Sergio Romano, Corriere della Sera 25/10/2014, 25 ottobre 2014
BOSNIA ERZEGOVINA E KOSOVO, DUE REBUS EX JUGOSLAVI
Impegnati, dal caso ucraino, ci siamo dimenticati dei Balcani. Il Kosovo, separatosi dalla Serbia, risulta essere un «territorio amministrato dall’Onu». Non si capisce che cosa significhi e che prospettive abbia. A Belgrado, la partita di calcio tra Serbia e Albania è stata sospesa, a causa dei tafferugli innescati dall’arrivo sopra il campo di gioco di un drone al quale era stata appesa la bandiera della «Grande Albania» (includente il Kosovo). Non sarebbe la soluzione più logica? La Bosnia Erzegovina è teoricamente uno Stato indipendente, con tre etnie (bosniaci, croati e serbi) che si sono massacrati a vicenda, fino agli accordi di pace di Dayton.
Basta una scintilla, per accendere un fuoco distruttore. Come può stare in piedi uno Stato in queste condizioni?
Attilio Lucchini
attiliolucchini@hotmail.it
Caro Lucchini,
Gli accordi negoziati a Dayton, nell’Ohio, in una base dell’Aeronautica militare americana, fra il 1° e il 21 novembre 1995, ebbero il merito di mettere fine alla sanguinosa guerra di Bosnia. Ma contenevano un impegno difficilmente realizzabile e una sorprendente dimenticanza. L’impegno era la costruzione di un fragile edificio composto da tre Stati: una Repubblica per i serbi che è nota da allora come Repubblica Srpska e comprende il 49% del territorio; una Federazione croato-musulmana; una sorta di contenitore statale che comprende entrambe. Il risultato è un complicato intreccio di istituzioni: un Parlamento unicamerale per la Repubblica Srpska; un Parlamento bicamerale per la Federazione croato-musulmana; una Camera dei rappresentanti composta da 42 deputati di cui 28 eletti nella Federazione e 18 nella Repubblica Srpska; una Camera dei popoli composta da 5 croati, 5 serbi e 5 musulmani. Al vertice di questo ziggurat (la piramide babilonese disposta su tre piani) siede un organo collegiale composto da un croato, un serbo e musulmano che si alternano alla presidenza ogni otto mesi.
Nelle elezioni ciascuno vota per il gruppo etnico-religioso a cui appartiene e la Bosnia, dalla firma degli accordi ad oggi, è raramente riuscita a esprimere una politica unitaria. Il solo dato positivo per il suo futuro è rappresentato dalla firma nel 2007 di un trattato di associazione con l’Unione Europea.
La dimenticanza, nei trattati di Dayton, fu il Kosovo, la provincia storicamente serba che era divenuta, nel corso degli ultimi decenni, demograficamente albanese. Il presidente serbo Milosevic credette che il silenzio gli desse il diritto di agire a suo piacimento per impedire la secessione della provincia; e l’esercito di liberazione del Kosovo (Uck) trasse dal silenzio la conclusione che l’indipendenza si sarebbe conquistata soltanto con le armi. Il resto è noto: una spietata guerra di guerriglia sul territorio kosovaro, l’espulsione forzata dei kosovari verso l’Albania, la guerra della Nato contro la Serbia e infine la nascita di un piccolo Stato balcanico formalmente indipendente, ma amministrato dall’Onu, custodito dalla Nato, contestato dalla sua minoranza serba, costretto a vivere di assistenza internazionale e di contrabbando. La Grande Albania potrebbe essere una soluzione se gli albanesi fossero in grado di ereditare le funzioni dell’Onu e della Nato. Ma non credo che Tirana, desiderosa di avvicinarsi all’Europa, voglia davvero sobbarcarsi queste responsabilità.