Francesca Paci, La Stampa 24/10/2014, 24 ottobre 2014
MARSIGLIA, CENTRO DI SMISTAMENTO PER QUEL MIGLIAIO DI FRANCESI ARRUOLATI DALL’ISIS. È DA QUI, DOVE IL RACKET CONTROLLA IL MERCATO DELLA DROGA (12 MILIONI AL MESE) E L’IMAM QUELLO DELLE ANIME, CHE I GIOVANI JIHADISTI PARTONO PER LA SIRIA
«Eravamo a cena quando è arrivata la telefonata di un uomo che in buon francese c’informava di aver atteso invano Samia all’aeroporto. Io sapevo che era andata a un matrimonio. Ho richiamato, era un cellulare turco. Da mesi Samia indossava il velo integrale, ripeteva di voler vivere in un Paese regolato dalla sharia ma nessuno immaginava che partisse». Papà Hafez racconta una storia che la polizia di Marsiglia ha già sentito più volte. La figlia 19enne, fermata sabato ad Ankara e rimpatriata, nega d’essere diretta in Siria. Ma la versione della turista naïve non convince né l’intelligence né i parenti barricati oggi nella casa di La Viste, distretto XV, il cuore dei famigerati quartieri Nord a cui la seconda città di Francia deve la fama di capitale del crimine. Qui, all’ombra delle infinite torri popolate da famiglie di origine maghrebina, il racket controlla il mercato della droga e, a patto di salvaguardare il business da 12 milioni di euro al mese, lascia agli imam quello delle anime.
I marsigliesi in Siria non sono tanti. Ma hanno visto passare parecchi dei mille connazionali arruolati dall’Isis. L’attentatore del museo ebraico di Bruxelles Nemmouche, arrestato su un pullman proveniente da Amsterdam. I 3 sospetti jihadisti atterrati un mese fa a Marignane in barba agli 007 appostati a Parigi. Sahra Mehenni e Assia Saidi, due delle 100 francesi sedotte dal Califfato.
«Ha lavorato qualche giorno qui, diceva che sarebbe rimasta poco, aveva la carta di credito» ammette riluttante una ragazza dietro al banco del McDonald’s dove 20 giorni fa mamma e papà Saidi hanno trovato in extremis Assia, tra il commissariato del vecchio porto e quella stazione Saint Charles alle cui spalle sfumano le luci di Marsiglia Capitale della Cultura 2013 e inizia il distretto III, il primo girone della periferia riservata ai musulmani, il 40% degli abitanti e la metà dei disoccupati.
«Marsiglia è un centro di smistamento per la Siria perché da qui si raggiunge facilmente la Turchia in aereo, nave o treno» ragiona Omar Djellil, 44 anni, titolare della moschea al Taqwa e controcanto della comunità passato da SOS Racisme a Jean Marie Le Pen. Si è allontanato dal Fronte Nazionale quando Marine ha paragonato i fedeli carponi sui marciapiedi di Francia all’occupazione nazista: «Dall’11 settembre 2001 noi musulmani dobbiamo sempre giustificarci. E il clima di diffidenza amplifica la nostra tendenza a evitare le responsabilità. Il problema della radicalizzazione c’è e cresce nonostante gli imam lavorino con la polizia. Da un lato le politiche d’integrazione per le banlieues hanno investito milioni di euro in corsi di jambè anziché di francese. Dall’altro il Consiglio francese del Culto Musulmano e il Consiglio regionale, le 2 creature di Sarkozy, non insegnano come dovrebbero l’islam nei quartieri ma si limitano a pianificare pellegrinaggi alla Mecca. Le periferie sono in mano al racket e la nuova immigrazione le sta riempiendo di fondamentalisti che aizzano i giovani. I musulmani lo sanno, 6 su 10 mandano i figli alle scuole cattoliche e molti votano a destra».
A Les Eglantiers, Clos la Rose, nei 100 blocchi di grigi grattacieli marsigliesi detti «cité», le moschee sono un rifugio. Non c’è altro dove l’attivista Amal aspetta il 25, l’unico bus per Downtown. Zero negozi, nessuna farmacia né campi di calcio sebbene nella vicina Castellana sia nato Zidane. «Come fa una donna a tornare qui di sera? Ti veli. Almeno gli spacciatori ti rispettano», dice Amal. La notte escono ratti e «chouf», gli adolescenti in felpa e cappuccio che piantonano le strade. Uno di loro siede accanto al garage che il venerdì trabocca fedeli: «Ovvio che vado in moschea. Lavoro, mica faccio cose illegali. Porto a casa 70 euro al giorno».
