Luca Iezzi, Affari&Finanza – la Repubblica 27/10/2014, 27 ottobre 2014
PRIVATIZZAZIONI, IL GRANDE FREDDO
Poste, Ferrovie, Eni. Le privatizzazioni “pesanti” sono ormai rinviate al 2015. Per quest’anno il governo si accontenta di 4 miliardi, sperando che l’Europa non se la prenda troppo e i mercati siano clementi. L’aggiornamento del Documento di economia e finanza ha seppellito ufficialmente l’obiettivo di abbattere di 10 miliardi (lo 0,7% del pil) il debito pubblico nel 2014 con la vendita di pezzi del portafoglio pubblico. N el nuovo Def si parla di un più ampio traguardo di 40 miliardi fra il 2015 e il 2018. La realtà dei numeri l’ha fotografata la Banca d’Italia: «Per il programma privatizzazioni nel 2014 l’obiettivo è ridotto allo 0,28% del Pil», ha detto il vicedirettore Federico Signorini alla Camera. «È importante procedere con decisione facendo tesoro delle esperienze degli altri paesi affinché il piano sia rispettato e se ne valuti una possibile accelerazione ». Le prescrizioni di Via Nazionale mostrano apprensione per il ritardo perché nemmeno il livello minimo di 4 miliardi sarà facilmente raggiunto. Sin dai primi annunci di Padoan e Renzi è apparso chiaro che gran parte del successo del programma sarebbe dipesa dalla cessione del 5% di Eni e Enel. «Entrambi i dossier sono sul tavolo ma non ci sono scadenze, le operazioni saranno effettuate al momento giusto», assicurano dal Tesoro. Sondando il mercato, solo Enel sembra realmente in dirittura d’arrivo, e a cifre lontane dalle valutazioni deglianni scorsi. Sono già arrivate diverse manifestazioni d’interesse per una vendita a fondi di private equity o investitori istituzionali. Incasso certo di 1,7-1,8 miliardi: saranno i primi veri soldi che affluiscono sul conto 522 della Banca d’Italia, quello che il Tesoro usa per il Fondo di ammortamento del debito pubblico. Tutte le operazioni avviate in questi mesi hanno mancato il bersaglio: Fincantieri portata in Borsa dopo anni di dibattito, ha ottenuto a malapena i fondi (350 milioni) per sostenere il suo piano di sviluppo. Cdp Reti, che tra poco ingloberà le partecipazioni di controllo di Terna e Snam già in portafoglio di Cdp, ha sì fruttato 2,1 miliardi con la cessione del 35% alla State grid of China, ma serviranno diversi altri passaggi come un dividendo straordinario, per far tornare quelle risorse ai soci Tesoro e Fondazioni. Nessun effetto neanche se arriverà in porto la quotazione di Raiway, i cui proventi resteranno a viale Mazzini per compensare il taglio da 200 milioni sui trasferimenti dal canone previsto dal governo. Per raggiungere i 4 miliardi serve altro. In questo contesto il 4% di Eni in portafoglio a via XX settembre (valore 2,9 miliardi) potrebbe seguire la stessa sorte di Enel, con un collocamento riservato ad investitori istituzionali. Una decisione sarà presa in base alle notizie che arriveranno da Bruxelles. Nel pieno di un transizione dee licata, lo Stato non può scendere sotto il 30% di Eni alla leggera. Il programma di privatizzazioni di aprile nasceva dalla convinzione i 10 miliardi d’incasso del 2014 sarebbero stati l’ultimo tassello per evitare la procedura d’infrazione per mancato taglio del debito (il fiscal compact tra le altre cose prevede una riduzione di 1/20 ogni anno del rapporto debito Pil per i prossimi tre anni). La recessione, il cambio dei criteri Eurostat sul calcolo del Pil e soprattutto la decisione di palazzo Chigi di rinviare di un anno il pareggio di bilancio hanno fatto saltare tutti i punti di riferimento. Il braccio di ferro con l’Europa è diventato talmente imprevedibile da sconsigliare di sparare una cartuccia importante come Eni senza certezza di risultato. Poche certezze (e negative) arrivano poi dall’immobiliare, dove ancora la Cdp è l’unico acquirente-interlocutore e i governi degli ultimi vent’anni hanno dato prova di creatività: dalla Patrimonio spa e le cartolarizzazioni Scip di Tremonti al federalismo demaniale, dalle aste su Internet fino all’ultimo tentativo dei “fondi dei fondi” che nell’attuale programma dovrebbero garantire più di un miliardo. In tutti i casi gli incassi si sono rivelati al di sotto delle aspettative e il patrimonio immobiliare si è rivelato molto sopravvalutato, con i compratori (specie stranieri) spaventati da burocrazia, tasse alte e proprio dai continui cambi di politica di settore. Più facile che soldi immediati, almeno 800 milioni, arrivino dal 50% della holding di controllo di Stm. L’opzione più concreta è la solita scorciatoia di girare le quote alla Cdp, un pratica non immune da critiche per cui il custode del risparmio postale è una sorta di compratore