Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 26 Domenica calendario

AMANDA SANDRELLI: «LA MIA FAMIGLIA FUORI DAI CANONI»

Si descrive come una donna “in bilico”, ma per chi porta un cognome come il suo non significa sempre, o solo, mancanza di stabilità. Figlia della musica e della macchina da presa, lei che poi il cuore l’ha inchiodato a un palcoscenico di teatro, in principio fu Amanda Sandrelli Paoli, nata dal matrimonio tra la bellezza del cinema, Stefania Sandrelli, e la colonna portante della canzone d’autore, Gino Paoli. Una figlia d’arte, insomma. A metà strada tra due mondi consacrati a percorrere orbite diverse. E nello sguardo celeste come quello del papà, nel sorriso, nella voce che è anche una carta d’identità, all’inizio c’era soprattutto la voglia di emanciparsi. Di essere l’attrice, a volte regista, più che la figlia di Paoli e della ragazza di Viareggio che nel Federale ingannò il grande Ugo Tognazzi. Il suo esordio fu da far tremare i polsi. Il pubblico nell’84 la conobbe, appena ventenne, come Pia, l’ammaliante fanciulla di famiglia ricca che irretì Mario e Saverio, all’anagrafe Massimo Troisi e Roberto Benigni. Poi, da Non ci resta che piangere di strada ne ha fatta tanta, e il nome se l’è conquistato. Trent’anni di televisione e il teatro, la sua grande passione, copione dopo copione. Oggi, sulla soglia dei 50 anni, madre e attrice affermata, va in scena con uno spettacolo, Tres di Juan Carlos Rubio, che racconta di una famiglia un po’ fuori dagli schemi, un po’ come la sua, che l’ha cresciuta a pane e riflettori, tra il set di un lungometraggio e la tastiera di un pianoforte.
Partiamo dall’ultimo lavoro. In questi giorni sarà al Teatro Manzoni di Milano con Tres di Juan Carlos Rubio, uno spettacolo che in Italia ha suscitato un certo clamore.
«È uno spettacolo comico, divertente. Lo definirei molto spagnolo, perché ha un modo di trattare un tema, quello dell’inseminazione artificiale, in maniera scorretta, con grande delicatezza, ironia, ma senza volgarità. La storia è quella di tre donne, ex compagne di scuola, che si ritrovano, trent’anni dopo, cinquantenni e sole. A mancare, però, non è l’uomo, ma la famiglia. Che non deve essere necessariamente quella canonica: Basta che sia composta di persone che si vogliono bene».
Una famiglia un po’ diversa da quella che s’immagina il ministro dell’Interno Angelino Alfano.
«Di sicuro è una famiglia anomala. Ma alla fine si scopre che esiste la possibilità di avere rapporti affettivi belli anche al di fuori dei cosiddetti legami regolari. Io credo che la famiglia debba essere un insieme di persone che si rispettano, e che mettono il bene degli altri davanti al proprio. Non importa che sia tradizionale. Sergio Muniz, che è spagnolo, mi raccontava che quando lo spettacolo è andato in scena in Spagna non ha generato tutto questo clamore, perché lì il concetto di famiglia allargata è già argomento di dibattito pubblico. In Italia siamo un passo indietro».
Il teatro è più avanti del Parlamento?
«Lo spettacolo non è una proposta di legge, anche se io credo che il teatro, così come il cinema e l’arte, possa aiutare molto a fare passi avanti, a prendere confidenza con un tema per vederlo meno spaventoso, minaccioso. Ma sono convinta che anche l’opinione pubblica sia più avanti di quanto si creda. In passato è successa la stessa cosa. Penso, ad esempio, alla commedia all’italiana di Pietro Germi e Luigi Comencini: parlavano di questioni che erano oggetto di discussione sociale, ma non legislativa».
Oggi il discorso vale anche per unioni gay, ad esempio?
«Esatto. Esistono e vanno regolamentate. Si tratta di combattere contro il pregiudizio, contro quelle resistenze che troppo spesso sono alimentate anche dalla religione. Io rispetto tutti, ma vorrei essere rispettata in quanto persona laica, e questo non sempre avviene in Italia. E’ un aspetto che mi disturba molto».
Quanto la rappresenta il personaggio di Angela?
«Sul palco sono la più sfigata delle tre protagoniste di Tres, quella che non capisce le battute, quella un po’ soggetta, si direbbe a Roma. C’è tanto di me: io sono ingenua. Non dico di essere fessa, ma sicuramente non sono una persona furba. E in questo Angela mi somiglia molto».
Sua madre è venuta a vederla recitare?
«Sì, diverse volte. Ma non mi dà mai giudizi, né positivi né negativi, perché è una buona madre».
Parliamo della sua, di famiglia. Cosa le è mancato nel corso dell’infanzia?
