Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 28/10/2014, 28 ottobre 2014
IL GIORNO DELL’INTERROGATORIO A NAPOLITANO. SARANNO VENTI I QUESITI PER IL PRESIDENTE MA LUI POTRÀ SOTTRARSI IN QUALUNQUE MOMENTO. IL LEGALE DI RIINA GLI CHIEDERÀ DEL CARCERE DURO
«Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza». Come tutti gli altri testimoni, anche Giorgio Napolitano pronuncerà questa formula di rito, stamane poco dopo le 10, nonostante si tratti dell’esame eccezionale (mai avvenuto prima e difficilmente ipotizzabile per il futuro) di un testimone eccezionale (che non potrà essere chiamato a rispondere di ciò che dirà, ad esempio), organizzato secondo regole scritte e non scritte che peseranno su ogni domanda e ogni risposta.
I pubblici ministeri hanno preparato una ventina di quesiti, ma l’andamento della deposizione potrà renderne superflui alcuni e suggerirne altri; l’avvocato di Totò Riina, Luca Cianferoni, ne ha pronti altrettanti, «ma se me li fanno fare posso arrivare anche a cinquanta». Gli altri legali, difensori di imputati o rappresentanti di parti civili, saranno lì per «sorvegliare» e proporre eventuali chiarimenti nel controesame sui temi toccati dall’accusa, schierata con cinque rappresentanti: il procuratore aggiunto «facente funzioni» di capo Leonardo Agueci, il suo collega Vittorio Teresi e i sostituti Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. L’esame sarà condotto da Teresi, e nel caso di prolungamento da Di Matteo.
Il processo sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia al tempo delle stragi sfila davanti ai corazzieri ed entra al Quirinale, per un atto a porte chiuse sebbene non segreto. L’obiettivo è raccogliere i ricordi del presidente della Repubblica su quel che gli scrisse, cinque settimane prima di morire improvvisamente, il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, nel giugno 2012. Nella lettera D’Ambrosio confidava i propri turbamenti circa «episodi del periodo 1989- 1993 che mi preoccupano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi — solo ipotesi — di cui ho detto anche ad altri, quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi»; preceduto da un «lei sa» riferito al fatto che di questo lo stesso D’Ambrosio aveva scritto in un libro di Mara Falcone pubblicato pochi mesi prima in ricordo del fratello Giovanni, col quale lo stesso D’Ambrosio collaborò fino alla strage di Capaci.
Il problema è che nel libro non ci sono cenni ai misteri evocati da D’Ambrosio, e dunque verranno chiesti lumi a Napolitano che un anno fa, per evitare la testimonianza, scrisse una lettera alla corte d’assise presieduta dal giudice Alfredo Montalto in cui comunicava di non sapere nulla: «Non ho in alcun modo ricevuto dal dottor D’Ambrosio qualsiasi ragguaglio o specificazione circa le “ipotesi” da lui enucleate e il “vivo timore” a cui ha fatto generico riferimento». Ma non è bastato, e così oggi sarà chiamato a deporre su quella vicenda, stimolato dalle richieste dei pm che vorrebbero saperne di più. Nei limiti di ciò che la Consulta ha stabilito circa la speciale «riservatezza» attribuita alle attività anche informali del capo dello Stato; il presidente Montalto deciderà di volta in volta l’ammissibilità o meno delle domande, fermo restando che «non può prescindersi» dalla «disponibilità» a rispondere del presidente della Repubblica, che «può essere negata, concessa e revocata in qualunque momento, e la corte non potrà che prenderne atto».
Tuttavia il fatto che D’Ambrosio si sia riferito al periodo 1989-1993, potrebbe consentire l’allargamento del «tema probatorio». Quindi anche ad altri fatti, a partire dalla documentazione appena presentata dai pm: per esempio l’informativa del Sismi su un eventuale attentato a Napolitano nell’estate ‘93, quando era presidente della Camera. Che cosa ne seppe, all’epoca, l’interessato? Fu aumentata la vigilanza nei suoi confronti? Con quali motivazioni? E così via. Il difensore di Riina vorrebbe parlare anche della legislazione oggetto della cosiddetta trattativa con i boss, come il «carcere duro» introdotto dopo Capaci, ma su questo il presidente ha già spiegato, nella lettera alla corte, di non conoscere particolari esercitando a quel tempo «funzioni del tutto estranee a qualsiasi responsabilità di elaborazione e gestione di normative antimafia».
C’è da ritenere, però, che i quesiti verranno posti comunque; anche solo per sentirsi dire «no» o «non so», oppure che non sono ammissibili. Ma nella deposizione eccezionale di un testimone eccezionale, le domande potrebbero contare più delle risposte.