di ultima istanza sulle necessità di finanza pubblica. Cdp ha ricevuto in questi anni le quote di controllo di Eni, Fintecna, Simest, Terna e Snam, le ultime due le ha poi impacchettate e rivendute in Cdp Reti. E di seconda vendita si tratterebbe anche per Sace, la società che assicura le nostre aziende nel mondo: via XX settembre l’ha già girata alla Cdp due anni fa, ma ora una quota di minoranza è di nuovo nella lista delle privatizzazioni e la plusvalenza pronta a tornare nelle casse del Tesoro. Sace doveva essere una quotazione sicura. Il gruppo assicurativo è in utile e interessa i big nazionali, ma gli attuali mercati finanziari sono un’incognita: in primavera in piena euforia da ripresa annunciata e ansiosi di investire su aziende italiane, oggi con l’umore esattamente opposto come dimostrano le Ipo naufragate il ritorno di spauracchi sul rischio-paese. L’ad di Cdp ha chiarito che «su Sace è in corso una riflessione». Così come a passo ridotto procede la quotazione di Enav, bloccata finora dal cambio di cda e dalla rinegoziazione del contratto di servizio. Dal governo ritengono che la finestra dei mercati finanziari non sia chiusa: «In recenti incontri con investitori internazionali a Londra abbiamo potuto constatare che l’interesse per l’Italia rimane forte - spiega Fabrizio Pagani, capo della segreteria tecnica di Padoan anche in presenza di mercati non effervescenti, un’opportunità di acquisto in imprese italiane, sul mercato, ma anche di private equity, è comunque considerata. Questo ci fa essere ottimisti sull’accoglienza delle aziende in corso di privatizzazione». Paradossalmente il peggioramento del quadro generale, sia della finanza pubblica che dei mercati, ha dato più tempo ai tecnici del Tesoro sulle due grandi: Poste e Ferrovie. «Abbiamo ben presente che il processo di privatizzazione non ha come unico obiettivo quello di fare cassa per lo Stato e abbattere il debito - dice Pagani - come già successo per le altre grandi aziende pubbliche quotate, pensiamo che l’ingresso dei privati avrà un effetto positivo che ne garantirà il futuro. L’essere quotidianamente sotto il giudizio delle borse, raggiungere il livello di trasparenza richiesto dalle società quotate le renderà più efficienti, trasparenti e solide. I due obiettivi vanno di pari passo». Accantonata l’idea di incassi consistenti e veloci scorporando solo le parti appetibili dei due ex monopolisti (le attività assicurative-finanziarie per Poste e l’alta velocita per Ferrovie) ora il governo è deciso a portare a Piazza Affari entrambe le holding creando due grandi gruppi con un base di piccoli azionisti e un guida ancora pubblica, sulla falsariga di quanto successo con Enel. I manager delle due aziende condividono l’impostazione, ma ciò impone loro di sciogliere numerose contraddizioni di una gestione parapubblica. Francesco Caio sta preparando un piano industriale rivoluzionario, che affronta il crollo della corrispondenza ordinaria e la decisione del suo predecessore Massimo Sarmi di non investire nella logistica e nell’attività di consegna, unico segmento core in crescita, ma dominato da colossi mondiali. Così come la gestione precedente ha sfruttato la crescita delle attività finanziarie (Poste Vita e Bancoposta) per coprire le inefficienze organizzative delle filiali. Il 2015 sarà all’insegna del confronto con i sindacati per gli inevitabili esuberi e le inevitabili ricadute sociali che ogni intervento sull’infrastruttura degli uffici postali comporta (negoziazione da fare anche con la politica attraverso il nuovo contratto di servizio). Solo dopo si potrà affrontare l’esame anche dei mercati. Discorso parallelo per Ferrovie, che in più deve aspettare l’entrata a regime del sistema regolatorio dell’Autorità dei trasporti, la creazione di regole certe su servizio universale e trasporto regionale. Tempi lunghi, ma solo così gli ultimi due grandi gruppi al 100% pubblici potranno garantire una parte consistente dei 40 miliardi promessi nel 2018. [ I PERSONAGGI ] 1 2 I presidenti della Cdp Franco Bassanini (1) e di Sace Giovanni Castellaneta (2) IL MINISTRO Nella foto grande il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan: è il suo dicastero che ha la responsabilità di realizzare il piano di privatizzazioni da 40 miliardi di euro di qui al 2018. Nelle foto all’interno della tabella a sinistra alcuni dei top manager delle società oggetto del piano di privatizzazioni: dall’alto Francesco Starace (Enel), Carlo Bozotti (Stm), Claudio Descalzi (Eni), Massimo Garbini (Enav), Francesco Caio (Poste) Michele Mario Elia (Fs)
Luca Iezzi, Affari&Finanza – la Repubblica 27/10/2014