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 2014  ottobre 25 Sabato calendario

IL GENIO CHE INNOVÒ LA FISICA ISPIRANDOSI AL PROPRIO BARBIERE

Tullio Regge è stato un grandissimo (della fisica). E il «della fisica» va messo tra parentesi perché, difficilmente, si può incontrare nel panorama della scienza moderna un intelletto così versatile, quasi leonardesco. Come diceva lui stesso, dote in qualche modo ereditarie.
Il padre Michele, che aveva quarant’anni quando nel 1931 nacque Tullio, era un geometra, «autodidatta professionista» e di origini contadine. Curioso in tutti i campi del sapere, tanto da scrivere un libro di fisica in cui dava torto a Newton. Come ha raccontato lo stesso Regge nella sua autobiografia L’infinito cercare (Einaudi, scritta con Stefano Sandrelli) «le sue teorie erano sbagliatissime, ma lo sforzo e l’applicazione del pensiero erano davvero encomiabili». E quello sforzo e applicazione hanno trovato nel figlio miglior base teorico scientifica. Già alle elementari le sue doti matematiche iniziarono a brillare. A casa sua c’erano un sacco di libri ed essere autodidatti era la norma. In terza aveva già letto i testi dell’astronomo Flammarion, giocava col telescopio, e aveva messo le mani su Matematica dilettevole e curiosa di Italo Ghersi. A otto anni finì per saltare dritto alle scuole medie. Una corsa in avanti rallentata dalle bombe che cadevano su Torino e poi dal fatto che i partigiani minacciarono il padre che era fascista convinto. Ma dopo la guerra il percorso verso il politecnico di Torino proseguì spedito. Con una «svolta» dovuta a Topolino. Un giorno a lezione di fisica mentre Ubaldo Richard (poi uno dei pilastri dell’università di Padova) stava spiegando, Regge leggeva i fumetti. Richard lo chiamò alla lavagna piazzandogli davanti un integrale molto complesso. Regge inventò un modo completamente nuovo di risolverlo. E Richard lo dirottò dal politecnico alla facoltà di fisica, dove fu allievo di Gleb Wathagin. Divenne in breve assistente all’istituto di fisica Teorica di via Giulia: «Regge scriveva con aria diabolica su un enorme registro da inventario poggiato su una vecchia scrivania nera...». Da lì passò all’università americana di Rochester. Ottimo ateneo ma pretendevano che Regge lavorasse in laboratorio, non era il suo, troppi esperimenti pratici. Ma l’America fu il passaggio fondamentale per conoscere John Wheeler, uno dei padri della bomba H. Nel 1957 il duo Wheeler-Regge pubblico uno dei primi studi matematicamente accurati riguardo ai buchi neri (Wheeler e Regge si divertivano anche a provocare esplosioni nei cortili delle università ma questo non è passato alla storia).
Iniziò la notorietà internazionale, e poco dopo, nel 1959 arrivò uno degli altri lavori fondamentali di Regge, lo studio del momento angolare complesso e alla scoperta dei cosiddetti «Poli di Regge». Questa teoria ha consentito di dare una prima interpretazione a quegli oggetti (detti risonanze), che appaiono solo nelle fasi intermedie dei processi di alta energia e con tempi di vita brevissimi (dell’ordine di 10-23 secondi). La teoria di Regge, sviluppata negli anni, stabilisce una correlazione tra lo spin e l’energia, permettendo l’introduzione delle cosiddette traiettorie di Regge. Cosa sono in soldoni i concetti astrusi che abbiamo elencato sin qua? Regge ha fissato le regole matematiche che servono a capire il funzionamento e i meccanismi dell’interazione forte, quella che tiene insieme i nuclei atomici di tutta la materia. Un colpaccio portato a termine da un ragazzino di ventotto anni. A cui seguì nel 1961 General Relativity Without Coordinates uno studio in cui Regge presentava un modo affatto nuovo per risolvere i problemi della relatività generale. La teoria di Einstein ci parla infatti di uno spazio-tempo curvo la cui comprensione richiede equazioni complesse, che spesso si risolvono per approssimazione. Regge «piastrellò» quello spazio-tempo curvo con dei poliedri, calcolandone angoli e spigoli in modo di ottenere l’approssimazione migliore. Negli anni seguenti il suo sistema di calcolo fu una delle cose più utilizzate e discusse della scienza. In molti hanno chiesto al fisico come gli fosse venuta l’intuizione. Ecco la risposta: «Ero dal barbiere di fronte allo specchio. Anche dietro c’era uno specchio. Vedevo una lunga fila di riflessioni alternate il cui mondo rappresentato era sempre lo stesso... fu la sequenza di piani a suggerirmi l’idea». Quelle riflessioni allo specchio avrebbero fatto nascere la teoria delle stringhe.
Ma questo è solo un pezzetto della vita di Regge. Il suo eclettismo lo ha portato a cimentarsi con l’arte digitale, nella fantascienza (è rimasto celebre un suo scambio con Borges) e persino nel design: la poltrona detecma, coloratissima e modellata secondo una curva ciclide, che ha progettato negli anni ’70, è oggi esposta in importanti musei di arte moderna. Amava infinitamente la musica e la sua amicizia con Berio ne è stata testimonianza. Il suo dialogo con Primo Levi pubblicato da Einaudi è un testo affascinante, e del resto aveva capacità divulgative rare per un fisico del suo livello. E poi ha fatto una scelta impegnativa, conteso da molte università nel mondo è tornato in Italia subito dopo aver ottenuto il Premio Einstein (nel 1979).
Per usare le parole di Stefano Sandrelli, tecnologo e divulgatore, e coautore della biografia di Regge: «Aveva un’ironia straordinaria, una perenne voglia di scherzare, di giocare, di conoscere e di capire. E una grandissima umiltà: una persona che porta le proprie doti con naturalezza, impegnandosi in quel che gli interessa con quella stessa cura e accanimento con il quale un bambino fa un disegno o colora una figura».
Matteo Sacchi, il Giornale 25/10/2014