Massimo Gaggi, Corriere della Sera 27/10/2014, 27 ottobre 2014
GIU’ LE BANDIERE MA L’AFGHANISTAN RESTA UN REBUS
Il ministro della Difesa inglese Michael Fallon ha annunciato ieri «con orgoglio» la fine delle operazioni militari in Afghanistan: ritiro dell’ultimo contingente della British Army dalla provincia di Helmand, «dopo aver dato alle forze afghane la possibilità di organizzarsi per gestire il loro futuro». Sempre ieri, mentre i dragoni della Regina se ne andavano da Camp Bastion, gli ultimi marines americani hanno lasciato un’altra base non molto distante, Camp Leatherneck. Un altro passo verso il totale ritiro delle truppe combattenti Usa entro la fine dell’anno che consentirà a Obama di sostenere, nei comizi del prossimi giorni, alla vigilia del voto di mid term, di aver mantenuto almeno uno dei suoi impegni programmatici: la fine della guerra in Afghanistan.
Il clima, però, non ha nulla di trionfale e nessuno si azzarda a parlare di «mission accomplished» come fece incautamente Bush dopo l’occupazione dell’Iraq. Nessuno ha l’aria soddisfatta: solo sollievo misto ad amarezza. Dopo uno sforzo militare durato 13 anni e costato la vita a 2.210 soldati americani e di 453 inglesi, oltre a quelli di altri Paesi, Italia compresa, le forze alleate si ritirano senza essere riuscite a sradicare l’influenza talebana che in alcune regioni è più forte che mai. Gli alleati se ne vanno – resteranno 9.800 istruttori Usa e altri 2.700 di vari Paesi Nato tra cui l’Italia – lasciandosi dietro un Paese che fatica a darsi istituzioni credibili e un ordine democratico. Col peso aggiuntivo di due record negativi: l’anno col più elevato numero vittime civili (5.000 nei primi sei mesi del 2014) e il record assoluto nella raccolta di oppio con 209 mila ettari coltivati e una produzione (stime Onu) del valore di 3 miliardi di dollari (più 50% sul 2012), nonostante i 7,6 miliardi spesi dall’antinarcotici Usa per cercare di ottenere una sostanziale riduzione di queste colture.