La Stampa 25/10/2014, 25 ottobre 2014
Il genio che rifece i calcoli a Einstein Addio a 83 anni a un padre della fisica: commemorato anche all’inaugurazione del Festival della Scienza Gabriele Beccaria Uomo di due mondi, cervello affacciato sugli universi paralleli della meccanica quantistica (che descrive l’immensamente piccolo) e della Relatività generale (che descrive l’immensamente grande): così ricorda Tullio Regge il fisico Antonio Masiero, vicepresidente dell’Infn, l’Istituto nazionale di fisica nucleare
Il genio che rifece i calcoli a Einstein Addio a 83 anni a un padre della fisica: commemorato anche all’inaugurazione del Festival della Scienza Gabriele Beccaria Uomo di due mondi, cervello affacciato sugli universi paralleli della meccanica quantistica (che descrive l’immensamente piccolo) e della Relatività generale (che descrive l’immensamente grande): così ricorda Tullio Regge il fisico Antonio Masiero, vicepresidente dell’Infn, l’Istituto nazionale di fisica nucleare. Regge era uno dei grandi della scienza ed è scomparso a 83 anni, dopo una carriera di ricerca e insegnamento tra Princeton, Monaco e Torino, innumerevoli premi (come l’Einstein Award) e soprattutto un privilegio che è per pochi. Due teorie portano il suo nome: i «Poli di Regge» e il «Calcolo di Regge». «La prima - spiega Masiero - descrive gli urti tra le particelle attraverso le interazioni nucleari forti: un problema complesso, oggi affrontato attraverso la cromodinamica quantistica, e per il quale Regge elaborò un metodo poi ripreso da Gabriele Veneziano, autore di un “Modello”, il quale, a sua volta, ha dato origine alla celebre Teoria della Stringhe, oggi la più avanzata per immaginare una visione unificata delle forze della Natura». Regge, insomma, ha generato idee fertili che non hanno più smesso di sbocciare. Proprio come è avvenuto con l’altra sua conquista intellettuale, il «Calcolo»: «Che è quello che l’ha caratterizzato di più - aggiunge Masiero -. È un modo originale di affrontare il problema centrale della Relatività, cioè la soluzione dell’equazione di Einstein che descrive l’evoluzione dell’Universo e che nel 2015 compirà 100 anni». Questo tipo di calcolo, «geometrico», era per Regge «sia uno strumento tecnico sia un approccio innovativo sulla gravità, attraverso quella che si chiama “discretizzazione”». Una logica visionaria, ripresa oggi da chi, attraverso la gravità quantistica, cerca il Graal della fisica, la conciliazione tra Relatività e meccanica quantistica. La notizia della morte di Regge è un’ombra di dolore che ieri si è adagiata sul Festival della Scienza di Genova: a lui è stata dedicata la lezione inaugurale del Nobel Serge Haroche, che ha spiegato la bellezza e la necessità della ricerca di base (proprio quella in cui eccelleva il fisico nato a Bordo d’Ale, in provincia di Vercelli). «Era capace di straordinarie astrazioni e allo stesso tempo di un intenso coinvolgimento nella realtà», ha spiegato nel saluto introduttivo il presidente dell’Inrim, Massimo Inguscio. E a molti, tra il pubblico, è venuto in mente l’uomo dei due mondi: se sapeva pensare come pochi per formule e teoremi, ha avuto il piglio dello scrittore (con best-seller come «Infinito»), la verve del polemista (con gli articoli su «La Stampa») e il coraggio dell’impegno politico (con il seggio di europarlamentare come indipendente del Pci). «Ha fatto capire a tutti la scienza, raccontandola - ha concluso Inguscio -. E ha svelato che anche quella più astratta può rivoluzionarci la vita». PIERO BIANUCCI Quello sguardo insaziabile Piero Bianucci A ricordare per sempre Tullio Regge c’è un pianetino in orbita tra Marte e Giove, il numero 3778. Lui se n’è