è stato il mio migliore amico. Con lui se ne andava una parte di me. Dirgli addio è stato un dolore profondo».