La Stampa 25/10/2014, 25 ottobre 2014
“A me hanno puntato il coltello alla guancia” Lodovico Poletto Un’ora critica vera non c’è
“A me hanno puntato il coltello alla guancia” Lodovico Poletto Un’ora critica vera non c’è. «Va a momenti, a ondate» sussurra l’autista. «Ma quando quelli rientrano verso il campo qualche problema c’è quasi sempre». Autobus numero «69». Un quarto d’ora di tragitto da via Stampini, periferia est di Torino, a Borgaro, passando davanti campo nomadi di strada Aeroporto. Ma sono i primi sei o sette minuti quelli critici. Quelli dove i ragazzini dell’accampamento rom salgono dal centro per tornare a casa, o viceversa. E allora può accadere quel che è capitato ad Ira, giovane moldava, dai capelli biondissimi. «Molestavano tutti. Prendevano a pugni la macchinetta che timbra i biglietti. Sono intervenuta e loro mi hanno piantato un coltello proprio, qui, sulla guancia. E me ne hanno dette di tutti i colori. Se non era per il conducente non so come sarebbe finita». Male. Ovvio. In questa giornata d’inizio weekend sul «69» c’è calma totale. Salgono gli studenti che tornano a casa dopo la scuola. Le casalinghe, i pensionati e loro, «i nemici» quelli che il sindaco Claudio Gambino (Pd) e il suo assessore ai trasposti, Luigi Spinelli, di Sel, vorrebbero far viaggiare su un bus diverso. E arrivano anche i controllori. «Biglietto per favore». Nessun rom ce l’ha. E i controllori scrivono. Novanta euro, da pagare entro 30 giorni. Ma Hatiaa Salkanovich, classe 1970, non fa una piega. Ritira la contravvenzione e continua a chiacchierare. «Pagare? Sì, sì. Vado a fare l’elemosina e poi pago». Ma non le conviene comprare un biglietto a un euro e 70? «Al campo non li vendono». Già, e lei non paga. E lo stesso fanno i ragazzini, gli adulti, le mamme rom con il passeggino stracarico di qualsiasi cosa. E gli altri, quelli che si sentono minacciati che sono stati molestati, che hanno protestato con petizioni e volantinaggi, s’indignano. «A piedi devono andare, altro che un bus solo per loro» dice qualcuno. «Gettiamo altri soldi dalla finestra per quella gente che non merita nulla». E via un’altra serie di proteste, racconti, parole non proprio dolci. Loro, i rom, di questo campo da quasi 600 persone a due passi dallo Stura, territorio franco dove rivivono antiche rivalità della guerra di Jugoslavia, tra musulmani di Bosnia e ortodossi di Serbia, fanno spallucce. Oppure s’indignano - «È razzismo» - e protestano. Toni Salkanovich, 27 anni e quattro figli, fa parte del secondo gruppo. «Devono punire chi fa i guai. Il problema esiste, è vero, ma chi può dire qualcosa a quei ragazzi?». Già, chi può farlo? Uno del campo? Giammai. Si rischia l’ennesima rissa. Come se non bastassero le tensioni che nessuno nasconde tra serbi e bosniaci, tra legittimati a vivere su questa spianata di baracche, auto distrutte e incendiate, rifiuti bruciati, e abusivi. Chi, allora? «Serve la legge, non un bus diverso» dice qualcuno. Ci provano i vigili del nucleo nomadi del Comune di Torino. Salgono sui pullman e controllano, mescolati i ai passeggeri. Lo fanno tre volte la settimana. I risultati sono discreti. Ma non basta. In questo Far West torinese la diligenza a motore avrebbe bisogno di giubbe blu 24 ore su 24. GUSTAVO ZAGREBELSKI Le cause da rimuovere Vladimiro Zagrebelsky Il sindaco di Borgaro probabilmente non pensava di rischiare di passare alla storia come l’emulo di provincia del celebre governatore dell’Alabama, che, negli Anni 50 del secolo scorso, costringeva i cittadini afro-americani (negri, nel linguaggio dell’epoca) a non usare i sedili riservati ai bianchi negli autobus. La signora Rosa Parks, stanca vi si sedette, rifiutò di alzarsi e venne arrestata; ne nacque la rivolta con il Montgomery Bus Boycott ed iniziò la vicenda conclusa dalla sentenza della Corte Suprema, che dichiarò incostituzionale quella discriminazione. Ma, né Borgaro né l’Italia sono l’Alabama degli Anni 50. Il sindaco non è interessato al colore della pelle o all’appartenenza etnica dei passeggeri. Egli è invece preoccupato per la sicurezza e tranquillità dei viaggiatori e, senza vietare o imporre alcunché, propone di modificare il servizio di trasporto pubblico in modo da prevedere una linea di servizio a un campo nomadi. Così spera di ottenere che gli abitanti di quel campo si servano della nuova linea invece di quella utilizzata da coloro che vanno a destinazione oltre il campo. Nell’intenzione del sindaco si tratta di evitare che si ripetano