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 2014  ottobre 25 Sabato calendario

IL VOTO DELL’«EPURAZIONE»

KIEV.
Davanti al Parlamento di Kiev, la Verkhovna Rada, giovani attivisti hanno disposto rastrelli in cerchio, e sul manico hanno appoggiato alcune fotografie: «Non rimettete due volte il piede sullo stesso rastrello!», avvertono. Le foto sono quelle di alcuni tra i 312 deputati (su 450) dell’attuale Parlamento che alle elezioni anticipate di domani intendono riprovarci, e farsi rieleggere. Eppure con questo voto l’Ucraina vorrebbe voltare pagina: con termine inquietante il primo ministro Arseniy Yatsenyuk ha definito le elezioni «purghe» mentre il presidente Petro Poroshenko, che le ha convocate a fine agosto, ha detto che sono la forma migliore di «lustrazija» - epurazione: «Dobbiamo dare inizio alla purificazione partendo dall’organo legislativo più alto», ha detto.
Molti sono scettici all’idea di un vero ricambio. Lo è Andriy, che guarda uno dei tanti manifesti con il volto un po’ sbiadito di Yulia Tymoshenko e sbuffa: «Mi ha proprio stufato!». Andriy sostiene che le 29 liste che si presenteranno domani agli elettori siano piene di personaggi riciclati, amici di oligarchi perennemente potenti, gente esclusivamente concentrata a proteggere i propri interessi: «Sanno solo rubare», taglia corto.
Per l’Ucraina il senso di queste elezioni va ben al di là della ricerca di facce nuove per rinfrescare la politica. Rinnovare il Parlamento è l’ultimo passo necessario a un Paese che vuole scrollarsi di dosso il regime precedente, è il completamento della battaglia iniziata, ormai quasi un anno fa, con le proteste sul Maidan di Kiev. La grande piazza del centro della capitale, ormai ripulita e riaperta al traffico, sembra voler restare aggrappata al proprio dramma esponendo le immagini di quei giorni terribili, offrendo lumini ai propri martiri. Ma mentre il Paese si prepara a votare il Maidan è quasi deserto, e freddo. «Gloria all’Ucraina!», ripetono i manifesti elettorali gialli e blu del Fronte popolare fondato da Yatsenyuk.
«La maggior parte degli attuali deputati - ha ricordato Poroshenko - (nel gennaio scorso, ndr) ha votato a favore delle leggi dittatoriali che si sono prese la vita dei Cento beati», le vittime del Maidan. Con questo voto il presidente, che ha dato il proprio nome al blocco che lo appoggerà dalla nuova Rada, cerca legittimazione per il sistema uscito dalla fuga di Viktor Yanukovich e da quello che la Russia considera un golpe. Enfatizzando la lotta alla corruzione, ai clientelismi e ai residui sovietici, Poroshenko cerca il consenso degli elettori ma anche quello della comunità internazionale, che sola può salvare l’Ucraina dai pericoli più immediati: il tracollo economico e la mancanza di gas.
Fa tanto freddo a Kiev, nelle altre città e nelle regioni dell’Ucraina. Il gas è razionato e, malgrado le promesse, l’inverno è arrivato senza riscaldamento. È soltanto l’immagine forse più tangibile di un Paese che sta andando a votare per liberarsi dei propri nemici interni e per cambiare, ma resta alle prese con un’altra grande minaccia esterna, laggiù nelle regioni dell’Est. Come sarà possibile riformare la politica e l’economia per un’Ucraina in guerra? La sfida più grande è tutt’altro che risolta, l’instabilità nelle regioni orientali e la mancanza di un accordo sul gas sono il segno che - in questo momento - è Vladimir Putin a cantare vittoria: l’Ucraina è ostaggio delle decisioni di Mosca.
Va a votare un Paese monco, irriconoscibile rispetto a un anno fa. Non voterà la Crimea, né gli elettori dei distretti di Donetsk e Luhansk controllati dai separatisti antigovernativi: almeno, non quelli che non sono riusciti a fuggire dalle zone di guerra, unendosi alle decine di migliaia di profughi che ora vivono altrove. Per la nuova Rada significa avere una trentina di seggi in meno, per l’Ucraina è un’amputazione.
A scorrere l’elenco dei partiti che si presentano al voto, dove il filo comune è il nazionalismo, sembra difficile che Poroshenko riesca a rafforzare i consensi per il suo tentativo di trovare un’intesa con Putin, per un piano di pace in cui nessuno pare credere. A partire dai separatisti, che malgrado la tregua giurano di riconquistare Mariupol o Slaviansk, località riconquistate dai governativi.
La gente vuole la pace, dicono tutti a Kiev, ma non una pace imposta da Mosca. E la guerra ha scoperchiato geni pericolosi, un nazionalismo che per alcuni è patriottismo ma per altri assume toni più torbidi, estremisti. Come i sospetti sul comportamento crudele di Oleh Lyashko - leader del Partito radicale, secondo nei sondaggi - con i prigionieri filorussi. «Una tendenza pericolosa - spiega un osservatore occidentale - qui di moderati ce ne sono pochi».
Per Poroshenko, che con il suo Blocco guida i sondaggi intorno al 30% dei consensi, sarà più facile trovare nella nuova Rada alleati sul fronte dell’economia, delle riforme e dell’integrazione con l’Europa. La sua "Strategia 2020", disegnata per portare l’Ucraina alle porte della Ue, prevede riforme fiscali, amministrative, lotta alla corruzione, e pochi, almeno a parole, si dicono contrari alle misure concordate con il Fondo monetario internazionale, autore di un bailout da 17 miliardi di dollari, e senza il quale l’Ucraina sarebbe già in default. Ma questa guerra di cui non si vede soluzione - 6 milioni di dollari al giorno il costo, secondo Poroshenko - sta chiedendo all’economia un prezzo molto più alto del previsto: secondo la Banca mondiale, il Pil ucraino nel 2014 crollerà dell’8%, e senza Donetsk e Luhansk il Paese si priva di 5 milioni di persone, di miniere e fonderie, del 15% della produzione e del 27% dell’export. Senza il carbone di Donetsk le fabbriche ucraine si fermano, andando ad aggravare la crisi energetica. Che per Vitaly Klitschko, sindaco di Kiev e alleato di Poroshenko alle urne, è «il prezzo dell’indipendenza»: ma i negoziati per la ripresa delle forniture di gas sono bloccati, in attesa di decisioni che vanno oltre Kiev. Il portafoglio è in mano a Bruxelles, il rubinetto a Mosca.
Antonella Scott, Il Sole 24 Ore 25/10/2014