Criminalità ed estremismo religioso non sono vie convergenti ma parallele, spiega l’assistente sociale Nil Baalad, pilastro dei quartieri Nord: «A Marsiglia c’è di tutto. I francesi reduci dall’Algeria, anima del Fronte Nazionale. Spacciatori e predicatori radicali che, ognuno a suo modo, intontiscono i giovani con la droga e con un salafismo ignorante fatto solo di divieti. C’è discriminazione e islamofobia. Oggi i musulmani laureati se ne vanno in America o a Monreal e qui restano quelli che scambiano il Corano per il codice civile». Tra chi resta ci sono pure i pendolari del jihad.
Parigi che indaga la legione francese in Siria temendo il boomerang dei «lupi solitari» non può ignorare Marsiglia. L’avveniristico Museo del Mediterraneo, icona dei nuovi docks, si specchia nel suk domenicale di rue de Lyon, l’arteria delle banlieues Nord dove la lavanda svapora nella menta del tè. «Le bombe uccidono i musulmani in mezzo mondo e in Francia ci ammazzate con la droga» accusa l’ambulante tunisino Walid cresciuto a Busserine, dove il figlio dell’imam è stato freddato in un regolamento di conti tra gang. Il connazionale 21enne Hassan è arrivato da Lampedusa dopo il carcere per spaccio a Catania e ha sposato una 36enne francese convertita e assai velata. Nessuno dei 2 sogna la Siria: «La Palestina, allora sì». Ma entrambi sono potenzialmente sul mercato.
Le moschee dei sobborghi di Marsiglia danno legittimità rispetto alla droga, nota l’islamologo Gilles Kepel. Il reclutamento avviene sul web come dovunque. Per la laica Francia però, la sovrapposizione di carità e criminalità è un gioco rischioso: «Gli jihadisti partono più da Tolosa, Lione o Roubaix. Ma Marsiglia è una città estrema dove oggi, come durante gli scontri del 2005 in banlieues, il sistema malavitoso controlla il territorio meglio dello Stato».
Gli investigatori ipotizzano che la mala scoraggi i mujaheddin locali e assicuri a quelli in transito velocità e discrezione per tenere lontani i riflettori.
«Potrebbe esserci una rete logistica che assiste i terroristi perché qui è facile mimetizzarsi» rivela una fonte della polizia. Tutto si muove sotto traccia: «Le moschee sono sorvegliatissime ma sappiamo che i radicali vanno, studiano i soggetti deboli e li agganciano all’esterno».
L’arresto del killer di Bruxelles a giugno ha alzato l’allerta, nota Louis Caprioli, ex anti-terrorismo e consulente della Geos: «Marsiglia non è un focolaio jihadista ma è strategica. È possibile che Nemmouche, reduce della Siria e già radicalizzatosi in carcere, sia andato a Marsiglia per ritrovare eventuali complici e preparare, solo o con altri, operazioni terroristiche».
Se le moschee sono bypassate online, le carceri, dove il 70% degli ospiti è musulmano, restano critiche. Il sindacalista dei secondini regionali Bruno Boudon racconta la metamorfosi di Nemmouche a Tolone nel 2012: «Iniziò disertando il parlatorio, pregava, niente più tv. Volle un televisore solo quando Merah fece strage alla scuola ebraica di Tolosa. Il penitenziario in cui ho visto più persone entrare normali e uscire con la barba è Marsiglia Baumettes, dove ogni guardia segue 145 detenuti».
«La ville est tranquille» è un film del 2000 in cui il regista Guédiguian narra come la Marsiglia post-proletaria non sia affatto tranquilla. «In una città operaia come questa l’islam radicale cresce anche sulle ceneri del comunismo, del punk e delle mille varietà di ribellismo giovanile, perché dove droga e salafismo hanno la stessa origine sociale è percepito come l’unica voce contro lo Stato», chiosa Patrick del Front de Gauche. Samia Ghali, prima sindaco musulmana di Marsiglia, ha un bel rivendicare i suoi natali nei quartieri Nord: quasi impossibile qui trovare chi l’applauda.
Francesca Paci, La Stampa 24/10/2014