Massimo Gaggi, Corriere della Sera 26/10/2014, 26 ottobre 2014
«UN SUICIDIO TRASFORMATO IN SPETTACOLO». L’ULTIMA SETTIMANA DI BRITTANY DIVIDE GLI USA
Un’anima coraggiosa che, trasformando in crociata i suoi ultimi giorni di vita, mette il dramma e i problemi dei malati terminali davanti a un’America che fin qui ha chiuso gli occhi illudendosi di essere immortale o di poter morire come dei film, l’ultimo respiro esalato senza grandi sofferenze? O una ragazza disperata che, nella civiltà della comunicazione e delle immagini, cerca febbrilmente di dare un senso alla fine della sua esistenza trasformandola in spettacolo? Gli ultimi giorni di vita di Brittany Maynard, la ventinovenne di San Francisco che, colpita da un cancro al cervello molto aggressivo, si è trasferita col marito Dan e la famiglia in Oregon per potersi suicidare in modo legale con l’assistenza di un medico, sono stati scossi da polemiche e accuse. Ad attaccare sono le associazioni che si battono per la tutela della vita sempre e comunque e i sanitari convinti che bastino le cure palliative per consentire ai malati terminali di morire con dignità. Attenti a non mettere sul banco degli imputati questa ragazza di rara bellezza che, appena sposata e con la vita davanti, è precipitata in un dramma che ha commosso l’America, trattano tuttavia Brittany da marionetta manovrata ai propagandisti dell’eutanasia.
«La discussione non ci spaventa» dice Annie Singer, la portavoce di «Compassion & Choices» che è in contatto quotidiano con Brittany. «La nostra missione è quella di sensibilizzare cittadini e sistema politico. Un dibattito, anche acceso, ci sta. Ma è falso e offensivo parlare di una Brittany telecomandata. È lei che ci ha cercato offrendosi come “testimonial” della nostra causa. E lo ha fatto solo dopo aver preso le sue decisioni, aver sentito i medici, esserci procurata i farmaci letali. Vuole offrire il suo esempio affinché la possibilità di ricorrere al suicidio assistito sia offerta a tutti i malati terminali che vogliono morire con dignità e non solo a chi ha i soldi per trasferirsi in Oregon o negli altri tre Stati che ammettono questa pratica».
La campagna ha funzionato: il video nel quale Brittany racconta la sua breve vita felice, l’amore per i viaggi, il desiderio di avere figli, il matrimonio con Dan e la scoperta, nel gennaio scorso, di essere condannata a morte da una malattia che le avrebbe devastato il corpo e la mente, è stato visto su YouTube più di otto milioni e mezzo di volte. Le televisioni si sono fatte una guerra spietata per accaparrarsi le ultime interviste con Brittany (solo la CBS ne ha avuta una vera), mentre lei è finita sulla copertina di «People», il settimanale popolare più diffuso d’America.
Ma è proprio questa sovraesposizione mediatica, unita al messaggio finale della Maynard — «esauditi i mei ultimi desideri, il primo novembre salirò in camera da letto e, circondata dai miei cari e dalla musica che amo, porrò fine alla mia esistenza» — che ha scatenato accuse a raffica: «Il suicidio assistito in Oregon esiste da 17 anni: stavolta fa notizia perché Brittany è bella». E ancora: «“People” ha ritoccato la foto della “cover story” per farla apparire ancor più affascinante: qui si cerca di rendere sexy la morte».
Brittany non ha replicato, cercando di vivere nel modo meno traumatico possibile il suo ultimo scorcio di vita. Tre giorni fa ha coronato anche il penultimo desiderio: visita al Grand Canyon, nonostante i frequenti mal di testa e gli attacchi quotidiani che le provocano convulsioni e le tolgono per un po’ la parola. Adesso vuole festeggiare il compleanno di Dan, il 30 ottobre. Poi, dice lei, sarà pronta lasciare questo mondo. Lo farà davvero? Kara Tippets, che ha scritto un libro sulla sua esperienza di malata terminale di cancro al seno, ha chiesto a Brittany di ripensarci e lo stesso hanno fatto molti altri pazienti incurabili convinti di poter morire con dignità anche senza eutanasia. Sulla «National Review» Wesley Smith ha scritto che a questo punto Brittany, anche se assalita dai dubbi, non può più tornare indietro, spinta da «Compassion & Choices» e dai media che aspettano la sua morte-spettacolo.
Brittany ha taciuto a lungo, ma quando Ira Byock, uno specialista in medicina palliativa, ha sostenuto in tv che lei potrebbe morire con dignità anche con questo tipo di cure se non fosse ormai prigioniera del partito dell’eutanasia, non ce l’ha fatta più e ha replicato con un secco messaggio su Internet: «Decido solo io. Avere in tasca il farmaco col quale posso togliermi la vita mi dà un po’ di libertà: non dipendo più totalmente dalla malattia che mi devasta. Amo la vita ma proprio per questo non voglio ridurmi in condizioni miserabili. Voglio morire con dignità».
Sapere se Brittany si ucciderà davvero sabato prossimo, in fondo serve solo a confezionare un titolo sulla sua ultima settimana di vita: «Se dopo il compleanno di Dan si sentirà ancora in condizioni accettabili andrà avanti» dice Annie Singer. «Decide lei. Potrebbe anche non usare mai la medicina che ha in tasca e aspettare la morte naturale: solo 752 dei 1.173 pazienti che in questi anni sono stati autorizzati a togliersi la vita, l’hanno fatto davvero. Quello che conta è dare al paziente la serenità che deriva dal sapere di avere a disposizione questa opzione estrema».