frequenti episodi gravi in danno di passeggeri, derubati o aggrediti da individui, che sarebbero Rom abitanti in quel campo. Immagino, commentando ora l’iniziativa, che quella del sindaco sia mossa da fatti reali, che l’esasperazione dei viaggiatori sia vera e forte, e che il problema della loro sicurezza nasca effettivamente dal comportamento di appartenenti alla locale comunità Rom. E’ bene stare lontani dagli stereotipi negativi che accompagnano i Rom nell’opinione diffusa. Sono ancora nella memoria i recenti episodi di uno stupro inventato e attribuito agli abitanti di un campo di Rom, o la recente invenzione del rapimento di un bimbo attribuito ad alcuni Rom. Invenzioni, non a caso contro Rom. In altre circostanze la tensione con i Rom ha dato luogo, anche a Torino, ad episodi di violenza, che hanno assunto forme criminali a carattere razzistico. Ma gli stereotipi sono pericolosi in un doppio senso: da un lato portano a credere a ciò che non esiste, ma dall’altro spingono chi li rifiuta a negare le realtà che li hanno fatti crescere. Questa volta però il facile e pregiudiziale schieramento a fianco di una comunità tanto spesso discriminata ed emarginata mi sembra improprio o almeno avventato. È impossibile ignorare il problema: impossibile per chi vive quotidianamente la preoccupazione di dover prendere quell’autobus; impossibile anche per chi, vivendo altrove, per esempio nel bel centro di Torino, non è esposto a quella situazione e a quella tensione. La prima domanda da porre, non al sindaco, ma al questore o al prefetto riguarda il compito primordiale dello Stato di assicurare la sicurezza delle persone. Come è possibile che si trascini una tale situazione, che spinge un sindaco ad immaginare un provvedimento come questo? La questione della sicurezza nei mezzi di trasporto pubblico, a certe ore della sera e in certi quartieri, non solo per i passeggeri, ma anche per autisti e controllori, è grave e non deve essere minimizzata come banale microcriminalità. Il problema non è solo torinese, né evidentemente riguarda specificamente i Rom; esso colpisce anche molte altre città. Lasciare un servizio pubblico in mano a prepotenti o delinquenti, chiunque essi siano, colpisce la fiducia che occorrerebbe avere nella capacità dello Stato di adempiere ai suoi doveri. Se la fiducia vien meno nel quotidiano della vita delle persone, non ne segue una passiva rassegnazione, ma arrivano le reazioni private: quelle per evitare le quali lo Stato è istituito. E quando si contrappongono comunità diverse, nasce il razzismo. Non basta deplorarlo e rifiutarlo. Occorre rimuovere le occasioni che lo sollecitano. Vi è poi una seconda e complementare domanda. Se le aggressioni denunciate vengono sistematicamente da parte di persone appartenenti alla comunità Rom, perché questa stessa comunità non reagisce, isolando coloro che ne sfigurano l’immagine e la considerazione? Se la risposta fosse (o il silenzio significasse) che tutto sommato quei comportamenti non sono ritenuti inaccettabili o addirittura sono ammessi perché tradizionali, un problema gravissimo si porrebbe: quello dell’idoneità della comunità nel suo complesso a vivere integrata nel contesto di una società che ha regole essenziali da osservare. C’è da augurarsi che non si debba arrivare ad una simile conclusione, che drammaticamente colpirebbe allo stesso modo tutti gli appartenenti ad una intera comunità. Non solo ad essi, ma anche a coloro che sul terreno, con generosità e con difficoltà operano perché emarginazione e discriminazione siano rimosse, si chiede di non negare, né sottovalutare il problema. PARLA VENDOLA “Bus solo per i rom? Caro compagno questo è apartheid” Il segretario di Sel sconfessa il suo assessore “Se dimentichiamo i diritti, la politica è morta” Francesco Grignetti A Borgaro, in provincia di Torino, l’amministrazione comunale ha deciso che la linea di autobus 69 va sdoppiata: stesso percorso, ma fermate differenziate. E così non si confonderanno i cittadini e i nomadi. L’idea è di amministratori di sinistra. Ma che ne pensa Nichi Vendola, segretario nazionale di Sel? «Guardi, di questi tempi, mi colpisce molto come la Chiesa di papa Bergoglio non abbia paura di una vocazione pedagogica anche su questioni largamente impopolari. Penso alla critica dell’ergastolo. Il Pontefice dice che la buona novella è una bussola per orientarsi nel mondo». Parole non casuali, eh? «Parto di qui per dire che soprattutto oggi, nell’età delle post-ideologie, abbiamo