Pietro De Leo, Il Tempo 27/10/2014, 27 ottobre 2014
QUANDO D’ALEMA FACEVA COME MATTEO
Ora ci si può mettere la mano sul fuoco, è venuto meno qualsiasi dubbio. Tranquilli, Renzi è di sinistra. Da quelle parti, infatti, quando arrivano i drammatici momenti di autocoscienza in vista di qualche evoluzione, trasformazione, mutazione genetica, allora scatta il gioco delle «due sinistre». Puntuali come una notifica di Equitalia, ognuno può scommetterci ciò che vuole. Anche Renzi, nonostante faccia tanto il moderno, non è rimasto immune dal giochino. Messo in atto, guarda caso, ora che sta traghettando il Pd verso un non meglio precisato partito della Nazione, quello cioè possibilmente senza i Fassina, i Bersani, i Civati e tutta la gente che gli sta sull’anima perché ogni tanto gli ricorda che non è Papa Giovanni. È chiaro, ognuno ha gli strumenti culturali che ha, e Renzi ha i suoi. E si era già capito quali siano quando non ha battuto ciglio alla chiusura dell’Unità. Ma si sa, anche Gramsci, da buon intellettuale, evidentemente era come i pensionati che stanno ai lati dei cantieri a lagnarsi se il martello pneumatico è andato storto. E così, per Renzi, la sinistra «sua», delle Boschi, dei Lotti è quella dei fighi, dell’Iphone, della fotocamera. La sinistra degli altri è quella dei gettoni, dei rullini dei gufi. Magari anche della forfora sulla giacca. Stop. La politica ai tempi delle metafore. Certo, poteva essere più aulico e tirare fuori Majakovskij o Leonov (che vinse il premio Stalin) in rapporto a Stephen King o Joe Lansdale, ma forse è troppo chiedere. E comunque si è capito. Versione riveduta e corretta di quello che accadde in passato. Anche nel febbraio 2007, infatti, ci fu questa specie di psicodramma tutto interno alla sinistra. Erano gli anni del tormentatissimo governo Prodi. A fare la parte del leone quella volta, fu niente meno che Massimo D’Alema (oggi annoverabile nella sinistra delle cabine telefoniche). Da ministro degli Esteri, di fatto, andò sbattere contro tutte le contraddizioni di una coalizione «monstre» che partiva dai laicisti Radicali, passava per Rifondazione e i Comunisti Italiani, i Ds e buttava la palla al centro con la Margherita nelle cui fila sedevano molti ex democristiani. Il governo era stato mandato sotto al Senato su una mozione in appoggio alla relazione di D’Alema sulle linee di politica estera, il cui punto nodale era il rinnovo della missione italiana in Afghanistan. Prodi, quindi, si era recato al Quirinale da dimissionario e Napolitano, prevedendo i numeri a suo favore, aveva rispedito il prof davanti alle Camere. D’Alema, rincuorato, decise di togliersi qualche sassolino dalle scarpe e lo fece prendendo la parola ad una kermesse dei Ds al teatro Brancaccio di Roma. Dove si scagliò contro «certa sinistra che non serve». E, più velenoso, puntò il dito contro le «schegge di certa sinistra» che aveva rischiato di mandare a casa il suo governo ragionando «per astratti furori» con «una dose di ingenuità primitiva». Perché, spiegò, sulle questioni internazionali c’erano due modi per affrontare i problemi «uno è cercare di dare un contributo, l’altro è mettersi in pace con la coscienza». Il ministro degli Esteri tracciò il solco quindi tra la sinistra dei danni contrapposta a quella di quanti, nel governo, «cercano di lavorare e di non rompere le scatole, che è sempre buona regola». Certo, D’Alema non parlava di rullini e fotocamere, ma il concetto non era poi tanto diverso da quello espresso da Renzi. Lasciate in pace i manovratori. Allora come ora. Perché anche a quel tempo, due erano le esigenze da contemperare. Da un lato, tirare a campare nel Palazzo. Dall’altra, superare le perplessità nei Ds sulla costruzione del Partito Democratico, che esordì qualche mese dopo, nel giugno 2007, con il famoso intervento del Lingotto di Veltroni, crozzianamente noto come «discorso del ma anche». Il capolavoro non riuscì, perché l’accelerazione verso il partito unico, per certi aspetti, agevolò la caduta di Prodi. E il Pd fu macinato dalla coalizione del centrodestra nel 2008. Anzi, si può dire che il Pd, fra sconfitte, quasi vittorie, governi istituzionali, guerre fratricide e rottamazioni, non sia mai nato completamente.