Giampiero Gramaglia, il Fatto Quotidiano 26/10/2014, 26 ottobre 2014
QUANDO TOCCÒ A CLINTON L’INTERROGATORIO FINÌ IN TV
QUANDO TOCCÒ A CLINTON L’INTERROGATORIO FINÌ IN TV -
Non era mai successo a un presidente degli Stati Uniti, neppure ad Andrew Johnson, vice di Lincoln, l’uomo che comprò l’Alaska dalla Russia: entrato alla Casa Bianca dopo l’assassinio del presidente, messo sotto accusa dal Congresso, Johnson scampò alla procedura di destituzione, l’impeachment, per un solo voto. Ma non fu mai chiamato a testimoniare davanti a una Corte ordinaria.
Bill Clinton, il 17 agosto1998, depose davanti a un Gran giurì che indagava sulla sua condotta, quando il procedimento di impeachment doveva ancora essere avviato (sarebbe poi naufragato). Negli aspetti organizzativi, la deposizione di Clinton ha punti in comune con quella che martedì renderà il presidente Napolitano. Ma le situazioni giudiziarie sono totalmente differenti : ad esempio, Clinton era inquisito, mentre Napolitano è solo un teste. Subito dopo la deposizione, Clinton comparve in tv; e, successivamente, ma non immediatamente, tutti i contenuti dell’udienza furono divulgati. Quel giorno, un lunedì, il presidente americano rispose per 5 ore nella Map Room della Casa Bianca alle imbarazzanti domande del magistrato Kenneth Starr sul caso Monica Lewinsky. Il confronto tra il procuratore e l’inquisito cominciò alle 12.59, con un minuto di anticipo. Le due parti avevano concordato che la deposizione non avrebbe superato le quattro ore effettive: come in una partita di basket, l’orologio veniva fermato durante intervalli e interruzioni.
La Map Room, al piano terra della Casa Bianca, era collegata in video (a circuito chiuso) con i 23 membri del Gran giurì. Il presidente era accompagnato da tre avvocati (Hillary, la first lady, era rimasta nelle sue stanze). Il magistrato, che per sette mesi si era preparato a quel momento, era con i suoi vice Jackie Bennett e Robert Bittman. Clinton aveva ottenuto diversi privilegi per lo storico evento. Oltre ad avere al fianco gli avvocati (vantaggio generalmente negato agli inquisiti), il presidente era interrogato a casa sua, non davanti al gran giurì che stava in un tribunale federale a pochi isolati dalla Casa Bianca. Il segnale video era stato criptato dai tecnici militari che curavano le riprese, per evitare che la testimonianza fosse intercettata da pirati elettronici.
Clinton ammise a Starr quello che per sette mesi aveva negato, anche in sortite televisive spontanee: la natura sessuale della relazione con la Lewinsky, una stagista. Il presidente, tuttavia, sostenne di non avere commesso spergiuro e di non avere intralciato la giustizia (i due reati che potevano fare scattare l’impeachment). Le arzigogolate cavillose disquisizioni sulle differenze fra “rapporto sessuale” e “sesso orale” sono ormai entrate nel vissuto dell’America. Come i 267 “non ricordo” con cui Clinton aveva costellato un precedente colloquio con gli avvocati di un’altra sua ‘fiamma’, Paula Jones.
A settembre, il procuratore Starr, su richiesta della Camera, inviò al Congresso un documento lungo 453 pagine e 36 scatoloni di prove, rapporti, referti, testimonianze , video, verbali riguardanti il caso. I Repubblicani diffusero il documento di Starr con le deposizioni di Clinton su internet: allora la rete era meno capillare di oggi, ma già efficace. Tutto diventa pubblico. Compreso il passaggio in cui Starr chiede conto a Clinton dell’affermazione fatta nel processo per le molestie alla Jones, quando negò la relazione con la Lewinsky.
Dopo le elezioni di mid-term nel novembre del 1998, il Partito democratico si trovò in minoranza sia alla Camera che al Senato. La procedura di impeachment venne lanciata per intralcio alla giustizia e spergiuro. Ma a dicembre la vicenda si chiuse con un voto di assoluzione: alcuni Repubblicani votarono a favore di Clinton.
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Giampiero Gramaglia, il Fatto Quotidiano 26/10/2014