andato a 83 anni lasciando un vuoto nella fisica teorica, nella divulgazione scientifica, nell’impegno civile. Un vuoto di intelligenza. Non abbiamo più il suo pensiero divergente, il dono di guardare i problemi rovesciando il punto di vista. Lo applicò alla fisica delle particelle e vennero fuori i «Poli di Regge», alla Relatività generale di Einstein e ne uscì il primo abbozzo della gravità quantistica, ai buchi neri, e diede contributi geniali. Capelli rossi, grandi occhi pieni di stupore e divertimento, Tullio Regge nasce l’11 luglio 1931 a Borgo d’Ale in provincia di Vercelli e si laurea all’Università di Torino nel 1952 con Mario Verde e Gleb Wataghin, due maestri che gli offrirono subito orizzonti internazionali. All’Università di Rochester, New York, consegue il dottorato in fisica delle particelle elementari. Incontra John Wheeler, uno dei maggiori fisici teorici del ‘900, e incomincia a interessarsi alla teoria della Relatività generale: con lui pubblica un lavoro sui buchi neri che sarà fecondo per l’astrofisica. Relatività e meccanica quantistica diventano i suoi principali campi di interesse e li approfondisce al Max Planck Institut di Monaco diretto da Heisenberg. Qui con Symanzyk inizia studi che lo porteranno a sviluppare l’idea di particelle fittizie, appunto i «Poli di Regge», intuizione che avrà grande fortuna in fisica delle alte energie. Nel 1961 diventa professore di Relatività all’Università di Torino. Parallelamente entra all’Institute for Advanced Study di Princeton, dove avevano lavorato Einstein e Goedel e dove conosce Oppenheimer. E’ di quegli anni il suo tentativo di quantizzare la gravità: per riuscirci, sviluppa una tecnica matematica ora nota come «Regge Calculus». Nel 1979 riceve la Medaglia Einstein, oltre c’è solo il Nobel. Nello stesso anno lascia Princeton e torna a Torino, alla facoltà di Fisica. Una distrofia muscolare lo aveva costretto a camminare appoggiandosi a grucce e poi a muoversi su una carrozzina. Eletto parlamentare europeo nel 1989, al termine del mandato passa al Politecnico di Torino, dove per 10 anni ha insegnato teoria quantistica della materia. L’elenco dei lavori scientifici di Regge, benché formidabile, non direbbe quasi nulla sulla poliedricità del personaggio. Regge ha usato il computer per fare disegni ironici. Uno rappresenta un fiore a 4 petali ed è intitolato «Viola del pensiero debole», con allusione al filosofo Vattimo. Da giovane progettò una poltrona. Raccontava: «Mi ispirò la ciclide di Dupin, una curva geometricamente interessante. Ne avevo fatto un modello in fil di ferro. Nel 1968 un’azienda l’ha commercializzata chiamandola Detecma. Ora è al Design Museum della Triennale di Milano». Negli Anni 80, per sbloccare i lavori del nuovo Istituto di fisica, fece lezione in mezzo alla strada. Una volta, in Polonia, vide una mongolfiera e con Mario Rasetti immaginò una molecola che poi fu scoperta in natura, il fullerene, e diede il Nobel a Kroto. Intanto riempiva il Palasport con le sue conferenze e curava con me programmi di scienze per la Rai. Da un dialogo con Primo Levi nasceva un libro tuttora ristampato. Scriveva di scienza sulla «Gazzetta del Popolo» e poi a «La Stampa». Si impegnava nel Cicap contro le pseudoscienze e nell’Airh a favore dei portatori di handicap. Fondava l’Isi, Istituto per l’interscambio scientifico, e riceveva la Medaglia Cecil Powell della Società Europea di Fisica e la Medaglia Dirac. I suoi libri divulgativi diventavano bestseller. L’ultimo, frutto di lunghi colloqui con l’astrofisico Stefano Sandrelli, è «L’infinito cercare. Autobiografia di un curioso», edito da Einaudi. La curiosità lo spingeva, l’intelligenza lo guidava.