la necessità di fondare l’azione politica quotidiana su un’idea generale del mondo. Se ci dimentichiamo i diritti umani fondamentali, credo che la politica non serva più a niente. Se la politica si riduce a panciera da basso ventre per una società impaurita, spappolata, sempre sull’orlo della guerra tra poveri, allora davvero siamo finiti in uno straordinario regresso. Non si tratta qui di fare una predica dall’alto, o di ignorare le inquietudini di un territorio, ma mi rifiuto di pensare che l’azione di governo debba procedere per esorcismo dei diritti degli altri. Per fare l’Alabama, mi basta la destra». Ai suoi occhi, insomma, la sinistra che governa Borgaro non è più sinistra? «La sinistra che si fa competitiva con la destra sul terreno dell’Alabama perde la sua ragione di essere alternativa». Gli amministratori di Borgaro naturalmente non saranno d’accordo. Non pensano affatto di aver tradito un’idea di sinistra. «Credo che lo sforzo di cercare una soluzione sia sempre encomiabile. Ma avere regimi differenziati nell’esercizio di diritti, si chiama “apartheid”. Può essere anche un “apartheid” microscopico, e contornato di buone intenzioni, ma per me è un’inaccettabile lesione dell’idea di umanità». Non negherà quant’è difficile la convivenza su quell’autobus tra pendolari e rom. O no? «Tutt’altro. L’anno scorso ho voluto inaugurare l’anno scolastico della Regione Puglia, assieme a tutte le autorità, e cioè un bel gruppo di generali, prefetti e direttori, nel campo rom di Bari. Era molto importante che per due ore il mondo istituzionale si rendesse conto, fisicamente, della straordinaria fatica che fa una scuola che riesce ad abbattere le barriere. I percorsi di inclusione sono esperienze difficili, faticose, non lo nascondo, ma noi abbiamo da costruire l’alternativa al pogrom. Attenzione tutti: le esemplificazioni che riguardano i rom portano al fuoco purificatore, a quello che Matteo Salvini chiamava “la derattizzazione”. Siamo nei pressi di qualcosa che ha a che fare con l’orrore». Nicola Fratoianni, il coordinatore di Sel, è pronto a espellere dal partito l’assessore Luigi Spinelli. «Non mi piace la repressione, ma lui deve avere un ripensamento. Riconosca l’errore. Vorrei dirgli: caro compagno, capisco la tua fatica, non voglio darti del razzista, ma devi capire che se Calderoli cavalca questa tua scorciatoia vuol dire che hai aperto un varco nella rete delle regole. Oltretutto da quelle parti ci sono straordinarie esperienze di mediatori culturali». In una battuta: il Pd che governa Borgaro è lo stesso Pd di Renzi che tanto non vi piace? «Vedo un’archiviazione veloce, anzi un seppellimento senza neanche una degna cerimonia funebre di tutto ciò che ha costituito una storia in cui hanno creduto milioni di persone». (Daniele Solavaggione /REPORTERS) - L’autobus 69 L’autobus della discordia nella periferia di Torino pag. 1 di 3 PARLA SALVINI «L’avesse detto la Lega saremmo stati lapidati» ALBERTO MATTIOLI MILANO Segretario, il sindaco di Borgaro fa bene a istituire i bus separati? «Benché sia del Pd, fa benissimo. Quando la gente chiede qualcosa, bisogna darle risposte. Io prendo spesso i mezzi pubblici a Milano e alcune linee, per esempio la 90 e la 91 del bus, sono infrequentabili». E perché? «Perché c’è gente che disturba, molesta, scippa, piscia (sic, ndr). E non paga il biglietto». Infatti lei propose l’apartheid sulla metro di Milano: vagoni separati per italiani e per immigrati. «Alt. Io dissi testualmente: non vorrei che in futuro si dovessero istituire vagoni riservati a donne e anziani. E per questo fui trattato come il pericolo pubblico numero uno e lapidato dai media. Beh, vediamo adesso come reagiranno all’idea del sindaco di Borgaro. Ma lo so già: se una proposta la fa la Lega non va bene per principio, se la fa la sinistra è una figata (ri-sic, ndr)». Per la verità Sel protesta già... «Quelli l’autobus non l’hanno mai preso. E riescono a perderlo lo stesso. È soltanto la solita ipocrisia di sinistra». Come si risolve il problema dei campi rom? «Chiudendoli. Chi vuole una casa la compra o l’affitta. Chi vuole restare nomade va in campeggio. Invece a Milano Pisapia gli ha fatto pure il villaggio con l’aria condizionata». Quando lei sarà sindaco lo chiuderà? «Se e quando sarò sindaco di Milano, farò di più: chiuderò i campi rom sul territorio comunale. Tutti, uno dopo l’altro». Più che un sindaco, uno sceriffo. «Chi ne ha diritto, si metta in fila per la casa popolare». In Francia il governo