Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 25/10/2014, 25 ottobre 2014
LONDRA FURIOSA E SEMPRE PIÙ EUROFOBA
LONDRA.
«Un assegno da 2 miliardi di euro il primo dicembre? Lo escludo». È un David Cameron infuriato quello che da Bruxelles mima, idealmente, Margaret Thatcher e il suo urlo - «I want my money back» - echeggiato al vertice europeo del 1984 quando il Regno Unito si garantì un consistente rimborso del bilancio Ue. Londra, questa volta, è invitata a pagare, ma non lo farà certamente, nei tempi, né, probabilmente, nella misura richiesta. Forse non lo farà del tutto.
La nuova faglia che si è aperta lungo la Manica è più profonda di quella scavata fra Bruxelles e Roma, l’Aja, Atene tutte invitate dalla Commissione a versare un contributo extra per un ricalcolo delle quote nazionali al budget Ue. Londra è stata chiamata a pagare 2 miliardi di euro, un quinto circa del versamento nazionale al bilancio comune del 2013, un multiplo, quindi, di quanto sollecitato agli altri partner in "debito".
A fare la differenza non è solo il quantum, ma il contesto nel quale è stata lasciata cadere una bomba politica, figlia di tecnicalità contabili e pertanto, a parere di molti, già nota al Tesoro britannico. Non a lui, non al primo ministro se è vero che David Cameron dopo aver interrotto il presidente della Commissione Barroso nel corso del summit, ha poi definito la richiesta «completamente ingiustificata» sia nella sostanza, sia nella forma. Presentare il conto con pretesa di saldo in sei settimane svela, per Downing street, «quanto sia inaccettabile il modo di operare» della Commissione. Rabbia britannica, dunque. Per ragioni che vanno molto oltre la richiesta di 2 miliardi di euro giunta, peraltro, nel giorno del dato sul terzo trimestre del Pil che con un più 0,7% conferma la marcia di Londra, nonostante un leggero rallentamento, verso una performance economica nel 2014 destinata a superare il 3 per cento. Il nuovo contenzioso esplode, infatti, a due settimane circa dalle elezioni suppletive di Rochester che, a dare retta ai sondaggi, porteranno un secondo deputato dell’Ukip di Nigel Farage a Westminster. La forza eurofoba mangia elettori ai conservatori, rinvigorisce l’ala più euroscettica del partito e spinge David Cameron a rincorrere un consenso popolare evanescente. Rincorsa che il premier sa interpretare solo come fuga da Bruxelles, mostrando di cedere sempre più ai toni radicali in preparazione di un referendum sull’adesione all’Ue che i Tory intendono organizzare nel 2017. Mettere in correlazione diretta i 2 miliardi di contributi richiesti dalla Commissione all’ottima performance economica del Regno Unito, come se fosse una "tassa sul merito" - anche se non è esattamente quello di cui si tratta - è operazione con qualche dose di demagogia politica. In questi mesi di stagione prelettorale (si voterà in maggio) è, però, operazione assolutamente prevedibile. Nigel Farage ha infatti già denunciato «il completo fallimento» di David Cameron nei confronti di un’Europa che, a suo avviso, si conferma «vampiro assetato del sangue dei contribuenti inglesi».
Toni tanto coloriti quanto inevitabili ai margini dello storico braccio di ferro fra Londra e Bruxelles che da ieri è entrato in una nuova fase con David Cameron impegnato in uno scontro dal quale dovrà uscire con la cancellazione del contributo o, quantomeno, con un forte sconto. L’alternativa, per lui, significherebbe pubblica sconfitta. Uno scenario che la battuta laconica consegnata dal premier britannico ai margini del summit non esclude affatto. «Pretendere l’incasso - s’è domandato - di un conto del genere nel volgere di un mese è utile alla membership britannica dell’Unione? No. Certamente, no».
Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 25/10/2014