Fabio Savelli, Corriere della Sera 25/10/2014, 25 ottobre 2014
L’ULTIMO SPAZIO VUOTO
Il più lesto a fiutare il cambiamento è stato – anche stavolta – un italiano: Ugo. Di cognome fa Vanuzzi ed è un designertrapiantato a Parigi da diversi anni. Ha appena lanciato un’applicazione – acquistata già da diversi vettori – che incorpora giochi, film, musica, Facebook, prenotazione taxi, noleggio auto, quotidiani e riviste tramite connessione wi-fi a 10 mila metri di altezza. Il primo aereo con «Ugo» a bordo (sì, l’app si chiama come lui) decollerà entro la fine di quest’anno dopo il recentissimo via libera dell’Agenzia europea per la sicurezza aerea (Easa) che ha eliminato l’obbligo della «modalità in volo» per gli apparecchi elettronici sdoganando, di fatto, Internet in alta quota anche nella Vecchia Europa.
Vueling, la compagnia di volo controllata da un holding paritetica tra Iberia e British Airways, attratta dal mantra dei servizi a valore aggiunto, ha invece agito sulla leva del marketing. Ha appena sponsorizzato un evento ideato da Assolombarda mettendo insieme 100 giovani imprenditori italiani e spagnoli cercando di liberare (su un aereo di linea) gli «animal spirits» del capitalismo. Tema: startup nel turismo. In filigrana c’era l’interesse a trovare nuove idee di business nel tempo perso – finora – del volo. La maieutica socratica ha così prodotto una sorta di LinkedIn aereo: la compagnia di volo condivide su una piattaforma social i nomi (e le professioni) dei passeggeri a bordo. I quali possono conoscere e presentarsi tra loro nel caso intravedano possibili sinergie lavorative. Il meeting sulla tratta Milano-Barcellona ha partorito anche un’applicazione basata sul teorema della formazione a distanza: sei a bordo, clicchi sull’icona, ti metti la cuffia e migliori il tuo inglese attraverso una serie di esercizi à la carte .
Ora immaginate di essere un direttore delle risorse umane di una multinazionale in volo per gli Stati Uniti. A bordo, grazie a questo nuovo LinkedIn, potreste scoprire di avere decine di potenziali candidati affascinati dall’idea di far parte della vostra realtà. Potreste ricevere decine di curricula cartacei all’istante se i dispositivi sono collegati via wi-fi con una stampante in grado anche di sfornare biglietti da visita alla bisogna. O peggio: siete un gestore di grandi patrimoni sulla linea Londra-Singapore. Dopo qualche minuto calamiterete decine di startupper a caccia di finanziamenti per la loro straordinaria idea di business: un’applicazione social all’ultimo grido. Così potreste anche trovarvi a rimpiangere i voli offline . Anche se li trovate terribilmente noiosi e improduttivi. Almeno vi facevano volare. Anche con la testa. Senza «scocciature». Senza dover lavorare anche tra le nuvole. Nell’ultimo spazio vuoto rimasto.
Una situazione che potrebbe diventare ingestibile se siamo sul volo più lungo del mondo: Sydney-Dallas, compagnia Qantas, 13.804 chilometri di oceano Pacifico, 15 ore e 25 minuti di vuoto pneumatico ora coperto dal vicino di sedile a caccia di finanziamenti. I tuoi.
Se questo è lo scenario sempre più realistico resta un’incognita: come funzionerà il modello di business ad alta quota. Che ci suggerisce una serie di domande: quanto ci faranno pagare la connessione? Verrà inserita nel costo del biglietto? I prezzi, quindi, saliranno? Scandagliando le offerte commerciali dei vettori che si stanno affacciando al nuovo che avanza si capisce subito che a diecimila metri Internet rischia di essere classista.
Perché nella stragrande maggioranza dei casi il wi-fi è destinato solo ai passeggeri in classe business. Altre, come la russa Aeroflot, la Singapore Airlines e la Tap Portugal, hanno trovato una formula ibrida: paghi la connessione in proporzione al traffico dati consumato (quindi occhio ai video-tutorial: l’inglese può costarci caro anche in altitudine). Altre ancora – come Air Canada, American Airlines, Emirates, Etihad (socio di Alitalia), Japan Airlines, Lufthansa – propongono diversi tipi di abbonamento a seconda del tempo di utilizzo della connessione. British, Qatar e Tam Airlines sono più riluttanti a concedere il wi-fi e per ora hanno messo a disposizione solo il servizio Gsm a bordo. D’altronde il tema riguarda le economie di scala del servizio. Perché non per tutte risulta conveniente coprire i costi degli impianti (senza ovviamente inficiare sulla sicurezza delle trasmissioni) se il servizio viene utilizzato da un numero esiguo di passeggeri.
Così il rischio semmai è che – una volta liberalizzato il wi-fi sui voli – le compagnie proveranno a venderci tutta la gamma di applicazioni/esperienze che nel frattempo avranno implementato sulle loro piattaforme. Potranno persino noleggiarci tablet e smartphone nel caso ne fossimo sprovvisti. Da qui il tema della privacy: dovremo fornire tutti i nostri dati? Verremo schedati con inevitabili pressioni di tipo commerciale? E se il telefono del compagno di viaggio suonerà ininterrottamente a causa della sua fastidiosa chat?
@fabiosavelli