Daniele Manca, Corriere della Sera 26/10/2014, 26 ottobre 2014
«Nessuna polemica, ma serviva un atto di chiarezza. Sta ora al governo e a tutti noi operare affinché la privatizzazione delle Ferrovie dello Stato possa essere avviata e arrivare a compimento nel 2015»
«Nessuna polemica, ma serviva un atto di chiarezza. Sta ora al governo e a tutti noi operare affinché la privatizzazione delle Ferrovie dello Stato possa essere avviata e arrivare a compimento nel 2015». Marcello Messori ha da poche ore riconsegnato al consiglio di amministrazione delle Ferrovie dello Stato (FS) le sue molte deleghe mantenendo solo quelle al controllo interno. Classe 1950, Messori è docente alla Luiss di Roma, un passato al MIT americano, esperto di moneta, banche e governance societaria oltre che dell’Unione Europea. Dal 30 maggio scorso è stato nominato presidente delle FS con l’incarico specifico, conferito dal governo guidato da Matteo Renzi, di arrivare alla parziale cessione di uno dei gruppi più importanti del Paese: 70 mila dipendenti, quasi 37 miliardi di patrimonio netto, una holding e una quarantina di controllate tra società operative e di gestione. «Una società di queste dimensioni e complessità ha bisogno di una chiarezza nei ruoli e nella direzione strategica soprattutto in vista di un’operazione complessa come il processo di privatizzazione». Ma riconsegnare le deleghe è un atto molto forte, solitamente esprime un dissenso sul modo di condurre la società che spesso prelude alle dimissioni. «Nessuna dimissione in vista. Ho tenuto la delega al controllo interno e rimango Presidente dell’organo che prende le decisioni finali proprio perché non ritengo affatto concluso il mio compito; anzi, spero che la mia scelta funga da spinta per l’evoluzione di FS». Allora scusi, dov’è il problema? «In una privatizzazione si deve decidere cosa cedere. Le Ferrovie gestiscono la rete ferroviaria con Rfi, forniscono i servizi ai passeggeri con Trenitalia, controllano molte altre società. Cosa ci si sta avviando a cedere?». C e lo dica lei quali fossero le intenzioni del governo... «Facciamo l’esempio della rete. Di norma, è bene mantenere la proprietà pubblica della infrastruttura di base». Quindi niente cessione di Rfi ossia della società che gestisce la rete. «E’ questo uno dei punti. Oltre a gestire la rete, Rfi incorpora molte altre attività che possono essere cedute. Pensi al caso della Germania». La Germania? «Sì, in Germania la gestione pubblica della rete ferroviaria è più circoscritta. In Italia Rfi ha invece un ampio patrimonio immobiliare, che non comprende solo beni funzionali al servizio ferroviario (i cosiddetti beni strumentali); ci sono parti della logistica; ci sono la rete elettrica e quella di telecomunicazioni. Se si deve attuare una privatizzazione finalizzata non solo a fare cassa ma anche a rendere più efficiente FS e a sviluppare il mercato e la concorrenza, bisogna scorporare quelle attività: RFI andrebbe asciugata. E problemi di riorganizzazione, anche se diversi, valgono per Trenitalia e per le altre società controllate». E non si poteva fare? «La riorganizzazione è un compito che spetta all’amministratore delegato. Ma processo di privatizzazione e riorganizzazione devono andare insieme. E’ una questione di strategia aziendale». Sarà anche questione di strategia; ma quando ci sono di mezzo immobili e svariate attività, è evidente che si toccano interessi e occorre la massima trasparenza... «Certo, ed è per questo che mantengo la delega sul controllo interno, volto a verificare che ogni operazione risponda a regole rigorose. Ciò è cruciale per una società che ha vissuto forti cambiamenti e ora deve sedimentarli. Negli ultimi anni FS è diventato un gruppo innovativo grazie all’Alta Velocità». Ma come influisce l’Alta velocità in tutto ciò? «Bè, è soprattutto grazie all’Alta velocità e al suo indotto che le FS si sono aperte al mercato e hanno ottenuto risultati positivi. Ora anche gli altri servizi ferroviari devono fare salti di qualità, il gruppo va razionalizzato, la governance diventare efficace. In quest’ottica, la privatizzazione è un’imperdibile occasione di politica e di strategia industriale. Non sarebbe stato possibile portarla avanti in modo isolato». Insomma il suo è anche un invito al governo ad accelerare sulla cessione ma con obiettivi chiari? «Esattamente; e da presidente, nonostante la delega alla privatizzazione, mi sarei trovato in una condizione di impotenza». Daniele Manca