Daniela Polizzi, Corriere Economia 27/10/2014, 27 ottobre 2014
FARINETTI LE MIE 7 REGOLE D’ORO PER L’ANTIMODELLO AZIENDALE
[Intervista a Oscar Farinetti] –
Anche un provocatore ha le sue regole. E Oscar Farinetti, l’inventore di Eataly, di regole ne ha trovate sette. «Perché anche le sfide vanno incanalate, prima viene l’analisi e poi nasce “l’antimodello” da adottare», spiega l’imprenditore. Ossia una formula che scardina i riferimenti tradizionali e «tira dritto verso la soluzione».
La sua Bibbia è fatta di sette punti: «ma attenzione — dice Farinetti — vanno sempre incrociati o selezionati, ogni giorno, per ogni decisione». Primo capitolo, sapere fare un mix di leggerezza, velocità e determinazione nel raggiungere gli obiettivi. Ma soprattutto, ci vuole la propensione al dubbio. «La determinazione è la condizione essenziale ma deve essere accompagnata dalla capacità di ascolto degli altri e dalla predisposizione a cambiare idea. Spesso conviene avere più dubbi che certezze». In sintesi, ci vuole il coraggio di seguire un’intuizione, analizzarla, applicarla. Si procede anche per tentativi. Un esempio? Farinetti ha portato un mese fa nello store Eataly di New York due guglie del Duomo di Milano. «Sembrava una follia, ci abbiamo provato, il successo è stato enorme. Così abbiamo creato un nuovo modello, incrociando cibo gourmet e cultura italiana». E Farinetti vuole replicare tra sei mesi portando nello stesso negozio un dipinto di Tiziano, Il ritratto dell’aretino, di cui ci sono due versioni, a Firenze e Parigi. Per Eataly è un volano di promozione molto forte. «La stesso che potrebbe essere trovato per l’intero Paese, fin qui incapace di fare marketing di se stesso». E qui arriva la provocazione. «C’è un contrasto enorme tra la quantità di ricchezze e la totale mancanza di attitudine a valorizzarle».
Il discorso torna all’agroalimentare, il settore in cui Farinetti si muove ogni giorno. In Italia ci sono 1.200 vitigni autoctoni, in Francia 200, abbiamo 530 tipologie di olive, la Spagna 70, 140 cultivar (specie selezionate) di grano contro le sei degli Usa. «Eppure, non sappiamo valorizzarle ed esportarle. E poi, perché in Cina ci sono 1.800 supermercati Carrefour e nessuno italiano? Ogni mattina dobbiamo porci queste domande perché inducono al cambiamento».
Sempre però individuando le priorità, cosa che è poi il secondo punto della sua bibbia. Il terzo è saper gestire l’imperfezione perché «da lì possono nascere idee nuove». Se l’Italia è il paese con il più alto tasso di biodiversità — si chiede l’imprenditore — perché non le portiamo all’estero? La bio differenza ha creato spontaneamente una grande rete di pmi che se mettessero a fattor comune gli sforzi e la distribuzione potrebbero arrivare negli Usa, affamati di peculiarità del cibo made in Italy. «Ecco il quarto punto: pensare locale e agire globale. Produrre in Italia ma inseguendo i consumatori stranieri». Si aggiunge poi la capacità di narrare il nostro Paese, perché il prodotto è un mix di tecnologia e storia. «Ma anche saper raccontare in modo semplice le cose alle gente». Poi c’è il rispetto, in senso lato anche la responsabilità civica. «Si deve provocare senza danneggiare. Il management deve dare il buon esempio».
L’approccio si applica a tutti gli altri comparti dell’economia produttiva. In particolare a quelle che Farinetti definisce le vocazioni della Penisola: oltre all’agroalimentare, il turismo, la manifattura di precisione e il patrimonio artistico. Ma anche l’auto. Il suo mito è quanto fatto da Maserati che ha realizzato «due vetture straordinarie». Pensa anche al distretto bolognese del packaging: «quelle aziende sono grandi esportatrici e sono nate 30 anni fa in un capannone, non ci hanno messo un secolo a crescere. Il che vuole dire che si può accelerare».
Chi deve avere il ruolo di provocatore in azienda? «Credo in un unico leader, non sono per le comunità senza governance chiara. Ma so ascoltare e credo nel principio del contagio delle idee». L’ultimo punto è la conseguenza degli altri: non arrendersi mai. «Mettere l’energia verso il difficile ma non perdere tempo con l’impossibile».