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 2014  ottobre 27 Lunedì calendario

L’ASPETTATIVA DI VITA NEL MONDO È DI SETTANT’ANNI. VUOL DIRE CHE PRESTO CI SARANNO MOLTISSIMI ANZIANI DA CURARE CON SPESE CHE NON SAREMO IN GRADO DI SOSTENERE


Provate a chiedere ai vostri amici qual è l’aspettativa di vita della popolazione del mondo oggi. Cinquant’anni, sessanta, settanta? Saranno in pochi a darvi la risposta giusta. L’aspettativa di vita nel mondo è di settant’anni. Vuol dire che presto ci saranno moltissimi anziani da curare con spese che non saremo in grado di sostenere. Negli Stati Uniti il 30 per cento di quello che si spende per la salute è per gli ultimi sei mesi di vita delle persone. Sono soldi spesi bene? Probabilmente no.
E allora? Partiamo dalla considerazione che chi ha genitori anziani probabilmente morirà più tardi degli altri — e questo dipende dai geni — ma i geni rendono conto di non più del 25 per cento delle ragioni dell’invecchiamento. Il resto dipende dal caso, ma soprattutto da come mangiamo e dall’esercizio fisico e per questo possiamo fare molto.
Ma si deve cominciare presto, da bambini idealmente; dopo è troppo tardi. Vediamo perché. Ciascuno di noi nasce con il suo patrimonio di cellule staminali che sono più o meno 20.000 e questo vale per noi e per la maggior parte degli animali, per i topi per esempio. Col passare del tempo queste cellule le perdiamo.
Vuol dire che si invecchia in rapporto al numero di cellule staminali residue? È così, ma non sappiamo bene da che cosa dipende, potrebbero essere i malanni dell’età: malattie del cuore, diabete, cancro e Alzheimer. Sembrano malattie diverse, ma hanno un’origine comune che parte da lontano. Facciamo un esempio. Arrivato a un certo punto della vita uno comincia a non sentirsi bene, fa degli esami e scopre di avere un cancro. Ne parla in famiglia e con gli amici e annuncia «ho preso un tumore». Non è così, quella persona il cancro l’aveva da molti anni, solo non lo sapeva. E per le altre malattie della vecchiaia non è molto diverso. Ci accorgiamo tardi e quando ci accorgiamo è tardi per poterle curare.
«Vorremmo curare tutti. È ammirevole ma è sbagliato», scrive Oliver Smithies che nel 2007 ha avuto il premio Nobel per i suoi studi sulle cellule embrionali. Lui è il più categorico di tutti. «Curare le persone anziane non può essere una priorità per la scienza medica».
«Siamo sentimentali — continua Smithies — diciamo che la vita va preservata sempre, ma dovremmo avere i piedi per terra e capire che se andiamo avanti così le risorse finiranno e non potremo più curare nessuno. E poi che senso ha arrivare a ottant’anni pieni di acciacchi e dolori?» (chi dice queste cose qui è un uomo di 89 anni che ancora oggi lavora nel suo laboratorio a Chapel Hill in North Carolina e che nel tempo libero pilota ancora il suo piccolo aereo).
Sono in molti a non condividere le posizioni certo un po’ estreme di Smithies, ma il problema c’è e per risolverlo abbiamo un modo solo: pensare ad invecchiare bene quando si è giovani.
Tanto più che «i nostri tessuti e i nostri organi sono stati concepiti per sopravvivere non per morire, solo che non sono abbastanza resistenti per poter sopravvivere all’infinito», ha scritto il dottor Kirkwood su Nature di questi giorni. E che sia proprio così lo dimostrano gli abitanti di Ikaria, un’isola greca. «The Island where people forget to die», ha scritto il New York Times: insomma, lì è come se la gente si dimenticasse di morire.
Cos’è che fa vivere così a lungo la gente di Ikaria? L’aria pulita, forse l’acqua e soprattutto quello che mangiano, legumi e verdure dell’orto che lavorano loro e pane senza sale e olio d’oliva e pesce quando c’è e poi formaggio di capra.
A Ikaria la gente va a piedi, perché non ci sono macchine, e se inviti qualcuno a pranzo può darsi che ti arrivi in casa a mezzogiorno ma anche alle sei del pomeriggio perché i pochi orologi che ci sono non funzionano.
Lo stile di vita di Ikaria non è certo proponibile per chi vive a Milano o a New York ma la storia di quell’isola — ed è cosi anche a Bortigali in Sardegna — ci insegna due cose: che arrivare a 90 o anche a 100 anni stando ancora abbastanza bene è possibile; che accade a chi fa una vita sana fin da bambino e questo è ancora più importante dei geni.