di sinistra fa sfollare i rom esattamente come faceva quello di destra. «È la dimostrazione che non è un problema di destra o di sinistra, ma solo di avere buonsenso oppure no. E che in Italia c’è un’ipocrisia che in Francia non c’è. I sindaci sanno benissimo chi vuole integrarsi e chi no». Borgaro sta con il sindaco “La pazienza è finita” E Settimo attacca Torino: ha avuto 5 milioni per questo campo Nadia Bergamini Un uragano. Si è abbattuto ieri violento sull’amministrazione di Borgaro e sul sindaco Pd, Claudio Gambino, che esasperato dall’ormai intollerabile convivenza sul bus 69 - che collega la cittadina alle porte di Torino con il capoluogo - con i nomadi di strada Aeroporto, ha proposto due linee di trasporto separate: una per i suoi cittadini, una per il campo. Un proposta dettata dalla necessità di dare un segnale anche per evitare che la rabbia, ormai difficile da gestire, si trasformi in violenza. Una provocazione Che ha suscitato centinaia di commenti sui social network ed è costata la scomunica da Sel, all’assessore borgarese, Luigi Spinelli, reo di aver appoggiato la proposta del sindaco. Commenti positivi con tanto di ovazioni sono arrivati da tanti borgaresi. «Qui la politica non c’entra. Borgaro è una cittadina che non ne può più. Siamo stufi di vivere con l’ansia di dover prendere quel bus» uno dei commenti. Altri hanno definito «quelli che difendono i rom parlamentari che pontificano da Roma e parlano a sproposito senza conoscere la realtà del territorio» E, poi c’è chi ha difeso senza esitazioni l’operato dell’assessore Spinelli: «Prima di attuare scomuniche sarebbe bene che questo politico provasse il disagio di chi vive questa situazione». Tutti o quasi, a Borgaro, dalla parte del sindaco, che ieri mattina ha scritto, chiedendo al prefetto, al questore, alle forze dell’ordine, al primo cittadino di Torino, la convocazione urgente di un tavolo. «I borgaresi sono sempre stati pazienti e tolleranti – ha scritto – ma ora non ce la fanno più. La situazione è molto grave e ancora di più se si considera che viene amplificata dai social network. Servono soluzioni rapide e radicali». Dalla politica non sono arrivate risposte concrete solo polemiche. Sel è stata la più dura ad attaccare Borgaro, guidata dal centrosinistra, e il suo assessore mentre il leghista Borghezio ha lodato l’iniziativa proponendo che andrebbe messa in atto anche a Roma. La difesa A Gambino arriva sostegno dall’ex sindaco Pd di Settimo, Aldo Corgiat. «Se un sindaco viene lasciato solo in una situazione del genere – afferma – è chiaro che non può far altro che ricorrere ad una provocazione così forte. Il problema ora è capire come la città di Torino o meglio la nascente città metropolitana e la prefettura intendano affrontare la questione». Corgiat che anni fa ha promosso il progetto di inclusione sociale del Dado, affidando a Terra del Fuoco un immobile poi ristrutturato dagli stessi rom, un’idea precisa ce l’ha: «I campi vanno chiusi. Sono isole di emarginazione, su questo non ci piove. I nomadi che intendono integrarsi vanno aiutati e sostenuti, gli altri vanno allontanati. Torino ha ricevuto 5 milioni per gestire l’emergenza rom. Quello che non abbiamo capito e se intenda utilizzarli per cominciare a risolvere queste situazioni limite». Dal Dado, dove attualmente vivono famiglie rom e rifugiati politici, sono passati politici e parlamentari. Tutti hanno considerato l’esperienza vincente e replicabile, ma alla fine il Dado di Settimo è rimasto unico. N.BER Michele Curto, consigliere comunale a Torino per Sel, è furibondo con Borgaro. La proposta di creare due linee di bus per separare i nomadi dai borgaresi, lo indigna. Perché arriva da Borgaro dove è stat assessore e da quel Gambino che alle elezioni di qualche mese fa, ha sostenuto. Si sente offeso? «Sono offeso e indignato. Lo sono da borgarese che per anni ha preso quella navetta e conosce il problema. Ho vissuto a pochi chilometri da Borgaro in una struttura, il Dado di Settimo, insieme a famiglie rom e rifugiati richiedenti asilo. Una proposta del genere me la sarei aspettata da un leghista non da un’amministrazione di centro sinistra e da un assessore di Sel». Che cosa chiede? «Se era una provocazione, provoca solo disgusto e genera altro odio». Che cosa propone? «Un tavolo istituzionale per dare risposte vere ai rom e al loro diritto di inclusione e alla popolazione borgarese, spendendo correttamente i fondi che Torino ha ricevuto per l’emergenza rom». [N . ber]