«Mi sono mancate tante cose, soprattutto la presenza dei miei genitori. Oltre che essere separati, mia madre e mio padre non li ho mai visti insieme. Avevano lavori nomadi, esattamente come me ora, e quindi molto spesso mi sono mancati, ne ho sofferto. Del resto sono due persone che hanno vissuto il proprio mestiere come parte integrante della loro vita, ne hanno sempre avuto bisogno. E questo ha influito anche su di me quando ho deciso cosa avrei voluto fare da grande. Ma preferisco la mia famiglia incasinata ad altre, magari tradizionali, dove però non c’è amore. Nella mia l’amore non è mai mancato. C’è sempre stato».
Si è mai sentita sola crescendo?
«No, perché non sono mai stata sola. Ho avuto la fortuna di avere una famiglia allargata, e dove mancavano mamma e papà c’erano altri. Diciamo che questa situazione mi ha insegnato a prendere quanto di buono c’è in tutte le persone. Una virtù che mi è tornata molto utile dopo».
A proposito di famiglia allargata: da poco suo padre ha compiuto 80 anni, e per festeggiarlo gli avete organizzato una festa a sorpresa, a cui hanno preso parte anche volti noti della musica, del cinema, della tv e della politica.
«Sì, ed è ben riuscita. Mio padre era molto contento, emozionato. C’era un mare di gente e non se lo aspettava. Io ho incontrato persone che non vedevo da 40 anni. C’era anche un palcoscenico: quando si è esibito Zucchero, che adoro, mi sono lanciata anch’io, non ho resistito».
Tra gli ospiti c’era anche Beppe Grillo.
«Mio padre e Grillo non hanno le stesse idee, ma sono molto legati. Sono amici. Grillo poi è una persona molto simpatica e carina. E dalla festa la politica è rimasta fuori».
Beppe Grillo e Walter Veltroni invitati a sedere allo stesso tavolo: si sono incontrati?
«Credo di sì, ma che io sappia non ci sono stati incidenti».
Cos’è significato per lei crescere con un cognome così importante?
«Essere figlia d’arte è un privilegio, perché un nome famoso è un punto d’arrivo per un attore. E come tutti i privilegi, va usato bene. Io ho sempre cercato di non abusare della mia fortuna, ma di metterla a servizio di cose belle. Non l’ho mai avvertito come un peso, anche se allo stesso tempo ho dovuto fare pace con quest’idea e sono trascorsi anni prima che mi sentissi abbastanza sicura di me. Oggi però non ho più paura che la gente venga a vedermi a teatro solo perché sono la figlia di Stefania Sandrelli. Spero di essermi guadagnata la stima sul palco, e non solo attraverso il mio cognome».
Lei ha debuttato molto giovane, e nientemeno che con Troisi e Benigni.
«Sì, avevo 19 anni, ero fresca di maturità, e ricordo che fu molto buffo. Quando incontrai Troisi e Benigni scoprii che per il film non esisteva copione, c’era solo un canovaccio e nient’altro. Del mio personaggio, Pia, sapevo che era una quindicenne che s’innamorava di Massimo. E basta. Tutto quello che è venuto fuori, poi, nel film, è frutto dell’improvvisazione. Non avevo idea, ad esempio, che Massimo avrebbe cantato Yesterday, l’ho scoperto mentre stavamo girando. Anche la battuta, il tormentone del “provare, provare, provare”, è nata per caso, giocando e seguendo i suggerimenti di Massimo e Roberto. Quell’inizio così meraviglioso mi ha fatta innamorare di questo lavoro. Poi sono arrivata a teatro e lì ho capito che quella sarebbe stata la mia casa. Oggi non potrei vivere senza palcoscenico».
Con chi le piacerebbe lavorare in futuro?
«Con molti registi. Se devo fare un nome però scelgo Giorgio Gallione. Spero che prima o poi capiti. Così come spero di cimentarmi con i classici: dopo tanto teatro contemporaneo mi sento pronta».
E un autore che vorrebbe interpretare?
«Anton Cechov. E’ il mio preferito».
Cosa ne pensa, invece, della televisione? Nel tempo libero la guarda?
«Pochissimo. Non per snobismo, ma perché non ho tempo. Di sicuro, però, da quel che ho visto, fiction soprattutto, posso dire che il livello è abbastanza basso. Non è un grande momento per la televisione italiana, pur con le dovute eccezioni».
Che persona è oggi Amanda Sandrelli?
«Su WhatsApp il mio status è “in bilico”. Risale a due anni fa, quando mi stavo separando da mio marito dopo vent’anni di matrimonio, ma è valido anche oggi. Mi sento in bilico e sempre in movimento. Mai stabile. E allo stesso tempo cerco di non avere paura, perché credo sia una delle cose più pericolose».